No al falso dilemma a favore o contro i migranti. Dalla politica ci aspettiamo idee e progetti, non dichiarazioni moralistiche di sinistra o di destra. Ecco qualche proposta concreta, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /07 /2017 - 22:23 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione.

Il Centro culturale Gli scritti (2/7/2017)

Il vescovo mons. Djomo che invita i migranti a non lasciare 
l'Africa a nome della Conferenza Episcopale del Congo

1/ No al falso dilemma a favore o contro i migranti, sì a progetti di lungo periodo

Dobbiamo rifuggire con forza dal falso dibattito di chi si schiera a favore o contro i migranti. Il vero problema è stabilire quanti accoglierne, ma soprattutto con quale progetto, perché le migrazioni non si risolvano in tragedie, innanzitutto per i migranti stessi.

Se i migranti, infatti, spendono tutto ciò che hanno per il loro viaggio (per un costo che va dai 5.000 ai 10.000 euro) per ritrovarsi poi a vivere di accattonaggio, o entrare nella malavita o nella prostituzione (per le donne) l’accoglienza ha fallito. Si noti bene: chiunque affermi che i migranti sono dei malviventi è un bugiardo, ma lo è altrettanto chi non chiarisce che, se non c’è un progetto chiaro e realistico, i migranti rischieranno di diventare tali, pur essendo in partenza delle persone degnissime, perché per vivere serve comunque del denaro.

La questione vera di cui nessuno vuole parlare è cosa avviene dopo il primo anno di accoglienza, quando viene accertato che la maggior parte dei migranti non ha diritto allo status di rifugiati e quindi lo Stato li “scarica”, “scaricando” al contempo le associazioni che per un anno li hanno seguiti. Dopo un anno, infatti, se non sono rifugiati, lo Stato dice loro: “Ora vedetevela voi, l’anno è passato, io non pago più alcun contributo e voi stranieri siete degli irregolari”.

Questa è la domanda da rivolgere ai politici: cosa avverrà del 95% dei migranti che non avranno lo status di rifugiati, dopo circa un anno di accertamenti? Ai politici spetta di formulare un progetto a riguardo. Che dicano di essere per l’accoglienza è pura demagogia, se non chiariscono quale sarà la situazione lavorativa dei migranti dopo un anno dal loro arrivo in Italia. I politici, invece, preferiscono continuare a parlare della prima accoglienza nella quale vengono investititi fiumi di denaro, mentre si rifiutano di dichiarare quali progetti hanno riguardo ai migranti a partire dal secondo anno di permanenza in Italia.

Come ho già segnalato[1], la conseguenza è che, dopo un anno, le persone “spariscono”, non appena si cessa di sostenere la loro vita con i fondi previsti per il primo anno. “Spariscono” nel senso che li si ritrova a chiedere l’elemosina, o a lavorare in nero presso crumiri, se non si giunge alla possibilità peggiore che consiste nell’ingresso nella malavita o nella prostituzione.

2/ Il populismo delle dichiarazioni della sinistra e della destra

Chi si limita a dire “sì” ai migranti, come chi si limita a dire loro “no”, è un populista. È evidente, infatti, che dire di “sì” è una posizione di copertura perché non si vuole dichiarare quello che si sta in realtà cercando di fare.

Gentiloni e Minniti, per partire da uno sguardo a sinistra, stanno in realtà cercando di chiudere le porte di accesso in Italia (lo stesso presidente della repubblica Mattarella si è espresso a favore di seri restringimenti dell’accoglienza), ma non vogliono dichiararlo pubblicamente per non scontentare il loro elettorato. Allo stesso modo la stampa continua a far credere populisticamente ai lettori che sia Trump a voler costruire un muro per impedire l’immigrazione messicana, mentre esso già esiste ed è stato costruito in gran parte durante la presidenza Obama, ma dichiarare questa vertà non gioverebbe all’immagine dell’ex presidente statunitense che deve invece apparire come il paladino dei migranti.

Ma è evidente anche il contrario, e cioè che gli esponenti della destra sbandierano chiusure a saracinesca, ma non hanno tuttora un progetto chiaro su come farlo e su come procedere ad una vera integrazione. La destra assomiglia troppo a Trump che, mentre spara dichiarazioni a raffica, stringe alleanze con i sauditi e non dichiara mai la verità e cioè che il muro con il Messico già esiste e che non ne è stato lui l’artefice.

Assurdo è poi che vengano presentati come aperti all’accoglienza premier di paesi come il Canada o la Svezia (così come tanti altri paesi presi a torto come modello per l’Italia) nei quali gli accessi sono pochissimi e regolatissimi. Nonostante il welfare e la ricchezza di quegli stati, la situazione di alcune città è esplosiva al punto da obbligare i nativi in alcuni quartiere a modificare il modo di vivere, soprattutto quello delle donne: si pensi in particolare al Canada, difeso dal mare Atlantico, dove vorrebbero recarsi moltissimi dei nostri migranti e che il paese con il suo premier Trudeau si rifiuta categoricamente di far entrare, mentre predica a tutti l’accoglienza.

3/ Alcune questioni che la politica dovrebbe affrontare, invece di banalizzare tutto dividendo gli italiani in favorevoli e contrari all’accoglienza

Dire sì o no ai migranti senza che i politici dichiarino quale politica estera ed interna di lungo periodo condurranno in merito è parlare a vanvera. Solo una riflessione più ampia può dare il coraggio al paese per un’accoglienza che sia fruttuosa perché intelligente e per un rinnovato sforzo economcio in merito.

Non possiamo non offrire alcuni esempi in merito, ma sarebbe la politica a dover parlare di questi temi e a proporre a noi progetti, piuttosto che discettare di vuoti moralismi.

4/ In politica estera: progetti nei paesi d’origine

Innanzitutto. Se, come è assolutamente evidente, la maggior parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo non lo fanno perché fuggono dalle guerre o per ragioni di terrorismo (questi sono solo il 5% e questi hanno diritto allo status di rifugiati), ma per cercare una condizione lavorativa migliore, bisogna affrontare il problema: cosa fanno l’Italia e l’Europa per aiutare i luoghi d’origine dei migranti a migliorare le condizione di lavoro, in maniera da non obbligare le persone a viaggi pericolosissimi?

Molti ordini religiosi affermano che con qualche centinaia di euro all’anno sarebbero in grado di aiutare un nucleo familiare a organizzarsi con lavori dignitosi nel proprio paese, senza dover emigrare. Il micro-credito afferma di essere in grado di fare altrettanto. Perché la politica estera italiana, allora non si occupa di queste cose?

5/ I vescovi dei migranti implorano i giovani di non lasciare il paese. Che eco ha questo grido in Italia?

In secondo luogo, è a tutti evidente che chi viene in Italia non troverà facilmente un lavoro e che anzi si troverà in una situazione economica e abitativa peggiore di quella che ha ora nel suo paese d’origine. Io stesso parlando con alcune ragazze scappate alla prostituzione in una casa famiglia le ho sentite fare affermazioni analoghe: “Le ragazze del nostro paese che vogliono emigrare non hanno la minima consapevolezza del rischio che corrono nel giungere in Italia”.

Cosa fare per elaborare modalità che permettano a chi inizia a pensare ad emigrare di conoscere accuratamente la situazione lavorativa e abitativa che troveranno in Italia, perché non si facciano facili illusioni? Si noti bene l’errore commesso dai media: non è vero che la maggior parte delle persone scappano perché disperate. Le persone cercano di venire in Europa perché ignoranti del vero stato del paese, perché non informate, perché attratte dai modi pubblicitari propri dei media con i quali viene presentata la vita come facile e ricca di possibilità: i trafficanti di uomini incentivano questa presentazione del benessere italiano - che invece è in calo – e fanno credere ai migranti che in un batter d’occhio troveranno lavoro e comunque aiuti. Insomma li ingannano, con la nostra complicità. I migranti non sanno che non sarà loro concesso di lasciare l’Italia e di recarsi in Canada e non sanno che avranno grandissime difficoltà a trovare un lavoro dignitoso. Ma i trafficanti fanno invece credere loro che tutto sarà facile, perché le persone partano e loro, come malavitosi, possano approfittarne.

I vescovi locali, ad esempio della Nigeria, implorano i giovani migranti a non partire, mentre il loro grido non è nemmeno conosciuto in Italia[2].

6/ Quale impegno della politica estera italiana per una reciprocità con i paesi dei migranti?

In terzo luogo, perché i politici italiani con si spendono per accordi di reciprocità sui migranti con i loro paesi d’origine? Ad esempio, perché si discute di Ius soli, anche qui isolando irresponsabilmente la questione, senza affrontarla in un contesto più ampio di politica internazionale?

Chiunque conosce gli ambienti missionari sa che moltissimi Stati non intendono concedere ad italiani e a cristiani la cittadinanza e, addirittura, non intendono nemmeno concedere permessi di lungo periodo per la permanenza nei loro paesi. Continueranno a essere rigorosissimi, se non nascerà un forte coinvolgimento dell’Italia in tale questione.

Molti missionari, che hanno solo permessi “di turismo”, sono così obbligati a rientrare ogni tot mesi in Italia (o in Europa). E se i politici italiani si adoperassero, invece, a che gli stati da cui provengono i migranti – siano essi a maggioranza islamica o abbiano costituzioni laiche - concedano ai missionari (si pensi, ad esempio, ad una famiglia neocatecumenale e ai suoi figli che certamente nasceranno all’estero) lo status di cittadini, mentre l’Italia accoglie i loro migranti?

Questa reciprocità farebbe comprendere ai migranti che il venire in Italia avrà un corrispettivo, di modo che i loro connazionali e correligionari accolgano come veri loro cittadini gli italiani migranti e la libertà penetrerà così nelle diverse nazioni. Ovviamente il computo numerico sarà impari, perché saranno tanti gli accolti in Italia e pochissimi gli italiani accolti all’estero, ma questo fatto avrà il valore di un simbolo. Il discorso non è retorico: si pensi, ad esempio, al fatto che 3 milioni e mezzo di turchi vivono in Germania, mentre a nessun prete o suora tedeschi (che potranno essere al massimo 5 o 10 unità) sarà mai permesso di avere la cittadinanza turca, in quanto non-musulmani.

7/ La politica interna: l’accoglienza avvenga soprattutto in piccole strutture e siano limitate al massimo le grandi

In quarto luogo – rivolgendosi ora alla politica interna – bisogna procedere ad una revisione rapida di alcune leggi, perché la situazione richiede interventi rapidissimi. Poiché il problema non è solo far giungere fisicamente le persone in Italia e non farle affogare nel mare, ma ben di più integrarle, ecco che l’integrazione implica un’immediata immissione nella cultura del nostro paese dove si è giunti.

Perché questo avvenga deve essere evitato assolutamente ogni grande concentrazione di migranti, perché in tal modo non avverrà alcun inserimento. Bisogna cessare di appoggiarsi in maniera privilegiata alle organizzazioni e ai privati con grandi strutture o a chi gestisce da privato grandi case o alberghi per rivolgersi soprattutto ad organizzazioni che accolgano al massimo da 3 a 5 migranti. Bisogna moltiplicare il numero di queste realtà e limitare al massimo invece l’accesso a grandi strutture.

8/ Un’immediata responsabilizzazione dei migranti tramite primi lavori a favore della struttura in cui sono accolti

Bisogna inoltre concedere subito, senza attendere nemmeno una settimana dall’arrivo, a tali strutture di far lavorare i migranti, non per sfruttarli, ma perché avvertano di poter dare un contributo. Basteranno anche lavori semplici, nella manutenzione delle case dove abitano, dei loro giardini, dei loro orti – fra l’altro, senza un lavoro svolto fianco a fianco non si impara nemmeno la lingua italiana –, per mostrare subito che l’aiuto che si riceve non è un diritto, ma implica una collaborazione fattiva. Far questo vuole dire cambiare la legislazione attuale che è adatta ad una situazione normale, ma non ad una situazione di emergenza come l’attuale. La disponibilità al lavoro e all’impegno, la cura dei luoghi e il rispetto delle regole, potranno essere condizioni per valutare eventuali permessi di permanenza in Italia nel caso in cui non si otterrà lo status di rifugiati.

Non è necessario aver fatto grandi studi di sociologia o psicologia sociale per avere chiaro che se 100 o addirittura 1000 giovani di diverse nazionalità vengono posti a vivere insieme in un unico luogo, senza che abbiano niente di significativo da fare per 1 anno intero, rendendosi conto pian piano che non ci sono sbocchi seri alla loro situazione passato quel primo anno, siano tentati di fare qualcosa di cattivo.

Mi sembra ottima, ad esempio, la presenza di migranti nelle comunità parrocchiali o nelle famiglie o nelle sezioni ARCI o in quelle di partito o nei comitati di quartiere, come nei centri sociali o in quegli degli anziani o nei dopolavoro, dove un piccolo gruppo di persone si possa prendere cura in modo familiare di 3 migranti che arrivano: lo Stato dovrebbe sostenere questo tipo di realtà di carattere “familiare”, caldo, piccolo, ed abbandonare invece realtà più grandi dalle quali forzatamente i migranti, dopo un anno di permanenza, “scompariranno” così come sono arrivati, avendo anzi peggiorato il loro umore e la propria disponibilità ad adattarsi.

Lo Stato deve sostenere la società civile – lo Stato è sussidiario – e non ridurre l’accoglienza ad una questione economica di contributi da assegnare a chi “organizza” l’accoglienza, in maniera pseudo-specialistica. Si deve dare carta bianca ai piccoli nuclei umani, eliminando ogni pastoia burocratica ed ogni impedimento legislativo sulle garanzie di sicurezza o sulle questioni lavorative (nessuna piccola comunità è in grado di vivere sottostando a tutte le regole burocratiche del caso, mentre lo sono le grandi strutture che però sono disumane e inadatte alla bisogna), se sarà evidente che quella realtà comunitaria sarà disposta a perdere denaro, pur di fare il bene degli interessati.

9/ Deve essere chiarito a cittadini e migranti cosa accadrà nel caso non si ottenga lo status di rifugiato

Inoltre, deve essere chiarito immediatamente cosa avverrà delle persone che non otterranno lo status di rifugiati. Deve essere chiarito perché lo sappiano le persone prima di attraversare il deserto e il mare. Ogni mancanza di chiarezza favorirà il degrado umano dei migranti giunti in Italia che, non trovando lavoro e vivendo tristemente la scoperta di essere stati illusi dai trafficanti, cercheranno vie alternative e non chiare.

10/ Serve una inter-cultura che combatta qualsiasi visione della vita contraria al dettato costituzionale, ad esempio in merito alla donna

Devono essere poi lanciati chiari segnali che raggiungano i paesi d’origine, prima del tentativo di viaggio, a riguardo delle modalità tipiche di vita di un paese che ha una sua tradizione, un paese come l’Italia che permette di vivere liberamene la propria religione, ma un paese che al contempo obbliga ad una visione della donna secondo la Costituzione, con la possibilità di incontrare a tu per tu gli uomini, la possibilità di cambiare religione, l’obbligo dello studio, l’obbligo per i maschi di relazionarsi con pubblici ufficiali o medici, anche se donne, ecc.[3] È molto bello che l’Italia dia il benvenuto e accolga, ma che accolga appunto invitando ad essere rispettosi: se qualcuno domanda di venire in Italia ciò vuol dire che egli accetta il modo di vivere tipico dell’Italia, ad esempio il modo italiano di concepire l’uguaglianza fra l’uomo e la donna.

11/ Proposte chiare come queste generano coraggio nell’accogliere: l’Italia non è razzista

La forza con cui tali prospettive – e altre ancora – saranno portate avanti eliminerà le remore e le paure di chi esita ad accogliere. L’Italia non è un paese razzista, lo è meno di qualsiasi paese europeo. Se si chiude nella paura, ciò non avviene perché è razzista, ma per la latitanza della politica che divide moralisticamente il paese in buoni e cattivi, senza preoccuparsi colpevolmente di mettere gli italiani nella condizione di realizzare un’accoglienza intelligente e vera.

Il paese attende dalla politica non schieramenti populistici, ma azioni, proposte, progetti, regole, per trovare il coraggio di realizzare ciò gli italiani hanno nel cuore: non solo il proprio bene, ma anche il bene delle altre nazioni.

Una politica che persegua con progetti chiari tale bene nei paesi d’origine e che al contempo mostri cosa avverrà dei migranti dopo il primo anno di accoglienza, ma che al contempo viva le migrazioni come un’occasione per proporre con forza i valori del paese e della sua Costituzione, aiuterà a superare gli sterili schieramenti del “sì” e del “no”, per un’accoglienza reale.

Non è ammissibile un’accoglienza di facciata che si tramuti poi in dramma per chi ha abbandonato la propria terra, come purtroppo sta invece avvenendo per moltissimi migranti che si ritrovano nel nostro paese avendo perso tutto ciò che avevano perché ingannati dai trafficanti e dal colpevole silenzio dei media.

Note al testo

[1] «Finora come Stato non stiamo facendo il bene dei migranti. Certamente qui è sempre meglio della situazione da cui provengono, dove rischiano la morte, la fame, la tortura. Ma manca la progettualità di inserimento nel lungo periodo. Nessuno è interessato ad affrontare le questioni lavorative, le questioni d’integrazione reale nella cultura nuova in cui si vengono a trovare, ma anche il futuro per i loro figli». La triste analisi di un prete che si occupa dell’accoglienza dei migranti, di Giovanni Amico.

[2] Cfr. 1/ Il tesoro che l’Africa sta buttando a mare. Il problema dei migranti visto dal vecchissimo Continente. Ecco quali sono le conseguenze economiche e sociali della perdita di una intera generazione che non farà più ritorno a casa, di Anna Bono 2/ “Restate in Africa per costruire un continente migliore”: appello dei Vescovi africani ai giovani. Una nota dell’Agenzia Fides 3/ Sono pochi i rifugiati nella massa degli immigrati, di Anna Bono.

[3] Mi sembra decisivo quanto scritto da A. Lonardo in Per una prospettiva “inter-culturale”, di Andrea Lonardo.