1/ I «secoli bui» di Malta, di Andreas M. Steiner 2/ Malta e Gozo dall’invasione arabo-musulmana all’espulsione dei musulmani da parte dell’imperatore Federico II (dall’Enciclopedia Italiana Treccani)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /04 /2018 - 08:41 am | Permalink | Homepage
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N.B. de Gli scritti I due testi qui presentati, l’uno più divulgativo, l’altro più datato, permettono di gettare uno sguardo sui difficili anni dell’invasione arabo-musulmana che cambiò la storia dell’arcipelago maltese. L’invasione di Malta e Gozo è uno dei tanti episodi dell’avanzata a fine di saccheggio e di cattura di schiavi e poi di conquista più stabile che caratterizzò i primi secoli della storia islamica.
Se quasi ogni traccia archeologica è scomparsa sia del periodo paleo-cristiano, che del periodo arabo-musulmano, la sparizione della lingua antica dell'isola e l'esistenza permanente della "nuova" lingua maltese, una nuova lingua costruitasi a partire dall'arabo maghrebino importato dagli invasori, la dice lunga sulla colonizzazione che i maltesi dovettero subire nei due secoli di dominio islamico.
Come per la Sicilia, la cacciata definitiva dei musulmani avvenne ad opera di Federico II che, dopo le aperture del primo periodo, decise di deportare quelle popolazioni che non intendevano integrarsi nel suo regno. Ai dati riportati dai due articoli sarebbero da aggiungere le nuove ricerche sul testo recentemente ritrovato Tristia ex Melitogaudo. Lament in Greek verse of a XIIth-century exile on Gozo, Malta, 2010, edito da Joseph Busuttil, Stanley Fiorini e Horatius Caesar Roger Vella (sul quale cfr. anche S. Fiorini, Tristia ex Melitogaudo revisited. Objections, Clarifications, Confirmations, Malta, 2010) e sulle ricerche di Nadia Jamil - Jeremy Johns, A New Latin-Arabic Document from Norman Sicily (November 595 H/1198CE), in Maurice A. Pomerantz - Aram A. Shahin (edd.), The Heritage of Arabo-Islamic Learning. Studies Presented to Wadad Kadi (Islamic History and Civilization, vol. 122), Leiden, Brill, 2015, pp. 111–166, che affrontano la questione della possibile permanenza di una piccola minoranza cristiana anche sotto dominio islamico, con lo statuto discriminatorio di dhimmi, che non era ammessa dagli storici precedenti.

1/ I «secoli bui» di Malta, di Andreas M. Steiner

Riprendiamo dal sito http://www.mta.com.mt/ alcuni brani di un articolo di Andreas M. Steiner apparso sua rivista MedioEvo agosto 2015, pp. 36-47. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2018)

Scavi a Tas-Silġ, Malta, con i resti di un 
edificio cristiano, probabilmente un battistero

[…]

Gli Arabi della dinastia degli Aghlabidi mossero dall’Ifriqiya’ (l’odierna Tunisia) alla conquista della Sicilia e, lungo il percorso, misero a ferro e fuoco l’arcipelago. Salvo coloro che, messi in guardia dalle ripetute incursioni degli anni precedenti, avevano già abbandonato le isole per la terraferma italiana, nessuno degli abitanti cristiani fu risparmiato dalla furia dei nuovi padroni.

Nella Casa dell’Islam

Per la dominazione araba di Malta (più di due secoli) vale quanto già affermato per l’età tardo-antica e bizantina: sono rarissime le fonti, esclusivamente arabe, che documentano il periodo in cui Malta divenne parte della dar al-Islam (la «Casa dell’Islam», ovvero i territori posti sotto il controllo politico e giuridico dell’Islam, n.d.r.). Gli autori arabi, di diversi secoli successivi agli accadimenti, si soffermano sul momento della conquista: il celebre storico Ibn Kaldun (1332-1406) e il viaggiatore di origini berbere al-Himyari (morto nel 1495), la datano al dicembre dell’869, mentre altre fonti, tra cui il Kitab al-Uyun (il Libro delle Curiosità, un trattato di astronomia e geografia compilato da anonimo nella prima metà dell’XI secolo), affermano che si sia verificata il 28 agosto dell’870.

Il tardo resoconto di al-Himyari attinge a fonti precedenti, tra cui gli scritti, oggi noti solo in maniera molto frammentaria, dello storico al-Bakhri, vissuto nella Spagna dell’XI secolo. Da esso emergono, però, alcuni dati significativi: come, per esempio, quello della morte del condottiero Khalaf al-Khadim, avvenuta durante l’operazione, segno che la resistenza opposta dagli abitanti cristiani non era, poi, forse così inconsistente.

Informato dell’accaduto, l’emiro di Kairouan chiede al suo governatore in Sicilia, tale Muhammad Ibn Hafaga, di inviare a Malta un nuovo amministratore.

A quest’ultimo – prosegue il documento – si devono la conquista e il saccheggio della hisn (la fortezza) di Malta e la cattura del suo malik (il comandante), il cui nome trascritto in arabo evoca quello dell’ammiraglio bizantino Himerios. Non si può escludere, inoltre, che si trattasse del vescovo di Malta, del quale un documento di qualche anno più tardi (l’Epistola di Teodosio) riferisce che finì i suoi anni nella prigione di Palermo.

Non è ben chiaro dove, effettivamente, si trovasse la fortezza di cui parla al-Himyari, forse nei pressi della costa; sicuramente non è da identificarsi con la capitale dell’isola, Melite, l’odierna Mdina-Rabat.

La conquista araba comportò la distruzione di tutte le chiese e degli altri luoghi, sacri e profani, abitati dalla popolazione cristiana. Più che le fonti scritte, sono le indagini archeologiche in alcuni importanti luoghi dell’isola a testimoniarlo: così a Tas-Silg, un sito indagato per lunghi anni da una missione archeologica italiana, dove, sulle fondamenta di un antichissimo luogo di culto megalitico, sono emersi i resti di un santuario fenicio, poi ellenistico e romano, nonché strutture riferibili a un insediamento monastico fortificato di epoca bizantina.

O, ancora, la villa di San Paolo Milqi, nella parte nord-orientale dell’isola di Malta, un importante insediamento agricolo di età romana, trasformata in fortificazione dagli invasori arabi. Infine, vale la pena citare una fonte, questa volta epigrafica, che attesta la presenza nell’isola di una chiesa importante: si tratta di un’iscrizione nel castello di Habashi, a Sousse (in Tunisia), e di cui riferisce il medico Ibn al-Gazzar (noto anche con il nome latinizzato Algizar), vissuto in Ifriqiya’ nel X secolo. Recita il testo: «Tutte lepietre scolpite e le colonne marmoree diquesto castello furono portate qui dalla kanisa (chiesa, in arabo) di Malta peropera di Habashi figlio di Umar».

Che cosa accadde alle isole maltesi nei decenni che seguirono la conquista araba? Dobbiamo prendere alla lettera al-Himyari quando affermava che «dopo il 255 (l’anno 870 d.C.) l’isola di Malta divenne una rovina disabitata»? Al contrario.

Semmai, si potrebbe ipotizzare che l’espressione «rovina disabitata», usata da un «cronista» del XV secolo, si riferisse solo a quel periodo iniziale del dominio arabo, mentre ben diverso doveva presentarsi il quadro nei duecento anni successivi.

Olivi e cotone

Per oltre due secoli, infatti, gli Arabi fecero delle isole un lembo del mondo islamico, unendole politicamente al governo della Sicilia e innovando l’agricoltura con l’introduzione di nuove tecniche di irrigazione, grazie alle quali fu possibile coltivare olivi, aranci, limoni e, soprattutto, il cotone, destinato a divenire una delle più importanti risorse economiche dell’arcipelago. Solo così possiamo spiegarci perché, dopo quei duecentoventi anni «bui» dal punto di vista delle fonti documentarie, la popolazione maltese (qualche migliaio di abitanti, forse 5000) si affacciò al mondo tardo-medievale avendo adottato modi di vita, consuetudini e, soprattutto, una lingua araba.

Di quest’ultima testimoniano i numerosi toponimi in arabo-maltese, tra cui quelli delle isole stesse: gli Arabi cambiarono il nome di Melita in Malta, quello greco di Gaulus (l’odierna Gozo) in Ghawdex. Le due isole minori vennero chiamate Kemunna («cumino», l’odierna Comino, dall’omonima spezia che vi si coltivava) e Fifla (dall’arabo «filfel», pepe). Sono questi, ancora oggi, i nomi ufficiali delle isole. Tuttora in uso sono, inoltre, toponimi arabomaltesi legati a particolari caratteristiche del terreno, come wied (le valli attraversate da corsi d’acqua a regime torrentizio), ‘ayn (fonte), ghar (caverna), marsa (porto), gebel (monte) o hal (la forma breve per rahal, casale).

Imponenti dovettero essere anche i lavori di trasformazione urbanistica e di fortificazione eseguiti dai conquistatori, soprattutto nelle due principali località delle isole, Mdina, a Malta, e Victoria, a Gozo.

Il modello seguiva quello che possiamo riscontrare ancora oggi nei centri storici delle città nordafricane: una parte dell’antica città di Melite venne isolata dal resto dell’insediamento e circondata da una possente cinta muraria. Alla cittadella così fortificata venne dato il nome di «Medina» (che in arabo significa «citta»), divenuta nella variante maltese «Mdina», mentre la cittadina rimasta all’esterno delle mura venne chiamata «Rabat» (l’equivalente di «sobborgo»).

Altrettanto accadde con l’imponente cittadella che si erge al centro di Gozo, ribattezzata direttamente «Rabat» (il suo «secondo» nome moderno, Victoria, le fu dato molti secoli dopo, nel 1887, in onore dell’omonima regnante britannica).

È percorrendo gli stretti e tortuosi vicoli di entrambi questi antichi e affascinanti borghi che il visitatore odierno può riconoscere, percependone topografia e architetture, il progetto che ispirò i nuovi padroni dell’arcipelago.

Vi sono poi alcuni, rari, dati archeologici che testimoniano il ruolo della presenza musulmana nelle isole: alla fine dell’Ottocento, durante gli scavi volti a portare alla luce la domus romana di Rabat (alle porte di Mdina), furono scoperte più di 50 sepolture, insieme a 14 pietre tombali iscritte, per lo più, con caratteri cufici. Orientate in direzione est-ovest, le tombe erano state adagiate direttamente sulle fondamenta della struttura di età romana; si datano, con molta probabilità, all’epoca normanna (a riprova che il credo islamico era ancora vivo anche nei primi secoli successivi al dominio arabo) e appartenevano in larga parte a famiglie benestanti della popolazione della città.

Il popolo delle campagne

Mentre la popolazione musulmana viveva per lo più al sicuro – all’interno o nelle immediate prossimità delle cittadelle – è invece difficile immaginare come si svolgesse la vita quotidiana della popolazione rurale, probabilmente costituita, in massima parte, da schiavi, tra cui anche cristiani. Sebbene, infatti, non si abbiano notizie di persecuzioni ai danni della popolazione conquistata, questa dovette sottomettersi ai dettami della nuova religione, o adottandone il credo o, altrimenti, subendo le discriminazioni che la legge della sharia imponeva ai non credenti (condizione nota, nel mondo islamico, come quella di «dhimmi»).

Nella Valle dei Cristiani

È probabile, inoltre, che anche la religione cristiana venisse ancora praticata, seppur clandestinamente, forse addirittura utilizzando le numerose catacombe di epoca tardo-antica dell’isola. La presenza di una popolazione cristiana è, inoltre, suggerita da alcuni toponimi che a loro fanno riferimento, come per esempio quello del Wied ir-Rum, la «Valle dei Cristiani»Rum» è il nome dato dagli Arabi all’impero bizantino e, per estensione, ai suoi abitanti n.d.r.).

Gli schiavi, cristiani o meno, furono di certo i protagonisti della colonizzazione e coltivazione delle aree rurali dell’arcipelago ed è verosimile che fosse questa categoria sociale a popolare i rahal («casali»), grandi fattorie rurali private, con circa 50 ettari di terreno coltivabile, in genere appartenenti a un notabile.

Il bellissimo paesaggio mediterraneo del Wied ir-Rum accoglie testimonianze architettoniche e archeologiche medievali di straordinaria importanza: grotte utilizzate come abitazioni e stalle, insieme a una rete di lunghe gallerie per l’approvvigionamento idrico (una recente indagine condotta dall’archeologo Keith Buhagiar ne ha individuate ben 25), forse alimentate da una cisterna sotterranea.

Ma il caso della «Valle dei Cristiani» non è l’unico: la presenza di grotte usate come abitazioni, oppure adibite a luoghi di lavoro o di culto, è un fenomeno diffuso in tutto l’arcipelago; e, in assenza di una documentazione certa, rappresenta una testimonianza di grande suggestione sulle difficili condizioni di vita della popolazione umile nei secoli del Medioevo.

Nuovi conquistatori

Nel 1048, i Bizantini tentarono di riconquistare le isole. Grazie a una disposizione dell’emiro che, per l’occasione, revocò il divieto, indirizzato a tutta la popolazione, di portare armi, i Maltesi si unirono nella difesa e riuscirono a respingere gli invasori.

Lo scrittore arabo-persiano al-Qazwini, vissuto nel XIII secolo, descrisse così quella che appare come la prima rappresentazione di unitarietà del popolo maltese: «I Rum [i Bizantini] li attaccarono nell’anno 440 (1048-49) e chiesero le loro donne e i loro possedimenti. I musulmani si riunirono e si contarono, realizzando così che i loro schiavi erano maggiori di numero rispetto agli uomini liberi. Si rivolsero allora ai loro schiavi: “Impugnate le armi insieme a noi, e se vinciamo sarete liberi e condividerete con noi i nostri possedimenti; ma se vi rifiutate di combattere, morirete insieme a noi”. E quando i Rum arrivarono, li affrontarono come un sol uomo».

Qualche decennio più tardi, però, nel 1091, un nuovo padrone si affacciò sulle scoscese coste maltesi: Ruggero d’Altavilla. Dopo aver conquistato la Sicilia, il conte riportò il vessillo della cristianità nell’arcipelago.

Gli storici moderni riconobbero nel condottiero normanno colui che aveva liberato le isole dal giogo musulmano. Fu veramente così? O non si trattò, piuttosto, di un esempio di «invenzione della tradizione», funzionale alla costruzione di quel nuovo, ma fondamentale tassello della complessa identità storicoculturale maltese rappresentato dal cristianesimo? Sicuramente l’avvento dei Normanni inaugurò un nuovo capitolo dell’affascinante storia di Malta medievale. […]

Per concludere, riportiamo la descrizione che dell’arcipelago fece il celebre geografo al-Idrisi nel suo Kitab Rugiar (il Libro di Ruggero), stilato proprio su incarico del re di Sicilia, a metà del XII secolo: «A largo dell’isola di Pantelleria, a una distanza di cento miglia in direzione est, si trova l’isola di Gozo munita di un porto sicuro. Da Gozo si procede verso una piccola isola di nome Kamuna. Da lì verso est si incontra l’isola di Malta. È vasta e possiede un porto protetto sul suo lato orientale. Malta ospita una città e abbonda in terre da pascolo, pecore, frutta e miele…».

Da leggere

Charles Dalli, Malta. The Medieval Millennium, Midsea Books, Malta 2006

Leonard Mahoney, 5000 Years of Architecture in Malta, Valletta Publishing, Valletta 1996

Geoffrey Hull, The Maltese Language Question. A Case Study in Cultural Imperialism, Said International, Valletta 1993

2/ Malta dall’invasione arabo-musulmana all’espulsione dei musulmani da parte dell’imperatore Federico II

Riprendiamo dal sito della Treccani alcuni brani della voce Malta dell’Enciclopedia Italiana, voce edita nel 1934 a cura di Roberto ALMAGIA’ - Ramiro FABIANI - Fabrizio CORTESI - Mario SALFI - Ettore ROSSI - Giuseppe CARACI - Roberto PARIBENI - Guido LIBERTINI - Camillo MANFRONI - Raffaele CORSO - Vincenzo BONELLO. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2018)

Catacombe di Sant’Agata, affresco 
con una croce e uccelli, Rabat, Malta

Storia.

[…]

Medioevo ed età moderna. - Le isole maltesi, attribuite all'Impero d'Oriente nel sec. IV d. C., subirono le stesse vicende della Sicilia; sottomesse, pare, ai Vandali d'Africa per brevissimo tempo dal 454 al 464 e ai Goti dopo il 464, furono riunite da Belisario all'Impero nel 533. Mancano notizie sul governo bizantino a Malta. Certo, essa fece parte del tema di Sicilia ed ebbe governatori greci e un piccolo presidio greco. Intanto continuava il legame religioso con Roma, a tratti interrotto dalla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli. La popolazione, come quella della Sicilia, doveva essere costituita da antichi elementi, latinizzati da Roma.

La data della conquista araba è fissata, in diverse fonti arabe, all'anno 870. Aḥmad ibn ‛Umar ibn ‛Ubaidallāh al-Aghlabī, della famiglia aghlabita dominante sui Musulmani arabo-berberi della lfrīqiyah (Tripolitania e Tunisia attuali), l'avrebbe occupata l'anno 869; ma poi, essendo essa assediata dai Rūm (cioè i Greci), intervenne l'emiro aghlabita della Sicilia, Moḥammed ibn Khafāgiah, e la sottomise al governo musulmano della Sicilia. Va notato, a proposito della data 870, che indubbiamente Malta già prima si trovò circondata dall'influenza arabo-musulmana; già nel secolo VIII dovette subire attacchi e depredazioni di Musulmani d'Africa. Considerando che l'anno 827 gli Aghlabiti iniziarono con lo sbarco a Mazara la conquista della Sicilia, sì è indotti a credere che la conquista musulmana di Malta sia avvenuta prima dell'870.

Il dominio musulmano a Malta durò fino al 1091, sebbene accenni non bene sicuri parlino d'un attacco bizantino a Malta verso il 1050 o poco prima, al tempo dell'impresa di Maniace in Sicilia. Nel 1091, Ruggiero il Normanno, liberata già la Sicilia dal dominio saraceno, occupò anche le isole maltesi. ll Malaterra (Hist. Sicula IV, 16) dice che il qā'id (gaytus), cioè il capo politico e militare di Malta, e i suoi ottennero da Ruggiero la resa pacifica mediante la consegna degli schiavi cristiani "quorum plurimam multitudinem infra urbem tenebant", delle armi, del bestiame e di denaro.

Malta fu una posizione importante per i Musulmani, al tempo in cui avevano il predominio nel Mediterraneo centrale, data la sua situazione geografica, l'ampiezza e la sicurezza dei porti, specialmente di quello a NE., ora chiamato il Porto Grande. In mancanza di notizie particolari sul governo musulmano a Malta, possiamo ritenere, per analogia con quanto si sa per la Sicilia, che vi fosse un governatore (ḥākim o qā'id) dipendente dall'emiro aghlabita e poi ‛ubaiditza (fatimita) della Sicilia, con un piccolo corpo di truppe (giund). È fatto il nome di un qā'id Yaḥyà. La popolazione fu lasciata libera di farsi musulmana o restare cristiana, nella condizione di dhimmī, cioè di gente sottomessa, pagando l'imposta personale detta gizyah e il tributo (kharāg). È anche probabile che la popolazione cristiana a Malta fosse, in quel tempo, molto ridotta di numero e che la maggioranza si trovasse in schiavitù, tanto più che l'isola doveva essere diventata nel sec. XI un nido di corsari musulmani. Gli scrittori arabi poche notizie ci dànno a questo proposito. Al-Idrīsī, nel sec. XII, periodo normanno, la definiva isola grande e bella, con porti sicuri a levante, abbondante di pascoli, di greggi e di miele. Sono ricordati i poeti arabi maltesi ‛Abd ar-Raḥmān (Abū'l-Qāsim), ibn Ramaḍān e ‛Abdallāh as-Samṭī. Non si sono trovate tracce di questo dominio arabo-berbero a Malta. Si vuole che i Musulmani abbiano costruito o restaurato il castello, ora detto Castel Sant'Angelo, nei secoli XIV-XV chiamato Castello a mare, a protezione del Porto Grande, e che siano in parte opera loro le mura, più probabilmente bizantine, della città capitale (ora La Notabile), in dialetto Mdina, ar. al-Madīnah. Poche, una ventina, sono le epigrafi arabe finora venute in luce, tutte tombali; e non forniscono notizie importanti per la storia locale. Le tre sole sicuramente databili appartengono aI sec. XII, cioè all'epoca normanna, prova, come vedremo, della permanenza di gran numero di Musulmani a Malta, anche dopo la conquista di Ruggiero. Provengono in maggioranza dagli scavi della villa romana al Rabato (pr. ràbato; ar. rabaḍ "sobborgo"), sobborgo della Città Notabile, dove esisteva un vero cimitero musulmano; e la più importante, in data 1174, proviene dall'isola di Gozo. Poche monete aghlabite, fatimite e ḥafṣide, in parte provenienti da ritrovamenti locali, sono conservate al Museo.

Più importante è la traccia lasciata dai Musulmani a Malta con l'imposizione della lingua araba. Se ne tratta a parte qui avanti, parlando del dialetto maltese. Si premette solo un cenno su una manifestazione particolare dell'arabizzazione di Malta, cioè la toponomastica. Se i nomi di Malta e Gozo (Ghaudex; pr. audeš) risalgono a data antica e molte località hanno nomi recenti italiani (La Valletta, i sobborghi, alcune ville, villaggi dell'interno, come Casal Attard, Casal Paola), la maggioranza dei nomi di luogo sono arabi (cioè espressi in arabo maltese, il che non significa che risalgano tutti al dominio arabo-berbero musulmano); arabi sono i termini toponomastici, tuttora usati per designare conformazioni del terreno, come ghar "caverna", uyed (wed) "valle" (in cui scorrono, con la pioggia, i torrenti), ‛ayn "fonte", gudia "collina", gebel "monte", nadur "posto eminente", ghadir "stagno" ecc. Il prefisso hal, che designa i casali o i villaggi, deriva, per aferesi della prima sillaba, dall'arabo rahal usato anche in Sicilia al tempo dei Musulmani per indicare "casale". La pronunzia locale di questi vocaboli arabi deriva da particolarità del dialetto maltese.

La permanenza di Musulmani arabofoni a Malta anche dopo la conquista normanna è accertata, oltre che dalle epigrafi suddette, da informazioni storiche: né fa meraviglia, dato che altrettanto avvenne in Sicilia e che alla corte dei Normanni e degli Svevi erano in onore usi, lingua e cultura degli Arabi. Il vescovo Burcardo, mandato dal Barbarossa nel 1175 ambasciatore a Saladino, riferiva di essere passato da Malta e di averla trovata "a sarracenis inhabitata" e sottoposta al dominio del re di Sicilia. Vi erano sicuramente anche dei cristiani, essendo accertata l'esistenza di vescovi maltesi fin dall'inizio del sec. XII.

I Musulmani furono espulsi da Malta nella prima metà del sec. XIII, al tempo di Federico II: ma non ne è certa la data. Si sa che nel 1224 quel sovrano fece deportare in Sicilia e di lì avviò a Malta gli abitanti di Celano nell'Abruzzo, dopo avere, a punizione di una rivolta, distrutto il loro borgo. Riccardo di San Germano, che dà la notizia, aggiunge che nel 1227 i Celanesi di Sicilia furono rimessi in libertà; ma non dice se lo stesso avvenne di quelli stanziati a Malta. Storici moderni ritengono che l'immissione dei Celanesi in Malta servisse a compensare il vuoto lasciato da quelli. Ma una relazione inviata verso il 1240 dall'abate Gilberto all'imperatore Federico II dice che a Malta vi erano famiglie cristiane 47 (cifra probabilmente errata), saracene 681, ebree 25; e a Gozo le famiglie cristiane erano 203, le saracene 150, le ebree 8. In totale, su 1119 famiglie, 250 erano cristiane, 836 saracene, 33 ebree. I Musulmani formavano quindi i tre quarti della popolazione. La stessa relazione informa che v'erano a Malta 84 servi gerbini occupati a coltivare i possedimenti della curia regia. È anche noto che Federico II teneva a Malta allevamenti di cammelli e da Malta si faceva venire i falchi per la caccia. L'espulsione dei Musulmani da Malta è quindi posteriore al 1240: forse è da riferire al 1245, quando altri Musulmani di Sicilia furono presi e mandati a Lucera, forse anche al 1249, data tramandataci dallo storico Ibn Khaldūn. Nel 1266, Malta come la Sicilia, passò sotto il dominio angioino e, nel 1283, sotto quello aragonese, dopo che Ruggiero di Lauria ebbe sconfitto nelle sue acque le navi angioine.

[…]

Dialetto e letteratura.

Il dialetto di Malta è un dialetto arabo classificabile tra i dialetti magrebini dell'Africa settentrionale. Esso presenta particolarità fonetiche, morfologiche e sintattiche spiegabili con l'evoluzione particolare che ha avuto e con l'ambiente in cui si è tramandato.

[…]

Il dialetto maltese si può quindi definire un "dialetto arabo notevolmente influenzato nella fonetica e nella sintassi dalla lingua italiana con lessico variamente infarcito di parole italiane secondo la varietà degli argomenti, dei luoghi e del grado di cultura della gente che parla". La tesi dell'origine punico-cartaginese o Cananea del dialetto di Malta sostenuta da dilettanti maltesi e stranieri è esclusa dalla scienza moderna. Come gli Arabi abbiano imposto a Malta il loro linguaggio è chiaramente spiegato da ciò che si è detto sopra nella storia dei secoli IX-XIII, quando Malta era abitata da una maggioranza araba, isolata in mezzo a genti non parlanti arabo; la popolazione lentamente affluitavi nei secoli fu costretta ad apprendere il linguaggio predominante. Il problema della lingua che si parlava prima degli Arabi a Malta resta insoluto allo stato attuale delle nostre conoscenze; la parlata "barbara" con cui gli abitanti si rivolsero a San Paolo e a San Luca (Atti degli Apostoli, XXVIII, 1) nel 58 d. C. doveva essere una parlata "non greca", che non ci è possibile precisare. Certo il punico dovette essere inteso nei porti di Malta nei secoli anteriori alla conquista romana e anche durante i primi tempi del dominio romano, ma fu dimenticato attraverso il millenario dominio romano e bizantino.