Il genocidio degli assiri, caldei e siriaci commesso dai turchi contemporaneamente a quello degli armeni e dei greci 1/ L’altro genocidio. Gli assiri. Almeno 275 mila persone massacrate tra il 1914 e il 1920. In margine alla tragedia di armeni e greci, il dramma di un altro popolo cristiano, di Maurizio Stefanini 2/ Non dimenticare Seyfo. La strage dei cristiani siriaci, caldei e assiri, di Andrea Riccardi 3/ I conti con la Storia. Assiro-caldei, un Olocausto cristiano, di Joseph Yacoub
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1/ L’altro genocidio. Gli assiri. Almeno 275 mila persone massacrate tra il 1914 e il 1920. In margine alla tragedia di armeni e greci, il dramma di un altro popolo cristiano, di Maurizio Stefanini
Riprendiamo dalla rivista Tempi del 12/4/2007 brani da un articolo di Maurizio Stefanini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Cfr. su questo sito anche Riconosciuto da papa Francesco il martirio in odio alla fede cristiana del vescovo siro-cattolico Melki ucciso nel 1915 durante il genocidio armeno che comportò anche il genocidio delle altre minoranze cristiane della Turchia. Cfr. anche Non solo l'Armenia: la purificazione della memoria nella storia turca e precedentemente araba. I servizi giornalistici di Januarius MacGahan sul massacro di Batak e le origini della Bulgaria. Breve nota di Andrea Lonardo sui massacri turchi dei cristiani bulgari.
Il Centro culturale Gli scritti (18/12/2016)
Nell'Hakkari a Qudshanis, casa del patriarca assiro Mar Shimon
(venne poi martirizzato) prima del genocidio assiro
Nel dialetto siriaco occidentale, quello che viene direttamente dall’aramaico parlato da Gesù, si dice “Sayfo”; in siriaco orientale, quello oggi più parlato, la parola è invece Saypa. Significa letteralmente “spada”, ed è il termine che gli assiri, cristiani di lingua siriaca del Medio Oriente, usano nel senso in cui in ebraico si dice Shoah. Non genocidio, un genocidio, ma il genocidio, il loro: il massacro di almeno 275 mila persone che avvenne nell’allora Impero Ottomano tra 1914 e 1920, in margine al genocidio di altre due importanti popolazioni cristiane autoctone, gli armeni e i greci.
Solo che la Grecia ha sempre mantenuto la memoria di quello che ai sensi della storia fu soprattutto uno scambio di popolazione, e poi il massacro dei 375 mila greci del Ponto e l’espulsione di un altro milione e mezzo di greci e cristiani di lingua turca dall’Asia Minore e da Costantinopoli fu nel Trattato di Losanna in parte “compensata” dall’espulsione di mezzo milione di musulmani dal territorio greco.
E anche gli armeni, la cui strage fu collocata dagli Alleati a una media di 800 mila vittime tra il minimo di 350 mila riconosciuto dai turchi e il massimo di un milione e mezzo rivendicato dagli stessi armeni, hanno finito per vedere per lo meno riconosciuto il loro dramma. Anche se i crimini contro di loro restano impuniti, e se la storiografia ufficiale turca parla ancora di “scontri interetnici”.
Degli assiri, invece, non sa niente nessuno. Solo lunedì 26 marzo per la prima volta il loro dramma è arrivato al Parlamento europeo: e non direttamente in aula, ma in un convegno ospitato presso la conference room dello stesso Parlamento a Bruxelles. Promotori del convegno le federazioni degli assiri di Germania, Svezia e Paesi Bassi, paesi dove c’è una diaspora influente (35 mila in Svezia, 23 mila in Germania e 15 mila in Francia). Tra gli oratori c’era anche una rappresentanza di eurodeputati lodevolmente trasversale e David Gaunt, uno storico svedese autore di una storia del genocidio dei cristiani assiri, caldei e siriaci nella Mesopotamia settentrionale durante la Prima guerra mondiale: un lavoro pionieristico compiuto integrando fonti scritte turche, russe, tedesche, francesi e arabe con la memoria oralmente tramandata dei sopravvissuti.
Assiri, caldei e siriaci, appunto. [N.B. de Gli scritti: Gli assiri, i cristiani della Mesopotamia di lingua aramaica, che non accolsero i Concili di Efeso e Calcedonia (pur avendo la stessa fede di tutti i cristiani), i caldei, gli assiri cioè che tornarono poi alla comunione con Roma, i siriaci, anch’essi cristiani di lingua aramaica ma abitanti nella provincia di Siria antica più vicino al Mediterraneo , divisi in siro-ortodossi (che non accettarono il concilio di Calcedonia, pur avendo la stessa fede di tutti i cristiani), e siro-cattolici]. Ovviamente queste per i turchi erano solo sfumature: ammazzarono gli uni e gli altri senza farsi troppi problemi. «Un giorno i musulmani raccolsero tutti i ragazzi dai sei ai quindici anni e li condussero al comando della polizia», ricorda ad esempio un passo del memorandum redatto dal Consiglio nazionale assiro-caldeo nel 1922. «Di lì li portarono sulla vetta di una montagna conosciuta come Ras-el Hadjar e li sgozzarono uno a uno, buttando i loro corpi nell’abisso». Nell’aprile del 1915 gli abitanti del villaggio di Tel Mozilt furono massacrati a fucilate: prima gli uomini; poi le donne e i bambini, dopo un’accesa discussione tra ufficiali turchi e ausiliari curdi su cosa farne. Alla fine del 1915 ci fu un battaglione di 8 mila soldati che si guadagnò il nomignolo di “battaglione macellaio” per il modo in cui tolse di mezzo i 20 mila abitanti dei 30 villaggi assiri della provincia di Van.
Nel marzo 1918 fu assassinato addirittura il patriarca Mar Shimun XXI Benyamin, capo della Chiesa assira: da un gruppo di paramilitari curdi che gli si erano presentati col paravento di una bandiera bianca. Perfino in Persia gli ottomani sconfinarono a uccidere gli assiri locali: secondo un rapporto inglese, cercandoli nelle case dove i loro vicini musulmani avevano cercato di nasconderli. La maggior parte delle vittime morirono durante interminabili marce di trasferimento verso il deserto, metodo massicciamente applicato anche agli armeni.
Metà della popolazione assiro-caldeo-siriaca prima del 1914 viveva nell’attuale Turchia. Oggi non ne restano che 5 mila, sugli 1,6 milioni di unità che conta questa comunità nel mondo. Anche in Iran non ne restano che 10 mila, e il grosso si concentra in Siria (mezzo milione) e in Iraq (800 mila). In quest’ultimo paese infatti si concentrarono gran parte degli scampati alle stragi in Turchia e Iran, e lì gli assiri al momento della discussione dei trattati di pace dopo la Prima guerra mondiale chiesero di poter costituire un loro Stato. Non solo glielo negarono, ma nel 1933 3 mila di loro furono sterminati in un nuovo pogrom in seguito al quale il giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, da tempo attivo sul problema armeno, ebbe l’idea stessa della parola genocidio: tragica premonizione, proprio nell’anno in cui Hitler saliva al potere.
Proprio la mancanza di una propria entità politica ha impedito agli assiri di premere a livello internazionale per il riconoscimento del proprio dramma, a differenza di quanto hanno potuto fare gli ebrei grazie alla costituzione di Israele. Ed è significativo che anche del genocidio armeno la consapevolezza sia cresciuta in concomitanza con la conquista dell’indipendenza da parte della ex repubblica sovietica dell’Armenia. Oggi i paesi in cui è riconosciuto il genocidio assiro sono Stati Uniti, Svezia, Francia e Armenia. Anche in Iraq gli assiri stanno oggi acquistando autonomia e consapevolezza, ma sono d’altra parte oggetto degli attacchi degli integralisti.
Quanto alla Siria, nel 2004 il regime ha vietato la commemorazione del 7 agosto: anniversario del massacro del 1933, che è però usato dagli assiri come “giorno della memoria” per tutti i loro lutti. Anche solo accennare a ricordarsene può costare un arresto immediato. E vietatissimo è anche sventolare la bandiera assira: sotto l’immagine alata del dio Assur, un sole giallo al centro di una stella a quattro punte azzurre, da cui irradiano quattro nastri tricolore a rappresentare il Tigri, l’Eufrate e il fiume Zab.
2/ Non dimenticare Seyfo. La strage dei cristiani siriaci, caldei e assiri, di Andrea Riccardi
Riprendiamo da SETTE - Corriere della Sera del 7/8/2015 un articolo di Andrea Riccardi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (18/12/2016)
Resti del villaggio assiro di Qodshanes
in Turchia, dopo il genocidio assiro
Il 2015 è il centenario del massacro degli armeni nell’Impero ottomano: Metz Yeghern, il Grande Male, in armeno. Cominciato il 24 aprile 1915, fece più di un milione di morti. È una vicenda di cui si è discusso fin dalla Prima Guerra Mondiale, seppure ancora oggi non pochi turchi la rifiutino. Ma c’è un’altra storia, davvero dimenticata, parallela a quella armena: quella di Seyfo, in siriaco la spada.
C’è stato un tempo della spada per i cristiani siriaci, assiri, caldei, sterminati a centinaia di migliaia e scacciati dalla Turchia orientale e dal Nord Iraq, allora province ottomane. I cristiani dovevano scomparire: fu una pulizia etnica per turchizzare il Paese, condotta in nome dell’odio al cristiano per mobilitare le masse turche o curde. Di Seyfo non si è parlato per decenni. Niente si diceva nel 1986, quando visitai la Turchia orientale, vedendo fantasmi di comunità cristiane e i loro monumenti cadenti, in città dai nomi poco noti, come Diarbekir, Mardin o nella regione del Tur Abdin. Qui, per più di un millennio, accanto a monasteri meravigliosi, i siriaci avevano vissuto con i curdi. Si percepiva una grande storia, ma eravamo all`ultima pagina.
VIOLENZE CURDE. Chi poteva emigrava in Europa. C’era un silenzio fitto sui massacri, evocati appena nell’intimità delle famiglie, tutte segnate dalle violenze del 1915. Pochissimi, in grande confidenza, accennavano alle storie dolorose di Seyfo, ma soprattutto alle violenze curde ancora in atto. Sembrava che tutto - la storia del 1915, i turchi e i curdi del presente - congiurasse per cancellare queste comunità, pur sopravvissute a una storia difficilissima di secoli. Un anziano monaco, da giovane testimone dei massacri, mi confidò: «Siamo alla fine». Eppure la storia riserva sorprese. Certo non torna indietro. Ma ci sono pagine nuove.
I monumenti cristiani sopravvissuti nelle terre di Seyfo, ora restaurati, sono un’attrazione per i turisti turchi. Un primo cambiamento: il governo turco ha permesso i restauri, pagati dai cristiani emigrati. Poi i curdi sono cambiati: hanno chiesto perdono ai cristiani per i massacri. Un possidente curdo ha dato una parte dei suoi beni (quelli espropriati ai siriaci nel 1915) al centro per lo studio del genocidio, intitolato a Seyfo. A Mardin, il sindaco curdo (eletto) ha voluto, come vice, una giovane cristiana. Nel corso del 1915, si sono tenuti vari convegni su Seyfo: a Roma, Berlino, Beirut e altrove. In tutti, aleggiavano domande angosciose sui cristiani oggi in Siria e Iraq, nel timore che la storia del 1915 si potesse ripetere magari con altri attori e motivazioni. C’è però oggi la consapevolezza che raccontare la storia del 1915 serve e servirà a tutti: ai discendenti dei cristiani colpiti, ai curdi e ai turchi, all’islam. Questa storia tragica ricorda allarroganza totalitaria - nazionalista o religiosa - che vivere insieme tra diversi è condizione normale della società a tutte le latitudini. Abbiamo il dovere di ricordarlo anche perché, per tanto tempo, ci si è dimenticati che vivere insieme è stata la realtà di tante stagioni della storia.
3/ I conti con la Storia. Assiro-caldei, un Olocausto cristiano, di Joseph Yacoub
Riprendiamo da Avvenire del 23/6/2014 un articolo di Joseph Yacoub. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (18/12/2016)
Resti della chiesa assira di Mar
Shalita in Turchia dopo il genocidio
Conosciuti sotto termini differenti, gli assiro-caldei-siriaci, eredi dei popoli assiro, babilonese, caldeo e arameo dell’antica Mesopotamia, di lingua siriaca e fedeli all’antica Chiesa d’Oriente, detta nestoriana, e alla Chiesa d’Antiochia, tanto fiorenti un tempo in tutto il continente asiatico, hanno conosciuto a più riprese, alla stregua dei loro fratelli armeni, l’avversità della sorte e le iniquità della storia.
A partire dalla caduta di Ninive, di Babilonia e dei regni aramei, 2.500 anni fa, gli assiro-caldei, privati di uno Stato protettore, non sono mai stati al riparo dalle persecuzioni che assunsero spesso una piega drammatica. I massacri del 1915 hanno avuto precedenti ottomani nel 1895-1896 e nel 1909.
Ma sarà il XX secolo a restare, per questo popolo e le sue istituzioni civili, culturali e religiose, quello della grande tragedia. Gli assiro-caldei sono stati vittime di un genocidio fisico, culturale, religioso e territoriale a carattere geopolitico, preludio alla loro erranza, al loro sradicamento e alle loro sofferenze che continuano a lacerare la comunità.
Quei massacri hanno avuto luogo su larga scala. Gli assiro-caldei sono stati massacrati nel 1915-1918 nelle stesse condizioni e quasi sugli stessi luoghi dei loro fratelli e sorelle armeni e all’interno di un disegno analogo, che mirava deliberatamente, secondo piani definiti e obiettivi determinati da Costantinopoli al fine di omogeneizzare l’Impero, alla soppressione di ogni gruppo etnicamente non turco.
Quella politica suicidaria di pulizia etnica era attizzata dal fanatismo religioso, la chiamata al Jihad, decretata il 29 novembre 1914, suscitata e strumentalizzata a fini politici e accecata da un nazionalismo di conquista, esclusivo, e da uno Stato molto centralizzato, ostile alle riforme, sospettoso di ogni manifestazione di autonomia e di aspirazione alla libertà delle nazionalità e religioni che componevano allora la Turchia.
Sono numerose le province, vilâyet, località e villaggi che sono stati vittime dei massacri. E quei massacri hanno ripetuto quelli degli armeni. Per rispondere alla dichiarazione del Primo ministro turco Erdogan, non si tratta di fare una gerarchia delle sofferenze, ma di dire chiaramente chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, chi è l’autore del genocidio e chi è la vittima. E di conseguenza bisognerebbe stabilire le responsabilità, senza attenuarle.
Esiste su questa tragedia una documentazione precisa e abbondante, di fonti autorizzate, in una moltitudine di lingue, e questo fin dal 1915, in francese, russo, inglese, tedesco, arabo, armeno, aramaico (orientale e occidentale), dove armeni e assiro-caldei sono peraltro associati e citati simultaneamente. A partire dal 1915 la questione assiro-caldea era divenuta internazionale e preoccupava le cancellerie occidentali. Le gerarchie religiose e politiche assiro-caldee si sono attivate presso quelle cancellerie dal 1918 al 1921, inviando memorandum su memorandum sulle sofferenze e le perdite sopportate durante la guerra e sulle loro rivendicazioni.
E si vide nascere un’assistenza umanitaria che venne in loro soccorso. La precisione e la veridicità di numerosissimi documenti confermano la tragedia in maniera irrefutabile e con prove inattaccabili e concordanti. Più di 250 mila assiro-caldei, di tutte le obbedienze religiose, ovvero più della metà della comunità, sono deceduti su tutto il territorio turco-persiano, per mano dei turchi e degli irregolari curdi e di altre etnie che furono utilizzate a tali scopi. La morte ha preso dimora in centinaia di villaggi, lasciando un gran numero di orfani, di bambini presi prigionieri, di giovani ragazze e donne rapite, di vedove, rifugiati e deportati.
Quel genocidio fisico e quella spoliazione territoriale erano accompagnate da un genocidio culturale. Gli assiro-caldei si sono visti così spodestati di gran parte dei loro luoghi di memoria e della loro cultura. In tutto oltre 250 chiese e conventi furono completamente distrutti. Vorrei citare il caso di un regione montuosa, l’Hakkari, situata all’estremità sudorientale della Turchia, dove vivevano in gruppo compatto, fin dall’antichità, gli assiro-caldei. Circondati dai loro vicini immediati i curdi, le autorità ottomane non erano mai riuscite a penetrarvi, almeno fino al 1880, se non molto debolmente e parzialmente. Il villaggio arroccato di Konak, esclusivamente assiro-caldeo, era sede del Patriarcato della Chiesa d’Oriente “nestoriana” dal 1662 e conteneva una biblioteca ricca di manoscritti aramaici e di documenti. Si può dire, dunque, che sia un territorio storicamente assiro-caldeo, condiviso in parte con i curdi, che erano i più numerosi, e alcune minoranze: ebrei, armeni, yazidi… e turchi.
Resti della chiesa di Konak dopo il genocidio assiro
Tuttavia la sua storia fu tragica. Una parte fu sterminata dai turchi e dai curdi durante la guerra, lunghe file morirono di sete, stenti, malattia e fatica sulle strade dell’esodo diretti a Salmas e Urmia. I sopravvissuti si sono rifugiati nella diaspora, in tutto il mondo. L’Hakkari contava più di 200 chiese, le più antiche delle quali risalenti al IV secolo. Quanto al villaggio di Konak, contiene le tombe di patriarchi nestoriani. Che cosa resta di tutto questo? Che spreco di tutto un patrimonio, costruito pazientemente e faticosamente nei secoli! Che perdita per l’umanità!
Nonostante tutto, la memoria non si è inaridita. Oggi assistiamo a una rinascita. Parecchie steli sono state erette in Occidente, in Francia, in particolare a Sarcelles, in Belgio, Svezia, Stati Uniti, Australia, Ucraina e Armenia da parte dei discendenti dei sopravvissuti a quei massacri per perpetuare la loro memoria, con il sostegno delle autorità regionali e locali. A Erevan, nel cuore della capitale, all’incrocio Moskovyan-Nalbandian, il 25 aprile 2012 è stato inaugurato un memoriale dedicato «alla memoria degli innocenti assiri, vittime del 1915», dove ho avuto l’opportunità di raccogliermi. Ringraziamo in quest’occasione le autorità armene. In questi tempi in cui il diritto dei popoli è diventato materia di diritto internazionale, il quale vieta tutte le forme di discriminazione e condanna il crimine di genocidio, è tempo che un popolo, sofferente e oppresso, come gli assiro-caldei, sia definitivamente integrato nella coscienza dell’umanità e gli sia resa giustizia. Sì, giustizia e riparazione. (traduzione di Anna Maria Brogi)