Il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi (di Q.d.L.)
Talvolta un testo conosciuto, ascoltato nuovamente attraverso una voce recitante, manifesta aspetti che ci erano sfuggiti o avevamo dimenticato.
Il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi è stato musicato dal coro della parrocchia di Santa Silvia in Roma, Fideles et amati, te Deum laudamus, con musiche di Marcello Bronzetti, registrato nel CD Guarda fisso il cielo.
L’esecuzione ci pone innanzi il Dio trascendente, altissimo, ed insieme “bono” di Francesco:
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Il cantico è, innanzitutto una lode del Creatore e non delle creature. E’ il Dio che l’uomo è indegno persino di nominare – non pronunzierai il nome di Dio invano.
Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullo homo ène dignu te mentovare.
Pure della lode che l’uomo rende a Dio partecipano anche le creature. Anche esse debbono essere lodate:
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature.
E’ attraverso le creature che Dio esprime e dona il suo amore all’uomo. Del sole si dice:
Et allumini noi per lui.
Il sole è il primo lodato dopo Dio, poiché, fra le creature esprime l’oriente, la luce che sorge, rimandando alla vera luce ed al vero sole, il Cristo:
et ellu è bellu... de te, Altissimo, porta significatione.
Francesco conserva la verità dell’annunzio di Genesi. Dio non è solo l’iniziatore della creazione, ma è colui che è responsabile di tutto ciò che è avvenuto nel cielo e sotto il cielo. Dio è origine della luna e delle stelle, colui che ha dato loro forma:
In celu l’ài formate.
Lo sguardo si allarga a ciò che oggi chiamiamo l’atmosfera:
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo.
Aggettivi usati divengono caratterizzazioni di ciò che è sempre sotto i nostri occhi ad esprimere l’utilità, la giocosità, la forza (dimensioni strutturali della vita):
Per sora acqua la quale è multo utile et humile...
Per frate foco... ed ello è... iocundo... et forte.
E’ madre la nostra terra, pur non essendo assolutamente persona, poiché solo Dio è tale, oltre all’uomo. E’ madre alla quale bisogna obbedire, perché è lei che sostiene e governa, perché il creato, la natura, non è un vuoto succedersi di forme, senza criterio e contenuto, ma ha dignità e valore impressigli intimamente. Vivere contro natura, contro la madre terra non avviene senza conseguenze:
Per sora nostra matre terra
la quale ne sustenta et governa.
Il Cantico sembra riprendere Genesi quando sottolinea che tutto è fatto “secondo la propria specie”, opera di Dio amante della diversità:
Produce diversi fructi, con coloriti fiori et herba
Solo una categoria di uomini è ricordata e ad essi soli è annunciata esplicitamente la beatitudine, proseguendo lo stile e la verità del vangelo. Non la semplice oppressione o sofferenza, ma quella portata “in spirito”, quella di chi perdona e sostiene, amando il Cristo, è la destinataria della beatitudine del Cantico. A chi così vive viene annunziata l’opera che Dio compirà alla fine dei tempi:
Per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione
beati quelli ke l’sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Infine la morte. Ad indicare, però, che l’ultima parola è tolta alla morte stessa, perché la parola definitiva è di Dio che annuncia la beatitudine a chi vive nella santissima volontà sua (è il tema del giudizio universale affrescato in ogni chiesa medioevale). Il peccato mortale è da temere – guai! – più che non la morte stessa che non è ultima (l’accento è molto diverso dai toni di una famosa ballata di Angelo Branduardi) e per questo è addirittura oggetto di lode:
Per sora nostra morte corporale
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali.
Beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Il Cantico invita infine a ringraziare ancora ed a riprendere il cammino della sequela e del servizio dell’Altissimo:
Rengratiate e serviateli cum grande humilitate.
Il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi è stato musicato dal coro della parrocchia di Santa Silvia in Roma, Fideles et amati, te Deum laudamus, con musiche di Marcello Bronzetti, registrato nel CD Guarda fisso il cielo.
L’esecuzione ci pone innanzi il Dio trascendente, altissimo, ed insieme “bono” di Francesco:
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Il cantico è, innanzitutto una lode del Creatore e non delle creature. E’ il Dio che l’uomo è indegno persino di nominare – non pronunzierai il nome di Dio invano.
Ad te solo, Altissimo, se konfano
et nullo homo ène dignu te mentovare.
Pure della lode che l’uomo rende a Dio partecipano anche le creature. Anche esse debbono essere lodate:
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature.
E’ attraverso le creature che Dio esprime e dona il suo amore all’uomo. Del sole si dice:
Et allumini noi per lui.
Il sole è il primo lodato dopo Dio, poiché, fra le creature esprime l’oriente, la luce che sorge, rimandando alla vera luce ed al vero sole, il Cristo:
et ellu è bellu... de te, Altissimo, porta significatione.
Francesco conserva la verità dell’annunzio di Genesi. Dio non è solo l’iniziatore della creazione, ma è colui che è responsabile di tutto ciò che è avvenuto nel cielo e sotto il cielo. Dio è origine della luna e delle stelle, colui che ha dato loro forma:
In celu l’ài formate.
Lo sguardo si allarga a ciò che oggi chiamiamo l’atmosfera:
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo.
Aggettivi usati divengono caratterizzazioni di ciò che è sempre sotto i nostri occhi ad esprimere l’utilità, la giocosità, la forza (dimensioni strutturali della vita):
Per sora acqua la quale è multo utile et humile...
Per frate foco... ed ello è... iocundo... et forte.
E’ madre la nostra terra, pur non essendo assolutamente persona, poiché solo Dio è tale, oltre all’uomo. E’ madre alla quale bisogna obbedire, perché è lei che sostiene e governa, perché il creato, la natura, non è un vuoto succedersi di forme, senza criterio e contenuto, ma ha dignità e valore impressigli intimamente. Vivere contro natura, contro la madre terra non avviene senza conseguenze:
Per sora nostra matre terra
la quale ne sustenta et governa.
Il Cantico sembra riprendere Genesi quando sottolinea che tutto è fatto “secondo la propria specie”, opera di Dio amante della diversità:
Produce diversi fructi, con coloriti fiori et herba
Solo una categoria di uomini è ricordata e ad essi soli è annunciata esplicitamente la beatitudine, proseguendo lo stile e la verità del vangelo. Non la semplice oppressione o sofferenza, ma quella portata “in spirito”, quella di chi perdona e sostiene, amando il Cristo, è la destinataria della beatitudine del Cantico. A chi così vive viene annunziata l’opera che Dio compirà alla fine dei tempi:
Per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione
beati quelli ke l’sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Infine la morte. Ad indicare, però, che l’ultima parola è tolta alla morte stessa, perché la parola definitiva è di Dio che annuncia la beatitudine a chi vive nella santissima volontà sua (è il tema del giudizio universale affrescato in ogni chiesa medioevale). Il peccato mortale è da temere – guai! – più che non la morte stessa che non è ultima (l’accento è molto diverso dai toni di una famosa ballata di Angelo Branduardi) e per questo è addirittura oggetto di lode:
Per sora nostra morte corporale
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali.
Beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Il Cantico invita infine a ringraziare ancora ed a riprendere il cammino della sequela e del servizio dell’Altissimo:
Rengratiate e serviateli cum grande humilitate.