Dionigi l’Areopagita, di Alessandro Ghisalberti
Riprendiamo dal volume Sulle orme di Paolo III , pp. 12-17, allegato alla rivista “Jesus”2009 , un articolo di Alessandro Ghisalberti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/6/2010)
Tra le persone che assistettero al discorso di san Paolo all’Areopago di Atene e che, al termine, decisero di farsi discepoli dell'Apostolo, gli Atti menzionano Dionigi l'Areopagita e una donna di nome Damaris (Atti 17,34). Il titolo di Areopagita indica l'appartenenza di Dionigi al tribunale dell'Areopago: si tratta perciò di un personaggio ragguardevole, un giudice, ex arconte e sicuramente discendente da una famiglia aristocratica ateniese; una tradizione riferita da san Giovanni Crisostomo identifica Damaris con la moglie di Dionigi, ma non si hanno prove di questa affermazione.
Più attendibile la notizia conservataci nella Storia ecclesiastica da Eusebio, secondo cui Dionigi l'Areopagita divenne il primo vescovo di Atene e morì martire. Non esistono altre notizie sicuramente riferibili al Dionigi menzionato dagli Atti, mentre nel secolo IX Dionigi l'Areopagita venne identificato con san Dionigi, vescovo di Parigi nel secolo III, mandato da Roma a predicare il Vangelo in Gallia, dove fu martirizzato verso il 270. Il primo documento ufficiale in cui compare tale identificazione è la Vita di san Dionigi scritta dal monaco Ilduino (m. 840), biografia composta troppo tardi per essere considerata più che una leggenda.
Esiti contrastanti sulla biografia di Dionigi
Nella teologia cristiana tuttavia il nome di Dionigi l’Areopagita è diventato famoso per un ulteriore dato, ossia per la comparsa verificatasi nel secolo VI di alcune opere di argomento teologico-mistico, con l’aggiunta di alcune lettere, scritte in greco da un prete di nome Dionigi e dedicate al confratello Timoteo.
Questo Dionigi dichiara di essere vissuto al tempo degli Apostoli, di essere stato discepolo di un certo Ieroteo e con lui discepolo di san Paolo (I nomi divini III,2); afferma inoltre di avere assistito, insieme con il filosofo sofista Apollofane, all'eclisse di sole verificatasi al momento della crocifissione di Cristo (Epistola VII,2) e di essersi recato, insieme con Timoteo, Giacomo fratello del Signore e Pietro «per vedere il corpo sorgente di vita e dimora di Dio» (I nomi divini III,2), espressione in cui gli studiosi vedono indicata la dormizione di Maria Vergine.
I destinatari di alcune delle dieci lettere incluse nel corpus degli scritti di Dionigi confermerebbero la dichiarata datazione apostolica: la decima lettera è indirizzata all'apostolo Giovanni, in esilio a Patmos; la settima al vescovo di Smirne, Policarpo; la nona si rivolge a Tito, vescovo di Creta e noto discepolo di san Paolo, e le prime quattro lettere sono indirizzate al monaco Gaio, identificabile con il Gaio cui è indirizzata la terza Lettera di san Giovanni.
L’insieme di questi dati spiega come sia potuto accadere che, quando il corpus degli scritti di Dionigi comparve sulla scena teologica a Costantinopoli, durante un dibattito fra la corrente monofisita di Severo di Antiochia e gli ortodossi, sostenitori della dottrina calcedoniana, i severiani abbiano invocato a sostegno delle loro tesi quegli scritti, dichiarandoli opera di Dionigi l'Areopagita.
Gli ortodossi misero in dubbio l'identificazione del Dionigi autore degli scritti con l'Areopagita; Ipazio, vescovo di Efeso, chiese delle prove concrete a favore dell'autenticità: come si spiegava il fatto che Atanasio e Cirillo di Alessandria avessero ignorato questi scritti, che sarebbero risultati estremamente utili per convincere gli ariani del tempo del Concilio di Nicea?
Nonostante i dubbi, l’identificazione dell'autore del corpus con l'Areopagita trovò presto accoglienza favorevole: nel 593 Gregorio Magno citava con estremo rispetto "il divino Dionigi" e i papi del secolo VII lo considerarono il primo Padre della Chiesa. Quando Ilduino operò l'identificazione di san Dionigi di Parigi con l’Areopagita finì perciò con lo stabilire l'ulteriore sovrapposizione, quella dei due martiri con l'autore del corpus dyonisianum, di cui fornì la prima traduzione in latino.
Una nuova e più elegante traduzione, curata pochi decenni dopo dal massimo filosofo del tempo Giovanni Scoto Eriugena (810-870), assicurò al corpus una più ampia diffusione tra gli studiosi latini, destinata a diventare capillare con la nascita delle università medievali: due grandi scolastici, Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, commentarono analiticamente le opere da loro riconosciute autentiche dell'Areopagita.
Il prestigio che il corpus riceveva dall'attribuzione a un personaggio formatosi alla scuola diretta degli Apostoli ha certamente attenuato le difficoltà che quella presunta paternità implicava. Era tuttavia lo stesso corpus a fornire indicazioni utili per superare l'obiezione di Ipazio, relativa al silenzio dei Padri. Più volte Dionigi prega Timoteo di non divulgare la dottrina sacra, perché non sia profanata: «Per quello che ti riguarda, o caro Timoteo, è necessario che tu mantenga nel segreto queste cose, secondo l'esortazione santissima, facendo in modo che i profani non conoscano e non divulghino le cose divine» (I nomi divini 1,8).
La teoria del segreto, comune all'esoterismo neoplatonico e neopitagorico, poteva risultare convincente: i Padri antichi potevano avere utilizzato il testo senza citarlo; la disciplina dei misteri sarebbe stata rispettata finché non s'imposero le necessità dell'apologetica. Oppure si poteva congetturare che erano stati gli eretici o i pagani a tenere nascosti i testi, per privare l'ortodossia di un’arma così importante. Quand’anche fosse risultato infine che alcuni passi delle opere erano sicuramente databili in età più tarda rispetto a quella apostolica, sarebbe stato sempre possibile invocare la presenza di interpolazioni successive all' originale.
Sulla scorta di queste indicazioni, il corpus dyonisianum è stato il testo più autorevole, dopo gli scritti del Nuovo Testamento, sino a quando nel secolo XVI Lorenzo Valla non sollevò un’obiezione di fondo: come poteva il Dionigi teologo e filosofo autore di famosi scritti essere lo stesso Dionigi l'Areopagita convertito da san Paolo, che invece era un giudice?
Erasmo e gli altri umanisti recepirono questa obiezione e si parlò di Dionigi come lo pseudo-Areopagita (o, impropriamente, dello pseudo-Dionigi), denominazione invalsa sino ai nostri giorni. Numerosi studiosi del nostro secolo hanno cercato di ricostruire i dati biografici del personaggio, ma si sono avuti esiti contrastanti. I principali elementi sinora accertati dalla critica riguardano la dipendenza dei Nomi divini dalle opere di Proclo (410-485), il riferimento del corpus a usi liturgici attestati solo a partire dal secolo V, il richiamo al monachesimo come forma di vita cristiana praticata in seno alla Chiesa. La datazione più verosimile porta alla fine del secolo V o agli inizi del secolo VI.
La mistica occidentale è debitrice a Dionigi
Prescindendo dalla questione sull'identità dell'autore, il corpus dyonisianum si presenta con una densità speculativa e una ricchezza di elevazione interiore che a un lettore attento e spassionato possono rendere adeguatamente ragione dell'enorme fascino prima ancora che della vasta influenza esercitati sugli intellettuali e sui mistici di ogni tempo.
Nella Gerarchia celeste e nella Gerarchia ecclesiastica Dionigi presenta il cosmo strutturato secondo un ordine ben preciso, che va dallo spirituale all'umano, dall'universo intelligibile a quello sensibile. La gerarchia è «un ordine sacro, una scienza è un’operazione che si conforma, per quanto è possibile, al Divino, e che è portata all'imitazione di Dio proporzionalmente, secondo le illuminazioni che da Dio stesso le sono comunicate» (Gerarchia celeste III, I); la gradualità gerarchica mira dunque a distribuire la perfezione divina nell’universo.
Nei Nomi divini si individuano i termini che rendono intelligibile nel modo migliore l'essenza divina, la quale nella creazione si partecipa e si irradia in forme molteplici. Dionigi insiste sui simboli intellettuali e sensibili che svolgono la funzione mediatrice per l'introduzione dell'uomo nella sfera del divino; egli è perciò considerato il fondatore della "teologia negativa", perché Dio si mantiene sempre trascendente a tutti i nomi.
Alla Teologia mistica di Dionigi è debitrice tutta la tradizione mistica occidentale, dai Vittorini e da san Bernardo a Bonaventura, a Eckhart, a Taulero, a Giovanni della Croce, a Bérulle; il tema che la attraversa è quello dialettico della sempre più profonda penetrazione nella realtà in cui Dio si rivela e insieme del continuo oltrepassamento dell'immagine, per giungere sino alla visione dell'Invisibile.
Molto acutamente è stato osservato come l'autore del corpus dyonisianum si identifichi senza residuo con la sua opera e come la collocazione che Dionigi fa del proprio mandato in uno spazio e in un tempo vicinissimi a quelli del mandato di san Paolo e san Giovanni corrisponde a una necessità, a una forma della sua veracità: «Ci si può solo rallegrare per il fatto che egli sia riuscito a scomparire per un millennio dietro l'Areopagita, riuscendo a rinnegare tenacemente il proprio volto, anche dopo che lo si è esumato in questa nostra età dei sepolcri infranti» (H. U. von Balthasar).