Il rabbino Roberto Della Rocca su Chanukkà e su Eretz Israel [Una rinnovata consapevolezza dell’identità ebraica]
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1/ Su Chanukkà e Natale
Riprendiamo da FB un post pubblicato dal rabbino Roberto Della Rocca il 26/12/2016. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line. Per aapprofondimenti, cfr. la sezione Ebraismo.
Il Centro culturale Gli scritti (1/1/2017)
(pubblicato in Attualità il 26 dicembre 2016 - 14 טבת 5776)
In vari discorsi celebrativi di Chanukkà di questo anno, come in molti post nei social network, si assiste ad una ostentazione un pò perniciosa sulla coincidenza tra Chanukkà e il Natale. Questo atteggiamento da parte ebraica, sdoganato dal livellamento culturale tipico di quel contesto un pò folklorico – americano che seduce tanto anche una certa Israele, potrebbe essere interpretato in diversi modi. Da un semplice comportamento cortese e di buon vicinato nei confronti della società circostante in cui viviamo, fino a un moto di ingenua ironia corredata da vignette di babbi natale con la kippà e altro. Talvolta, aleggia, invece, quella modalità deformata e omologata di leggere la propria cultura, del tipo: “Vogliamo far vedere che anche noi abbiamo le nostre lucine e i nostri addobbi in questi stessi giorni…!” . La stessa logica che ha guidato quei tanti tentativi di emulazione, come per esempio, la costruzione di Sinagoghe monumentali, tanto magnificenti, quanto vuote, ma con le cupole e gli altari come nelle Chiese attorno.
Altre volte ci troviamo di fronte a una dinamica che blandisce quello spirito ecumenico e che in alcuni casi degenera in un vero e proprio sincretismo culturale – religioso. Il neologismo “Chrismukkà” ne è una prova culminante. Un goffo tentativo di sovrapposizione di valori inconciliabili, nel quale ci si sforza in vari modi, di coniugare pezzi contrapposti di sé, che per l’universo mentale ebraico non potranno mai giungere a una sintesi inclusiva.
Ci si effonde in auguri natalizi accanto a quelli di Chanukkà, dimentichi che queste giornate, assieme al periodo della Pasqua, hanno costituito per tanti secoli nell’Europa ebraica occasione di tanti lutti e di angoscia per le nostre Comunità. Ricordo, quando ero piccolo, alcuni vecchi ebrei di Roma che la sera di Natale, in ottemperanza a una consuetudine del Ghetto, andavano a dormire al buio e senza mangiare in segno di lutto. In alcune tradizioni chassidiche e ashkenazite è addirittura vietato studiare Torà la sera del 24 dicembre, anche se in altre, viceversa, bisognerebbe studiare più del solito per compensare il buio da cui siamo avvolti. Insomma, una data critica per quegli ebrei memori delle angherie, delle prediche coatte e delle umiliazioni che venivano perpetrate ai danni dei nostri antenati, ancora più del solito da parte dei cristiani, negli stessi giorni in cui nei loro luoghi di culto si predicava simultaneamente l’amore e la fratellanza.
È vero, le cose sono cambiate. La Chiesa e il popolo cristiano hanno fatto molti passi avanti. Il Natale non è soltanto, per gran parte delle persone, una festa religiosa. E noi non possiamo restare chiusi nel nostro ghetto, sopratutto quello mentale e culturale. La domanda, tuttavia, resta in piedi. In che modo dobbiamo uscire dal ghetto e relazionarci alla cultura circostante? Gettandoci nell’oceano di una globalizzazione vacua e indistinta? Chanukkà, ancor prima dell’accensione delle luci nelle piazze pubbliche e dell’ allestimento di mostre di candelabri di vari artisti, è la festa dell’educazione. La parola Chanukkà deriva infatti dalla radice “Chinùch”, educazione.
Di fronte al pericolo della perdita di identità, gli ebrei oppongono la propria determinazione nel difendere la propria cultura e il diritto alla diversità contro il livellamento culturale imposto dalla cultura ellenista imperante. I “resistenti” sono pochi e organizzano una rivolta che fonda le proprie basi sull’adesione all’educazione ebraica. I “resistenti” sono pochi e devono fronteggiare un nemico molto più forte di loro. I “resistenti” sono pochi e sono isolati perché la grande parte del popolo non è con loro, ma nonostante si tratti di una lotta per la sopravvivenza, per questa lotta e per questa vittoria non ci sono miracoli da cercare e da ricordare.
Perché si tratta di una scelta che appartiene solamente a noi, in ogni epoca. Vi sono situazioni in cui bisogna schierarsi e definirsi con nettezza e senza ambiguità. Nell’universo ebraico esiste il concetto del “parwe”, la neutralità, ma mischiare carne e latte assieme non è contemplato. Come non possiamo indossare lana e lino, “shaatnèz”, in uno stesso indumento. Ognuno ha il diritto di essere ciò che desidera essere, ma su basi consapevolmente meditate, e coscienti che se si è “olio” non è possibile essere “acqua” contemporaneamente .
Roberto Della Rocca, rabbino
(26 dicembre 2016)
2/ Su Eretz Israel
Riprendiamo da FB un post pubblicato dal rabbino Roberto Della Rocca il 26/12/2016. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/1/2017)
(1 novembre 2016)
ll monumentale commento di Rashì alla Torà, scritto nell’undicesimo secolo, si apre con queste parole: “Disse rabbi Ytzchak (probabilmente il padre di Rashì): la Torà sarebbe dovuta iniziare con la prima legge data al popolo ebraico che riguarda il calendario (Esodo 12; 2). Per quale motivo allora inizia col racconto della creazione del mondo? Se un giorno le nazioni del mondo dicessero al popolo ebraico: ‘Siete dei ladri perché avete sottratto terre che appartenevano a sette nazioni, il popolo ebraico risponderebbe: tutta la terra appartiene all’Eterno, Lui l’ha creata e l’ha data a chi parve giusto ai Suoi occhi. Per Sua volontà l’ha tolta loro e la diede a noi…”.
Questo commento è stato scritto al tempo della prima Crociata in cui musulmani e cristiani rivendicavano il loro diritto di proprietà sui luoghi santi nella terra di Israele ignorandone le radici ebraiche mentre perpetravano stragi di ebrei e saccheggiando intere comunità.
Al di là delle connotazioni “politiche” di questo commento, Rashì trascende il suo presente anticipando quello che sarà il nostro problema in tutte le generazioni: come giustificare il nostro diritto su Eretz Israel. Il nostro diritto ad abitare Eretz Israel è riconducibile a una Giustizia universale e non nazionale quale che sia . Mentre i Crociati di ieri e di oggi proclamano il sopruso e la menzogna, Rashì, e noi ricominciando con lui lo studio della Torà, continuiamo a celebrare la fede nella conoscenza e nella memoria.