La Deposizione di Caravaggio. Il pittore "maledetto" che capì il senso della spiritualità moderna, di Antonio Paolucci
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 18/2/2010 un articolo scritto dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (19/2/2010)
Gli studiosi che hanno partecipato alla preparazione della mostra "Caravaggio" - il catalogo è edito da Skira (Milano, 2010, pagine 248, euro 49) - hanno dedicato una scheda-saggio a una delle opere esposte. Pubblichiamo il contributo del direttore dei Musei Vaticani, che ricopre anche la carica di presidente della Commissione scientifica delle mostre nelle Scuderie del Quirinale.
"Nella Chiesa Nuova alla man dritta c'è del suo nella seconda cappella il Christo morto, che lo vogliono seppellire con alcune figure, a olio lavorato; e questa dicono che sia la miglior opera di lui...". Così il Baglione (Giovanni Baglione, Le vite de' pittori scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII dal 1572 in fino ai tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, p. 137).
Che il dipinto ora nella Pinacoteca Vaticana (cm. 300 x 203) fosse il capolavoro assoluto di Caravaggio romano, lo pensavano anche i francesi che lo requisirono nel 1797 per esporlo nel Museé Napoleon di Parigi; unico fra i quadri del Merisi sottratti alle chiese della capitale. Al suo posto venne collocata una copia realizzata dal Camuccini, a sua volta sostituita nel 1818 da quella di Michael Köck ancor oggi nella chiesa.
Restituita a Roma da Parigi nel 1817, la Deposizione entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana nelle sue varie dislocazioni fino all'ultimo allestimento curato da Biagio Biagetti e inaugurato da Papa Pio xi Ratti nel 1932.
Per il Baglione, come per i commissari francesi e come per la sensibilità e il gusto del XIX secolo, la Deposizione della Chiesa Nuova era il capolavoro di Caravaggio perché fra tutti appariva come il più classico, il più nobilmente impostato sui modelli della tradizione. Anche a noi sembra tale e questo ci permette di capire meglio la formazione culturale e l'immaginario estetico del pittore.
Caravaggio è un formidabile innovatore. È il primo a far saltare la gerarchia dei generi con la sua celebre "galileiana" sentenza: "Tanta manifattura è fare un quadro buono di fiori come di figure".
È il primo a usare la luce come disvelamento, come colpo di mano sul Vero visibile.
È il primo a intuire e a rappresentare la terribile moralità immanente alle cose quando il lume e l'ombra ce le fanno apparire così come sono.
Eppure la proposta rivoluzionaria di Caravaggio poggia su una catena di riferimenti stilistici ben individuabili. Il suo nome di battesimo era Michelangelo e con un altro Michelangelo, il Buonarroti da Firenze, voleva confrontarsi. Non c'è chi non veda come il corpo del "Deposto" nel quadro vaticano sia una citazione dal bellissimo nudo che sta sulle ginocchia della Vergine nella Pietà di San Pietro, scolpita dal Buonarroti più di un secolo prima. Allo stesso modo una citazione dall'affresco michelangiolesco con la Crocifissione di san Pietro nella Cappella Paolina, è l'Apostolo che ci guarda irato nel quadro di uguale soggetto che Caravaggio dipinse per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo.
La Discesa nel Sepolcro già in Santa Maria in Vallicella, meglio nota come Chiesa Nuova, e ora nella Pinacoteca Vaticana, è dunque consapevole riferimento a una tradizione illustre, si colloca su una linea stilistica che la rivoluzione rinnova e vivifica ma non cancella.
E ora esaminiamo con qualche attenzione la Deposizione già nella Chiesa Nuova. Cominciamo col dire, prima di tutto, che il termine iconografico con il quale il quadro è conosciuto è solo genericamente corretto. L'episodio che qui Caravaggio mette in figura è l'atto che, nel rito giudaico comune del resto a tutte le culture del Mediterraneo, immediatamente precede l'inumazione vera e propria. Il corpo di Cristo, appena disceso dalla croce, verrà spogliato, disteso sulla grande pietra ben visibile (dopo diremo del significato di quella pietra) per essere lavato, unto, profumato.
Non della pietra destinata a coprire e a sigillare il sepolcro dunque si tratta, ma del letto marmoreo, destinato ai riti funerari, che in latino veniva chiamato lapis untionis.
La tela oggi in Vaticano si trovava in una cappella minore di patronato Vittrice, sul lato destro della Chiesa Nuova. Pietro Vittrice, titolare del patronato, era morto nel 1600. Il nipote Girolamo volle onorarne la memoria commissionando il dipinto a Caravaggio il quale frequentava il circolo degli Oratoriani, custodi allora come oggi della chiesa (Luigi Spezzaferro, Il recupero del Rinascimento, in Storia dell'Arte italiana, Torino 1981, vol. vi, pp. 185-274).
All'inizio del 1600 gli Oratoriani di San Filippo Neri erano un ordine nuovo nato nello spirito della Controriforma. La loro missione si rivolgeva ai ceti urbani popolari e borghesi. Predicavano una religiosità riflessiva e personalistica che attirava i giovani, gli intellettuali, gli artisti. È nel circolo degli Oratoriani da lui frequentato che Caravaggio ebbe l'incarico di dipingere la Deposizione. È in quel clima di profonda e moderna spiritualità cattolica che prende forma e significato l'iconografia del dipinto.
Notiamo subito, in primo piano, la figura di Nicodemo che sostiene, reggendolo per le gambe, il corpo di Cristo. Volge lo sguardo verso di noi e il suo volto ha tutte le caratteristiche di un ritratto. In effetti - io credo - è il ritratto di Pietro Vittrice alla cui memoria è dedicata la tela. Posto nei panni di Nicodemo, il giudeo misericordioso che schiodò Gesù dalla croce e lo depose nel sepolcro, il defunto viene qui presentato come custode del Corpus Christi. Per questo verrà salvato.
Dietro di lui ci sono i testimoni storici della Passione e della Morte di nostro Signore. C'è il grido disperato di Maria di Cleofa che alza le braccia al cielo urlando la sua disperazione, c'è Maria Maddalena che piange tutte le sue lacrime, c'è la Madre, il volto impietrito dal dolore, c'è Giovanni l'Evangelista che cerca di sfiorare per una ultima carezza il corpo del Maestro amato.
E poi c'è la pietra, la vera silenziosa protagonista del quadro. La lastra marmorea presenta verso di noi il suo angolo e subito viene alla mente il Salmo 118: "La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d'angolo".
In questo momento Cristo è la pietra scartata dalla storia. I suoi discepoli lo hanno abbandonato, rinnegato, si sono dispersi. La sua meravigliosa utopia è finita sulla croce e ora si dissolverà per sempre nel sepolcro. Questi pensieri, in questo momento, attraversano gli astanti e Caravaggio li rappresenta con implacabile verità.
Eppure noi sappiamo, Caravaggio sa, che su quella pietra riposa la speranza di salvezza per Pietro Vittrice e per ognuno di noi. Quando il celebrante, nel momento della consacrazione, elevava l'ostia (Hoc est enim corpus meum) essa si trovava allineata con il corpo di Cristo e con l'angolo della pietra profetica. Il messaggio non poteva essere più efficace e più immediatamente comprensibile.
"Il dirompersi delle tenebre rivelava l'accaduto e nient'altro che l'accaduto...". Così scriveva il giovane Roberto Longhi nei Quesiti caravaggeschi del 1928-1929 a proposito della rivoluzione della luce inaugurata da Caravaggio. Occorre aggiungere tuttavia che il mondo svelato dalla luce con inesorabile obiettività per il Merisi è, può essere, un mistero ontologico abitato dai segni del Sacro.
In questo senso il dipinto vaticano ha offerto alla moderna critica specialistica argomenti di riflessione e di decodificazione importanti.
Per il primo Novecento delle avanguardie e delle rivoluzioni e dunque per Roberto Longhi, Caravaggio era il peintre maudit descrittoci nel 1603 dal contemporaneo Karel van Mander ("quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all'altro, molto incline a duellare e a far baruffe") ed era soprattutto l'alfiere di un rinnovamento artistico radicale, ideologicamente connotato in senso laico e progressista.
È stato il secondo Novecento a capire e a dimostrare che il Merisi da Caravaggio, questo personaggio irascibile e violento, frequentatore di cattive compagnie, più a suo agio fra donne di malaffare e ragazzi di vita che fra i gentiluomini e i prelati che pure lo ammiravano e lo collezionavano (i Cardinali Del Monte e Borromeo, il Marchese Giustiniani, fra gli altri) era uno spirito autenticamente religioso portatore delle idee e delle sensibilità più avanzate nella moderna estetica cristiana.
La spiritualità cattolica che i manuali chiamano della Controriforma invitava gli artisti ad aderire alla lettera e al senso della Scrittura e, allo stesso tempo, ad attualizzarne il messaggio, così da renderlo a tutti comprensibile e per tutti efficace. Nella Vocazione di Matteo di San Luigi dei Francesi, nella Madonna di Loreto di Sant'Agostino, nella Conversione di Saulo e nella Crocifissione di san Pietro di Santa Maria del Popolo, nella Morte della Vergine del Louvre, nei capolavori di Napoli, di Malta, di Siracusa, di Messina, in tutti i quadri di soggetto religioso di Caravaggio, la moralità del Vero visibile svelato dalla luce, diventa moderna epifania del Sacro, essenziale catechesi spoglia di ogni retorica.
Tutto questo lo vediamo significato in maniera mirabile nella Deposizione della Pinacoteca Vaticana.
(©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2010)
Torna all'Homepage de Gli scritti. Per altri testi sul Caravaggio, in questo stesso sito, vedi la sezione Arte e fede, in particolare Il vangelo di S.Matteo e Caravaggio. S.Matteo apostolo ed evangelista nei dipinti del Caravaggio per la Cappella Contarelli a S.Luigi dei Francesi in Roma, di Paola Grassi ed Andrea Lonardo
e Caravaggio alla stazione Termini: La chiamata di Andrea e Pietro ed Il sacrificio di Isacco, di A.L..