[Bilancio di una stagione di sperimentazioni sull’Iniziazione cristiana], da Narrare la fede ai genitori, di Enzo Biemmi (con alcuni commenti a margine de Gli scritti)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /03 /2018 - 09:55 am | Permalink | Homepage
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N.B. DE GLI SCRITTI. Riprendiamo sul nostro sito la parte centrale di una relazione di Enzo Biemmi tenuta al Convegno Nazionale per i Direttori e Collaboratori degli UCD organizzato dalla CEI a Roma, dal 23 al 25 settembre 2016, dal titolo «Memoria di Dio», annuncio e catechesi (abbiamo ripreso la versione on-line della relazione presente sul sito della rivista Settimananews). Abbiamo inserito con la dicitura “N.B. DE GLI SCRITTI” alcune osservazioni aperte che abbiamo voluto inserire dopo averne discusso fra redattori del Centro culturale stesso. Ovviamente abbiamo inteso proporre questo nostro lavoro a motivo dell’interesse del testo in questione con le sue luci e anche qualche punto discutibile. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questo testo sul nostro sito, per di più in questa modalità particolare con commenti a margine, non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (25/2/2018)

[…]

È utile […] interrogare quelle pratiche che hanno rinnovato l’impianto di IC e hanno fatto della proposta di fede ai genitori uno dei punti centrali e chiedere loro che cosa accade veramente. Questo non tanto per imitarle, quanto piuttosto per trarre qualche indicazioni di percorso che tenga insieme passione e realtà.

Riferendomi prevalentemente a tre verifiche riporto cosa sta emergendo sui tre soggetti implicati: i ragazzi, i genitori, la comunità (in particolare i parroci e i catechisti).

I ragazzi

Un dato che emerge con una certa crudezza dalle verifiche è che il rinnovamento messo in atto non cambia all’apparenza gran che per quanto riguarda i primi destinatari, i ragazzi. La continuità di appartenenza e di pratica sembra essere simile a prima del rinnovamento dell’IC, se non addirittura inferiore, non essendoci più la cresima a trattenere i ragazzi fino alla III media[1]. Risulta ad esempio che i ragazzi, terminato il percorso, disertano l’eucaristia domenicale come avveniva con il modello precedente, mentre manifestano una certa disponibilità a partecipare alle altre attività parrocchiali o di oratorio nei contesti in cui c’è un buon tessuto relazionale e una buona proposta di animazione. Nulla di nuovo sotto la luce del sole, si potrebbe dire.

La reazione immediata, e giustificabile, è di delusione: occorreva fare tutto questo lavoro per non ottenere nessun risultato? Sono state energie sprecate. Ma la lettura va fatta diversamente.

Che i ragazzi se ne vadano dopo la conclusione dell’IC (3 su 4 circa è la media italiana), è in fondo un dato fisiologico. Sono allontanamenti naturali, in qualche modo persino necessari per una interiorizzazione e personalizzazione di quanto si è ricevuto per tradizione. Qualcuno “se ne va” restando, altri se ne vanno andando via. Prendono le distanze. Le domande giuste da farsi sono le seguenti: «Come se ne vanno? Da che cosa? Con quale messaggio rispetto alla fede e alla comunità?». «Come se ne andavano prima e come se ne vanno ora?». Una cosa è certa: a differenza delle precedenti generazioni di ragazzi, questi hanno visto alcuni adulti (i loro genitori e quelli dei loro coetanei) parlare della fede, trovarsi attorno alla Parola di Dio, condividere la loro esperienza dentro la comunità ecclesiale, partecipare con loro all’eucaristia. Possiamo sperare che questo abbia perlomeno l’effetto di farli uscire da quel metamessaggio che essi coglievano chiaramente, perché non sono stupidi, vale a dire che la fede è una cosa utile fin che si è bambini. Se si vuole diventare grandi, occorrerà lasciarla perdere, come i loro genitori[2]. Ma ci sono altri messaggi importanti, prima di tutto la figura di fede che è stata trasmessa. Noi siamo delusi perché tre su quattro se ne vanno e ci rallegriamo per il quarto che resta. Ma la domanda vera dovrebbe essere: con cosa se ne vanno e con cosa resta? Perché se si allontano con il messaggio del kerigma nel cuore e l’esperienza di una comunità accogliente, questo costituisce il patrimonio perché ritornino, se la grazia di Dio e la loro libertà lo permetteranno. Se invece hanno dentro una visione di fede ridotta a morale e l’immagine di una comunità disinteressata, fondamentalmente rituale e poco interessante per il loro bisogno di vita, sarà difficile che tornino. Analogo è il discorso per il quarto (o il terzo) che resta.

La considerazione decisiva sugli gli effetti del rinnovamento per i ragazzi non è quindi quantitativa, ma qualitativa, e questo non può essere verificato nell’immediato. Il dato all’apparenza negativo va preso come un invito a stare attenti a ciò che è decisivo.

[N.B. DE GLI SCRITTI Questo passaggio è interessantissimo. Si afferma che qualcosa che prima veniva visto come un dato drammatico è invece fisiologico e si sostiene che sono altri i criteri con cui valutare. Forse anche il passato andrebbe valutato con gli stessi criteri, accorgendosi che la differenza non la fa la catechesi di nuovo stile o la catechesi con stili più sperimentati, ma è data dalla qualità della passione dei preti e dei catechisti, così come dell’intera comunità, che accompagna i ragazzi. Comunque si tace del ruolo delle comunità giovanili e degli animatori dell’oratorio quasi che l’unico elemento decisivo sia quello dei genitori e non anche quello dei giovani più grandi ai quali i ragazzi dell’Iniziazione cristiana guardano come ad un modello proprio quando non vogliono più seguire le direttive dei genitori]

I genitori

I dati sui genitori sono più confortanti, ma presentano un’ambivalenza significativa, così riassumibile: il percorso rinnovato di IC non contribuisce a riavvicinare persone lontane, mentre rappacifica con la comunità e riapre un certo cammino di fede per i genitori già in qualche modo più vicini. Più che di conversione, quindi, parliamo di ricominciamento per un numero non alto ma significativo di genitori. Questo dato ci fa pensare due cose:

a) Se la proposta ai genitori riavvicina alla fede e rappacifica con la comunità alcuni genitori, questo è molto più significativo e importante del primo dato, quello sui ragazzi (il quale comunque non va sottovalutato), perché questa è la condizione per un possibile futuro della fede dei bambini. La quantità conta poco, perché la fede e il suo ricominciamento non sono dominabili in termini cronologici dalle nostre programmazioni: sono il mistero della grazia di Dio e della libertà umana.

b) Il secondo dato è altrettanto istruttivo. Non si sono avvicinati i genitori più lontani. Come leggere questo? Semplicemente prendendo atto che il rinnovamento dell’IC, nella fase attuale non può da solo assumere tutto il compito dell’annuncio del vangelo alla famiglia, e in particolare agli adulti. “Da solo” si riferisce a questo rinnovamento in prospettiva catecumenale quando esso viene messo in atto dentro una parrocchia la cui logica pastorale continua ad essere quella di conservazione dei già vicini. Per molti adulti, in particolare per chi si è marcatamente allontanato o è in questa fase della vita del tutto disinteressato alla fede, gli appuntamenti per un possibile kerigma vanno tenuti tutti aperti e riguardano i passaggi della loro vita, di cui uno è l’esperienza genitoriale, ma altri decisivi sono l’esperienza dell’amore, del fallimento di un matrimonio, della perdita di lavoro, della malattia, di un lutto, della propria fragilità, del proprio morire. Si tratta in sostanza di quelle soglie della fede che il Convegno ecclesiale di Verona del 2006 aveva indicato come sfida pastorale.

[N.B. DE GLI SCRITTI Questo passaggio è estremamente significativo. Indica un aspetto della situazione odierna su ci è bene operare un discernimento. Noi de Gli scritti possiamo testimoniare che l’Iniziazione cristiana, in diverse situazioni, ha avvicinato molti che erano realmente lontani dalla fede, anche senza particolari “sperimentazioni”. Certamente, per quel che riguarda Roma, esistono esperienze di annuncio, si pensi solo ai “dieci comandamenti” che incontrano tantissimi lontani dalla fede, conducendoli anche al Battesimo da adulti, e che indicano che quanto su questo proposto dalla relazione di Biemmi è estremamente corretto. Ma, nonostante tali esperienze di annuncio, proprio la catechesi dei figli è, per la nostra esperienza, la forma di annuncio agli adulti oggi più diffusa e capace di toccare i cuori. Forse proprio perché essere adulti è avere dei figli e proprio perché essere adulti non è più preoccuparsi dei propri bisogni, ma di quelli di un altro? Forse perché capire che la fede è un bene per i propri figli non è esattamente il modo adulto di comprendere la fede in senso pieno e vero? Certo, non nel senso che i genitori non debbano essere convinti che sia prima di tutto un bene per loro stessi, ma nel senso che comprendono che è un bene per loro, proprio mentre si interrogano sui figli. Nell’esperienza di ognuno è vero che la nascita dei bambini porta a valorizzare un’infinità di aspetti dell’infanzia e della giovinezza che si erano dimenticati. È quando si diventa padri o madri che si capisce cosa vale nella vita. La linea de Gli scritti è piuttosto quella di considerare la catechesi dell’Iniziazione cristiana come la forma più diffusa e coinvolgente di primo - o di secondo, secondo la terminologia di Biemmi - annuncio esistente in Italia oggi. La maggior parte delle altre proposte si sta rivelando come un’esperienza di nicchia].

La comunità

Veniamo al terzo soggetto implicato, che è la comunità promotrice di questo rinnovamento. Parliamo dei preti, dei consigli pastorali e dei catechisti, e quindi di un nucleo piccolo ma vitale della comunità parrocchiale. Cosa cambia nel gruppo di catechisti e nelle nostre comunità grazie a questo rinnovamento?  È questa la questione fondamentale: non si rinnova se rinnovando un modello questo non rinnova coloro che lo propongono. Sarebbe una pura questione strategica, come se da una parte ci fossimo noi che abbiamo il Vangelo, dall’altra quelli che lo devono ricevere.

Dallo sguardo sul rinnovamento dell’IC in molte diocesi italiane possiamo vedere che il dato più sicuro è proprio questo: al di là degli effetti sui ragazzi e sui loro genitori, il grande cantiere del rinnovamento dell’IC con il coinvolgimento dei genitori ha rimesso in moto la comunità ecclesiale, ha restituito fecondità a un grembo da troppo tempo sterile. Sono diverse le testimonianze di preti che dicono che prima non ne potevano più e che ora hanno ritrovato il gusto del loro ministero, pur con le fatiche e gli scombussolamenti. E ancora di più i catechisti e gli animatori che dicono di essere usciti dalla solitudine e di avere ripreso il cammino di fede personale grazie in particolare agli adulti con i quali e non per i quali fanno catechesi. Insomma, occorre chiedersi se il rinnovamento dell’IC di questi anni ha confermato la verità della felice affermazione del n. 7 del documento sul volto missionaria delle parrocchie in un mondo che cambia: «Con l’iniziazione cristiana la Chiesa madre genera i suoi figli e rigenera se stessa»[3].

[…]

Note al testo

[1] Così si esprime un questionario: «L’anticipazione del sacramento della Confermazione in V elementare rischia di far terminare la catechesi anticipatamente, per cui i ragazzi della scuola media disertano il catechismo e si allontanano dalla vita liturgica e catechetica della parrocchia. La strutturazione del catechismo nell’arco di 8 anni con al suo interno le 3 tappe dei 3 sacramenti (Penitenza, Comunione in terza elementare e Confermazione in terza media) aveva una certa logica e una propria funzionalità, agganciata ai rispettivi 8 anni della scuola elementare-media. Il cambiamento dettato da motivi più teologici che pastorali ha portato un certo disagio e disorientamento che produce i suoi effetti negativi».

[2] Si veda a questo proposito l’interessante indagine “Sentieri interrotti” curata dall’Osservatorio socioreligioso del Triveneto e coordinata dal Prof. Alessandro Castegnaro: Castegnaro Alessandro, La questione dell’iniziazione nell’età evolutiva all’interno di un contesto pluralistico, relazione tenuta alla XXVI settimana di studio della Associazione Professori e Cultori di Liturgia, Seiano di Vico Equense (Na), 31/08 – 5/09/1997.

[3] CEI, Il volto missionario delle parrocchie, n. 7.