Il terrorismo islamista non è una risposta, anzi è il non avere alcuna risposta. Dopo le ennesime stragi di Berlino e Istanbul, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo, che rielabora un suo precedente post su FB. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (1/1/2017)
Il terrorismo islamista non è una risposta, anzi è il non avere alcuna risposta. Chi non ha argomenti, chi non ha parole, chi non ha ragioni, chi non ha motivo, uccide i civili, uccide le donne e i bambini.
La violenza contro i civili è il segno del non avere il coraggio di formulare una risposta dinanzi alla crisi provocata dalla modernità. Il terrorismo islamista è esattamente l’assenza di una risposta.
L'islamista che, dopo aver ucciso il camionista polacco Lukasz Urban, ha poi schiacciato con il TIR appena rubato 12 vittime innocenti, fra le quali l'italiana Fabrizia Di Lorenzo, a Berlino è una persona che non aveva alcuna risposta. Aveva solo il suo odio e la sua incapacità di affrontare il tema del rapporto fra la fede e la cultura (si noti, fra l'altro, che la Germania non ha truppe schierate in Siria e che è uno dei paesi europei che accoglie un numero impressionante di migranti).
Così gli islamisti che hanno colpito nella notte di capodanno a Istanbul, uccidendo almeno 39 persone, non avevano alcuna risposta da dare per far crescere il dialogo fra la fede e la modernità. Avevano solo la loro fede integralista e il loro odio e nessuna risposta interessante.
Erra gravemente chi li definisce "pazzi" o "squilibrati": sono piuttosto persone senza risposta dinanzi ai grandi interrogativi posti dal difficile - e peraltro entusiasmante per chi risposte invece le ha - rapporto fra la fede e la libertà, fra il riferimento a Dio e la passione per la storia umana.
Doppiamente errano gli “intellettuali” che, dopo aver definito il terrorismo come “risposta”, affermano anche di sapere a chi si rivolge tale risposta, indicando nel destinatario l'occidente. Discorso delirante da parte degli “intellettuali” sia perché dimentica le dimensioni intra-religiose del terrorismo (sunniti contro sciiti e alawiti, così come contro curdi), sia perché il Nord del mondo è ormai l'Arabia Saudita, la Turchia, il Qatar così come gli USA di Obama o di Trump o la Germania della Merkel o l'Iran attuale, come sostiene con coraggio da tempo Giovanni Amico (cfr. su questo
-Che fare ora che le masse musulmane scoprono che molte nazioni islamiche appartengono al Nord del mondo, all’élite ricca e benestante del pianeta, e l’alibi del “povero arabo oppresso dall’occidente” si rivela senza fondamento? Breve nota di Giovanni Amico e
-Est-Ovest, Nord-Sud o altrimenti? Nell’economia moderna la divisione fra ricchi e poveri passa ormai dentro ogni città, a Nuova Delhi come a Parigi, a Nairobi come a New York, alla Mecca come a Roma, a Pechino come al Cairo, di Giovanni Amico).
Molto più semplicemente il terrorismo è la prova che non esistono oggi "ribelli" moderati nemmeno in Siria e che chi anche lì uccide civili lo fa senza motivo alcuno, se non il proprio odio immotivato.
L'uccisione di civili è piuttosto una banale manifestazione demoniaca, un'azione che non ha giustificazione alcuna.
Fra l’altro – e questo impensierisce noi che vorremmo poter dare invece un’immagine positiva dei musulmani – il terrorismo islamista spegne molto della bontà dell’immagine dell’islam non solo nel cuore dei non islamici, ma ancor più nel cuore dei musulmani stessi. Sono sempre più i musulmani che affermano di ritenere la propria religione una realtà con lati molto negativi proprio a causa della violenza continua che tanti credenti compiono contro donne e bambini nel silenzio delle autorità religiose che rimandano ancora inspiegabilmente la richiesta di una profonda modifica nell’educazione delle giovani generazioni. Nessuno spinge ad una nuova lettura libera e critica delle fonti antiche che si opponga alla violenza, a partire da paesi leader come l’Arabia Saudita e l’Iran.
Tanti musulmani affermano di percepire chiaramente la differenza di un cuore non vendicativo come quello, ad esempio, di una musulmana come Malala che, fatta oggetto di attentato perché studente, insegna oggi alle altre donne musulmane l'importanza della cultura (Cfr. "Education is the only solution. Educatio first". Il dscorso integrale pronunciato da Malala Yousafzai, sedicenne pakistana ferita in un attentato dai talebani, alle Nazioni Unite).
Allo stesso modo percepiscono chiaramente la differenza di un cristiano palestinese o di un cristiano arabo o di un cristiano latino o irakeno o siriano, che persevera nel non odiare e nel cercare di non uccidere mai un civile nemico, anche se ci si dovesse sentire vittime di infiniti dolori, come di fatto avviene, alla pari dei connazionali di altre religioni.
E' importante percepire che proprio la fede religiosa agisce in Malala musulmana e nei cristiani palestinesi a porgere una risposta alle disuguaglianze presenti nel mondo: la fede è fonte di liberazione e di vita e di un ben determinato modo di lottare contro l'ingiustizia.
Chi ama Malala e i cristiani palestinesi riconosce che solo in tali atteggiamenti che non cercano mai vendetta e stragi, si intravede una vera testimonianza di Dio, mentre in chi odia e uccide civili non vi è alcun martirio, ma solo l'opera di Satana.
Questa crisi interna dell’Islam che non riesce a gestire le non risposte della violenza dinanzi alla modernità e alla laicità, esitante com'è nel contrapporre all'odio una chiara scelta di campo in favore della libertà e della cultura, è una delle grandi questioni del tempo presente: il terrorismo islamista rischia addirittura di portare tante famiglie musulmane ad un rifiuto drammatico della stessa religione dei padri. Infatti, la loro violenza, mentre intende accusare altri nel folle rifiuto di ogni propria responsabilità, spinge in realtà tanti all’apostasia.
L’Islam deve affrontare di petto questo moto di violenza che si genera al suo interno, per sfuggire al rischio di implodere e di essere rifiutato dai fedeli stessi che i violenti affermano di voler proteggere.
Noi attendiamo una risposta che indichi una via che concili l’apertura appassionata a Dio e la laicità, la fede e l’amore per la cultura, la ricerca spirituale e la libertà delle donne di sposare l’uomo che amano e di educare liberamente i figli secondo le proprie convinzioni, l’amore per Dio e la ricerca critica sulle fonti della fede.
Quando questa via sarà indicata sarà possibile vivere in pace fra sunniti e sciiti, kurdi e yazidi, atei e cristiani. In Siria e in Irak, in Arabia Saudita e in Iran, in Turchia e in Germania, in Somalia e in Nigeria, così come nelle diverse nazioni europee, sarà chiaro come vivere in maniera da rispettare profondamente la laicità e insieme la ricerca di Dio.
La mancanza di risposte degli islamisti è solo un’assenza di proposte che non attira e un consegnarsi al male. Dagli altri musulmani, invece, aspettiamo con fiducia una risposta che concili la libertà e la fede, un'educazione critica e la fedeltà a Dio, il rispetto dell'uomo in ogni sua scelta e la passione per l'Unico Dio creatore, la crescita delle possibilità di studio soprattutto per le donne e l'amore per la famiglia.
Nel XX e XXI secolo ci sono già state risposte molto positive e incoraggianti soprattutto in Libano, in Tunisia, in Marocco, in Turchia, dove la possibilità di vivere "laicamente" o nella professione pubblica di una diversa posizione religiosa rispetto alla maggioranza è lentamente cresciuta. E' il momento che anche altri paesi musulmani e soprattutto i paesi leader, come l'Arabia Saudita e l'Iran, si incamminino su questa via e i paesi che già si sono incamminati non indietreggino, bensì compiano ulteriori passi.