L’accoglienza e la preghiera di un monastero di clausura al centro della città di Roma: la comunità dei Santi Quattro Coronati, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /02 /2018 - 16:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito Romasette di Avvenire un articolo di Andrea Lonardo pubblicato il 31/1/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Il Novecento: il fascismo, il nazismo e l'opposizione ad essiPer altri testi della rubrica Ritratti romani curata da Andrea Lonardo, cfr. il tag ritratti_romani.

Il Centro culturale Gli scritti (4/2/2018)

Nella Roma città aperta, tiranneggiata dai nazisti, l’intera popolazione romana si mise a servizio di ebrei, perseguitati politici, partigiani, disertori fascisti. Alcune comunità compirono gesti assolutamente meravigliosi e imprevedibili, alcuni dei quali sono comprensibili solo a partire da un’esplicita richiesta del pontefice. È il caso della comunità monastica di clausura delle agostiniane dei Santi Quattro Coronati che aprì le porte del convento per ospitare nei suoi locali non solo donne, ma anche maschi, ebrei e perseguitati politici, fra cui il rabbino Ravenna.

Le monache, come è abituale nei monasteri, redigevano un diario della comunità, che veniva aggiornato periodicamente a partire da minute scritte in modo non organico. Il testo, che porta il titolo di Memoriale, reca scritto per l’anno 1943: «Arrivate a questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto inaspettata. Il santo padre Pio XII, dal cuore paterno, sente in sé tutte le sofferenze del momento. Purtroppo con l’entrata dei tedeschi in Roma, avvenuta nel mese di settembre, si inizia una guerra spietata contro gli ebrei che si vogliono sterminare mediante atrocità suggerite dalla più nera barbarie. Si rastrellano i giovani italiani, gli uomini politici, per torturarli e farli finire tra tremendi supplizi. In queste dolorose situazioni il Santo Padre vuol salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice, e, col giorno 4 novembre, noi ospitiamo fino al 6 giugno successivo le persone qui elencate».

Senza un’esplicita richiesta di Pio XII, che dovette avvenire non in forma scritta, ma tramite qualche inviato in forma riservata, mai un monastero di clausura avrebbe potuto aprirsi ad una simile accoglienza, poiché essa avrebbe violato le disposizioni canoniche in merito.

Le suore accolsero ebrei e perseguitati non nella foresteria, accessibile dall’esterno, bensì nel chiostro del monastero, come nei corridoi e nelle stanze stesse della loro casa. È evidente il senso di sollievo delle monache quando, il 6 giugno, due giorni dopo la liberazione di Roma, gli ospiti lasciarono il convento ed esse si ritrovarono finalmente libere in casa propria: «Finalmente si aprirono le porte a questi poveri rifugiati, e restammo di nuovo nella nostra libertà».

La relazione che il monastero aveva, allora come oggi, con la città intera, è evidente dal numero di oggetti che vennero nascosti nel convento per non essere requisiti dai nazisti ed essere restituiti alla liberazione di Roma. Il Memoriale scrive che le monache nascosero in casa: «undici automobili, compresa quella del generale Badoglio, e del generale Tessari, due camion portati qui da militari subito dopo l’8 settembre ’43. Un autotreno, una motocicletta del capitano di Trapani, un triciclo, dieci biciclette. Dell’azienda Gianni abbiamo nascosto sette cavalle, quattro mucche, quattro buoi, tutte le macchine agricole, e mezzi di trasporto».

Ciò che diviene lampante in momenti di crisi è, però, la vita ordinaria dei Santi Quattro Coronati, così come degli altri momenti di clausura della città. Roma sopravvive e vive, anche oggi, perché c’è chi prega giorno e notte per i romani. La clausura sembra rinchiudere alcune persone, ma in realtà le pone a disposizione della città intera, senza esclusioni. Oggi il monastero dei Santi Quattro Coronati è un punto di riferimento per tantissimi e, silenziosamente nella preghiera, per l’intera città.

Le suore incontrano i giovani accompagnati dai sacerdoti delle parrocchie, i cresimandi della diocesi che si recano lì in pellegrinaggio notturno, i giovani universitari e post-universitari in ricerca vocazionale, ma anche tante persone che giungono in monastero perché bisognosi non solo di un luogo di silenzio, ma anche di una comunità che sia guida nella preghiera e nel discernimento.

La priora, suor  Fulvia, incontrando i catechisti della diocesi in formazione, ha più volte raccontato loro che la preghiera personale non può che avvenire nel segreto come l’amore fra un uomo e sua moglie è un dono che si compie nel segreto di una camera e nessuno dei due oserà mai raccontare ad altri i gesti e le parole dell’intimità: Dio è l’amante, l’amico, l’intimo del cuore e senza segreti non vi è rapporto d’amore.

Il monastero è così memoria e profezia del desiderio e della necessità del cuore umano di essere vicino al Signore.

La comunità monastica dei Santi Quattro accompagna anche il cammino vocazionale di tante giovani. Con grande lucidità le monache hanno compreso che le donne sono chiamate da Dio in maniera diversa che le figure maschili. Se un uomo riceve la vocazione in maniera diretta da Dio, spesso le donne scoprono che Dio le chiama a partire da una situazione di pericolo di vita del popolo. Ester o Giuditta si accorgono che il popolo ebraico sta per essere sterminato e si alzano e intervengono a rischio della loro vita: nel bisogno, nella fame, nella sete, nel rischio di morte, Dio le chiama, perché i figli del popolo gridano e piangono.

Il cammino vocazionale proposto dal monastero inizierà quest’anno con il fine settimana 9-11 febbraio e avrà come tema: “Donne di Dio. Il coraggio della vita”. Si rivolgerà a donne giovani, dai 23 ai 33 anni, desiderose di comprendere la loro vocazione: anche questo accompagnamento nel discernimento vocazionale personale è un grande servizio offerto alla città e a chi cerca in essa la volontà di Dio.

Un monastero è una casa per la città. Un monastero è un “giardino” di frescura e bellezza per Roma. Un monastero è una “comunità” cittadina dove si è accolti in una rete di relazioni. Un monastero, soprattutto, è un segno in Roma dell’esigenza di Dio nel cuore degli uomini. Tanti romani si stupiscono che delle donne rinuncino ad una relazione affettiva con un fidanzato, ma stranamente non sono capaci di stupirsi che tanti rinuncino alla comunione con Dio, al suo affetto, alla sua misericordia. Il monastero dei Santi Quattro Coronati fa eco al Cantico dei Cantici: nel cuore dell’uomo esiste una ferita d’amore, per cui l’uomo, senza Dio, non trova più sé stesso e non riesce a vivere nella gioia, perché il desiderio di Dio è la vera ferita d’amore che tormenta l’uomo e la donna. Per questo, senza i suoi monasteri, Roma non può vivere.