“Prego che Dio perdoni chi ci ha fatto del male”. La fede di Myriam, bimba irachena in fuga dall’Isis, di Piero Vietti
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Riprendiamo da Il Foglio del 23/11/2015 un articolo di Piero Vietti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti vedi le sotto-sezioni Islam e La libertà religiosa e la persecuzione delle minoranze nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e dialogo fra le religioni. Vedi in particolare Maryam: "Prego Dio che ci riporti a casa". Un video per mostrare la risposta che i bambini possono dare alla violenza.
Il Centro culturale Gli scritti (29/1/2017)
Myriam con la sua amica Sandra ritrovata
Roma. “Cosa senti nei confronti di quelli che ti hanno obbligata a lasciare le tua casa?”. “Non voglio far loro niente, chiedo solo a Dio di perdonarli”. “E anche tu puoi perdonarli?”. “Sì”. “Ma è difficile perdonare chi ci ha fatto soffrire”. “Io non voglio ucciderli, perché dovrei? Certe volte piango perché abbiamo lasciato la nostra casa, ma non sono arrabbiata con Dio, lo ringrazio perché si occupa di noi”.
Myriam ha dieci anni quando dice queste cose, circa un anno fa, a un giornalista dell’emittente cristiana di lingua araba SAT-7. Mesi prima aveva lasciato con la famiglia la sua città d’origine, Qaraqosh, in Iraq, per sfuggire ai miliziani dello Stato islamico. Adesso è a Erbil, nel Kurdistan iracheno, ospite assieme a migliaia di altre persone in un centro profughi dove la vita è difficile e spesso mancano acqua ed elettricità.
Quell’intervista di Myriam ha cominciato a circolare su internet nei primi mesi di quest’anno, e quella piccola bambina irachena è presto diventata il simbolo di una fede che tanti in occidente sembrano avere smarrito. “Dio si preoccupa per noi”, diceva Myriam al suo intervistatore, “perché non ha permesso che l’Isis ci uccidesse”.
Myriam ha perso tutti gli amici – dispersi, forse uccisi – sa che per tanto tempo, forse per sempre, non potrà più tornare a giocare a casa sua, ma sorprende per il suo giudizio così adulto: “Certo che Dio ama anche quelli che ci hanno fatto del male – dice – però non ama Satana”.
Myriam aveva un’amica prima di finire al centro profughi di Erbil, si chiama Sandra: “Ci volevamo bene, se una faceva un torto all’altra ci perdonavamo. Spero di rivederla. Spero di tornare a casa e che anche lei torni a casa, così potremo rivederci”. “Spero che tornerai in una casa più bella di quella che avevi prima”, le dice il giornalista. “Non quello che vogliamo noi, ma quello che vuole Dio”, risponde Myriam sorridendo, spiazzante. Lontana da casa, la famiglia di Myriam vive in un container nel centro commerciale Ainkawadi di Erbil: mamma, papà, lei e una sorella. “Siamo felici qui dove siamo perché ovunque andiamo Dio è con noi”, ha detto Myriam parlando a luglio di quest’anno via Skype a un gruppo di ragazzi siciliani grazie all’aiuto dei cooperanti di Avsi. Spera di diventare medico e andare in giro per il mondo ad aiutare gli altri, aggiungeva.
“Sandra, amica mia, non piangere!”, aveva detto sorridente qualche mese prima, invitata di nuovo dalla tv araba che l’aveva “scoperta”: in studio c’era la sua amica Sandra, che non vedeva da quasi un anno, in lacrime. Qual è la prima cosa che faresti, se tornassi a Qaraqosh?, le hanno chiesto ancora i ragazzi italiani a luglio: “Pregare. Perché quando siamo dovuti scappare Lui ci ha salvati, quindi la prima cosa che farei è ringraziare pregando”. A fine agosto Myriam e la sua famiglia sono intervenuti con un video al Meeting per l’amicizia tra i popoli organizzato da Comunione e Liberazione a Rimini. Myriam ha raccontato così la sua giornata tipo: “Mi sveglio, mi preparo, e poi prego Gesù e Maria perché ci salvino e ci possano dare un giorno nuovo”.
Scacciati di casa dalla violenza jihadista, i genitori di Myriam sorridono: “Posso essere triste, ricco, povero, questo non cambierà mai la fede che ho in Dio”, diceva il papà della bambina irachena. Nel corso dell’ultimo anno, ha detto la madre, da quando cioè sono nel campo profughi, “tutte le difficoltà ci hanno avvicinato a Gesù, da lui traiamo la nostra forza. Gesù ci dà speranza, perché ci ha insegnato ad amare il prossimo, a dargli fiducia”. A chi si domanda se ci sarà un futuro per i cristiani in quelle zone bisognerebbe far sentire quello che dicono i genitori di Myriam: “Il futuro è nelle mani di Dio, non c’è uomo al mondo che possa deciderlo. Non è la mia volontà, ma la Sua. Dio non ci farà mai del male”. “Io ho fede e so che Lui ha un piano. Magari non per noi in particolare, ma per i cristiani in Iraq. Dio ci aiuterà, anche se adesso stiamo soffrendo. Siamo pazienti, siamo fiduciosi, il futuro sarà buono per noi”.