1/ «La religione è una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore. Ma bisogna anche non imporre all’uomo un determinato credo, privandolo della libertà di scelta». Papa Francesco nella moschea di Baku in Azerbaijan 2/ «Io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa persone con tendenza omosessuale e anche con pratiche omosessuali. Gesù non dirà loro sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender». Papa Francesco di ritorno dall’Azerbaijan
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1/ «La religione è una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore. Ma bisogna anche non imporre all’uomo un determinato credo, privandolo della libertà di scelta». Papa Francesco nella moschea di Baku in Azerbaijan
Riprendiamo sul nostro sito il discorso di papa Francesco nell’Incontro interreligioso con lo Sceicco dei musulmani del Caucaso e con rappresentanti delle altre comunità religiose del paese, presso la Moschea “Heydar Aliyev” a Baku in Azerbaijan, il 2/10/2016. I neretti sono nostri ed hanno l’unico fine di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sotto-sezioni Islam, Dialogo fra le religioni e Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura.
Il Centro culturale Gli scritti (9/10/2016)
Trovarsi qui insieme è una benedizione. Desidero ringraziare il Presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che con la sua consueta cortesia ci ospita, e i Capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle Comunità Ebraiche. È un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera, un segno che manifesta quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili. Qui ne danno prova, ad esempio, l’aiuto concreto che il Presidente del Consiglio dei Musulmani ha garantito in più occasioni alla comunità cattolica, e i saggi consigli che, in spirito di famiglia, condivide con essa; sono anche da sottolineare il bel legame che unisce i Cattolici alla Comunità Ortodossa, in una fraternità concreta e in un affetto quotidiano che sono un esempio per tutti, e la cordiale amicizia con la comunità ebraica.
Di questa concordia beneficia l’Azerbaigian, che si distingue per l’accoglienza e l’ospitalità, doni che ho potuto sperimentare in questa memorabile giornata, per la quale sono molto grato. Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura: anche il cattolicesimo, ad esempio, trova posto e armonia tra altre religioni ben più numerose, segno concreto che mostra come non la contrapposizione, ma la collaborazione aiuta a costruire società migliori e pacifiche. Il nostro trovarci insieme è anche in continuità con i numerosi incontri che si svolgono a Baku per promuovere il dialogo e la multiculturalità. Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti. Ho fiducia che questo Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Baku, 22 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 838), coltivi sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo.
La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: «Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro» (NIZAMI GANJAVI, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose.
Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn).
La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7). In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo. Vediamo, infatti, come ai nostri giorni, da una parte imperversa il nichilismo di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti, di chi butta via la vita adeguandosi all’adagio «se Dio non esiste tutto è permesso» (cfr F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, XI, 4.8.9); dall’altra parte, emergono sempre più le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente.
Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni.
È invece fecondo un legame virtuoso tra società e religioni, un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita, e che vorrei simboleggiare con un’immagine cara a questo Paese. Mi riferisco alle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in queste terre, fatte soltanto di legno e vetri colorati (Shebeke). Nel produrle artigianalmente, vi è una particolarità unica: non si usano colle né chiodi, ma si tengono insieme il legno e il vetro incastrandoli fra di loro con un lungo e accurato lavoro. Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce. Allo stesso modo è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le “colle” artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i “chiodi” esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro. Perché Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane.
Onoriamo invece la provvidente misericordia divina verso di noi con la preghiera assidua e con il dialogo concreto, «condizione necessaria per la pace nel mondo, dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 250). Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati: muovono dall’apertura del cuore e sono protesi al bene altrui, dunque si arricchiscono e rafforzano a vicenda. La Chiesa Cattolica, in continuità con il Concilio Vaticano II, con convinzione «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Dich. Nostra aetate, 2). Nessun «sincretismo conciliante», non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace.
Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi - questa non è la vera questione -, ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso.
Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti. Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi. Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate: i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare. Grazie.
* * *
Grazie tante a tutti voi. Grazie tante per la compagnia … E vi chiedo, per favore, di pregare per me.
2/ «Io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa persone con tendenza omosessuale e anche con pratiche omosessuali. Gesù non dirà loro sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender». Papa Franceso di ritorno dall’Azerbaijan
Riprendiamo sul nostro sito la conferenza stampa di papa Francesco nel volo di ritorno dall’Azerbaijan, il 2/10/2016. I neretti sono nostri ed hanno l’unico fine di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/10/2016)
Papa Francesco:
Buonasera. E grazie tante del vostro lavoro, del vostro aiuto. È vero, è stato un viaggio breve – tre giorni – ma voi avete avuto tanto lavoro. Io sono a vostra disposizione, e vi ringrazio tanto per il lavoro. E domandate quello che volete.
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. La prima domanda viene dalla Georgia, la televisione georgiana, Ketevan Kardava.
Ketevan Kardava:
Grazie tante, Santo Padre, per il suo primo viaggio in Georgia. Per me è stato molto importante dare copertura giornalistica di questa visita e seguire la Sua visita nel mio Paese. Noi tutti cittadini della Georgia siamo rimasti colpiti dal Suo discorso, e in modo particolare la foto che La ritrae con il Patriarca della Georgia è stata condivisa migliaia e migliaia di volte nei social. È stata una visita incoraggiante per la nostra comunità cattolica, davvero molto piccola. Dopo il Suo incontro con il Patriarca della Georgia, Lei vede le basi per una collaborazione futura e un dialogo costruttivo tra Lei e le Chiese ortodossa e cattolica in merito alle differenze dottrinali che ci sono? Lei ci ha detto che abbiamo molto in comune, che ci unisce, più di quanto ci separi. Grazie, aspetto la Sua risposta.
Papa Francesco:
Io ho avuto due sorprese in Georgia. Una è la Georgia. Mai ho immaginato tanta cultura, tanta fede, tanta cristianità. È un popolo credente e di una cultura cristiana antichissima, un popolo di tanti martiri. E ho scoperto una cosa che io non conoscevo: le profonde radici di questa fede georgiana. La seconda sorpresa è stato il Patriarca: è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Io, le volte in cui l’ho incontrato, sono uscito con il cuore commosso, e con la sensazione di aver trovato un uomo di Dio. Davvero, un uomo di Dio. Sulle cose che ci uniscono e ci separano, dirò: non metterci a discutere le cose di dottrina, questo lasciarlo ai teologi, loro sanno farlo meglio di noi. Discutono e sono bravi, sono buoni, hanno buona volontà, i teologi di una parte e dell’altra. Che cosa dobbiamo fare noi, il popolo? Pregare gli uni per gli altri. Questo è importantissimo: la preghiera. E secondo, fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo insieme con i poveri; c’è questo e questo problema, possiamo affrontarlo insieme?, lo facciamo insieme; ci sono i migranti?, facciamo qualcosa insieme... Facciamo qualcosa di bene per gli altri, insieme, questo possiamo farlo. E questo è il cammino dell’ecumenismo. Non solo il cammino della dottrina, questo è l’ultima cosa, si arriverà alla fine. Ma incominciamo a camminare insieme. E con buona volontà, questo si può fare. Si deve fare. Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme, pregando gli uni per gli altri. E che i teologi continuino a parlare tra loro, a studiare tra loro. Ma la Georgia è meravigliosa, è una cosa che non mi aspettavo; una Nazione cristiana, ma nel midollo!
Dott. Burke:
La seconda domanda viene da un giornalista tedesco, Tassilo Forchheimer, della radio tedesca ARD:
Tassilo Forchheimer:
Santo Padre, dopo aver parlato con tutte le persone che possono cambiare questa brutta storia tra Armenia e Azerbaigian, che cosa deve succedere per arrivare a una pace permanente che tuteli i diritti umani? Quali sono i problemi e che ruolo può avere Sua Santità?
Papa Francesco:
Due volte, in due discorsi ho parlato di questo. Nell’ultimo ho parlato del ruolo delle religioni per aiutare a questo scopo. Credo che l’unica strada sia il dialogo, il dialogo sincero, senza cose sottobanco, sincero, faccia a faccia. Il negoziato sincero. E se non si può arrivare a questo, bisogna avere il coraggio di andare a un Tribunale internazionale, andare all’Aja, per esempio, e sottomettersi al giudizio internazionale. Non vedo altra via. L’alternativa è la guerra, e la guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto! E inoltre, per i cristiani, c’è la preghiera: pregare per la pace, perché i cuori prendano questa via di dialogo, di negoziato, o di andare a un tribunale internazionale. Ma non si possono tenere problemi così... Pensate che i tre Paesi caucasici hanno problemi, anche la Georgia: ha un problema con la Russia, non si conosce tanto… ma ha un problema, che può crescere… non si sa; e l’Armenia è un Paese senza frontiere aperte, ha problemi con l’Azerbaigian. Si deve andare al tribunale internazionale se non vanno avanti il dialogo e il negoziato: non c’è un’altra via. E la preghiera, la preghiera per la pace.
Dott. Burke:
Adesso abbiamo Maria Elena Ribezzo della Svizzera, della rivista “La Presse”:
Maria Elena Ribezzo:
Salve, Santità, buona sera. Senta, Lei ieri ha parlato di una guerra mondiale in atto contro il matrimonio, e in questa guerra ha usato parole molto forti contro il divorzio: ha detto che sporca l’immagine di Dio; mentre nei mesi scorsi, anche durante il Sinodo, si era parlato di un’accoglienza nei confronti dei divorziati. Volevo sapere se questi approcci si conciliano, e in che modo.
Papa Francesco:
Tutto è contenuto, tutto quello che ho detto ieri, con altre parole - perché ieri ho parlato a braccio e un po’ a caldo – si trova nell’Amoris laetitia, tutto. Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come lo ha fatto Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non sono ben gestiti, e ci sono anche filosofie dell’“oggi faccio questo [matrimonio], quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto”. È questa “guerra mondiale” che Lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio. Poi l’Amoris laetitia parla di come trattare questi casi, come trattare le famiglie ferite, e lì entra la misericordia. E c’è una preghiera bellissima della Chiesa, che abbiamo pregato la settimana scorsa. Diceva così: “Dio, che tanto mirabilmente hai creato il mondo e più mirabilmente lo hai ricreato”, cioè con la redenzione e la misericordia. Il matrimonio ferito, le coppie ferite: lì entra la misericordia. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, e sempre l’ultima parola non l’ha la debolezza, l’ultima parola non l’ha il peccato: l’ultima parola l’ha la misericordia! A me piace raccontare – non so se l’ho detto, perché lo ripeto tanto – che nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo, del 1200 più o meno. I medievali facevano catechesi con le sculture delle cattedrali. Da una parte del capitello c’è Giuda, impiccato, con la lingua fuori, gli occhi fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù, il Buon Pastore, che lo prende e lo porta con sé. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra di Gesù sono tristi da una parte ma con un piccolo sorriso di complicità dall’altra. Questi avevano capito cos’è la misericordia! Con Giuda! E per questo, nell’Amoris laetitia si parla del matrimonio, del fondamento del matrimonio come è, ma poi vengono i problemi. Come prepararsi al matrimonio, come educare i figli; e poi, nel capitolo ottavo, quando vengono i problemi, come si risolvono. Si risolvono con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare. Questo sarebbe il modo di collaborare in questa “seconda creazione”, in questa ri-creazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Si capisce così? Sì, se prendi una parte sola non va! L’Amoris laetitia – questo voglio dire –: tutti vanno al capitolo ottavo. No, no. Si deve leggere dall’inizio alla fine. E qual è il centro? Ma… dipende da ognuno. Per me il centro, il nocciolo dell’Amoris laetitia è il capitolo quarto, che serve per tutta la vita. Ma si deve leggerla tutta e rileggerla tutta e discuterla tutta, è tutto un insieme. C’è il peccato, c’è la rottura, ma c’è anche la misericordia, la redenzione, la cura. Mi sono spiegato bene su questo?
Dott. Burke:
Adesso c’è Joshua McElwee, del giornale americano National Catholic Reporter.
Joshua McElwee:
Grazie, Santo Padre. In quello stesso discorso di ieri in Georgia, Lei ha parlato, come in tanti altri Paesi, della teoria del gender, dicendo che è il grande nemico, una minaccia contro il matrimonio. Ma vorrei chiedere: cosa direbbe a una persona che ha sofferto per anni con la sua sessualità e sente veramente che c’è un problema biologico, che il suo aspetto fisico non corrisponde a quello che lui o lei considera la propria identità sessuale? Lei come pastore e ministro, come accompagnerebbe queste persone?
Papa Francesco:
Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di Papa – ho accompagnato persone con tendenza omosessuale e anche con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, ma all’acqua di rose, però cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa vuoi fare quando diventi grande?” - “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender. E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. E’ un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti. E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la Comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “E’ tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il Papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali... No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo detto nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’Amoris laetitia, ma sempre così, sempre con il cuore aperto. E non dimenticatevi quel capitello di Vézelay: è molto bello, molto bello.
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. Adesso Gianni Cardinale, di “Avvenire”.
Gianni Cardinale:
Due domande: una personale e una pubblica. La personale è – legata al mio nome, diciamo – quando farà i nuovi cardinali e a quali criteri si ispira per questa scelta. La seconda, più seria, diciamo, e pubblica, da italiano: quando andrà a trovare le popolazioni terremotate e quale sarà la caratteristica di questa visita?
Papa Francesco:
Per la seconda, mi sono state proposte tre date possibili. Due sono dei numeri che non ricordo bene; la terza, la ricordo bene, è la prima domenica di Avvento. Io ho detto che al rientro sceglierò la data. Ce ne sono tre: devo scegliere. E la farò privatamente, da solo, come sacerdote, come vescovo, come Papa. Ma da solo. Così voglio farla. E vorrei essere vicino alla gente. Ma non so ancora come.
Sui cardinali: i criteri saranno gli stessi dei due altri concistori. [Sceglierli] un po’ dappertutto, perché la Chiesa è in tutto il mondo. Sì, forse… ancora sto studiando i nomi, ma forse saranno tre di un continente, due di un altro e uno di un’altra parte, uno dell’altra, uno di un Paese… ma, non si sa. La lista è lunga, ma ci sono soltanto 13 posti. E si deve pensare di fare un equilibrio. A me piace che si veda, nel Collegio cardinalizio, l’universalità della Chiesa: non soltanto il centro – per dire – “europeo”; ma dappertutto. I cinque continenti, se si può.
[“C’è già una data?”]
Papa Francesco:
No, perché devo studiare la lista e fare la data. Può essere la fine dell’anno, può essere all’inizio dell’anno prossimo. Per la fine dell’anno c’è il problema dell’Anno Santo, ma si può risolvere… O all’inizio dell’anno prossimo. Ma sarà prossimo.
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. Adesso c’è Aura Miguel di Radio Renascença del Portogallo.
Aura Miguel:
Santo Padre, buona sera. La mia domanda riguarda la Sua agenda di viaggi fuori d’Italia, in tre parti. Lei ha già detto in questi giorni agli argentini che la Sua agenda è molto piena e ha parlato dell’Africa e dell’Asia: possiamo sapere quali Paesi? E c’è anche qui un collega della Colombia che La aspetta in Colombia, naturalmente, e io in Portogallo, La aspettiamo! In Portogallo, concretamente, come sarà? 12 e 13? Lisbona e Fatima?
Papa Francesco:
Di sicuro, ad oggi, andrò in Portogallo, e andrò soltanto a Fatima. Ad oggi. Perché? C’è un problema. In questo Anno Santo sono state sospese le visite [dei Vescovi] ad limina; nel prossimo anno devo ricevere le visite ad limina di quest’anno e del prossimo. E c’è poco spazio per i viaggi. Ma in Portogallo ci andrò. In India e Bangladesh, quasi sicuro. In Africa, ancora non è sicuro il posto, tutto dipende sia dal clima, in quale mese, perché se è in Africa del Nordovest è una cosa e se è nel Sudovest è un’altra. E anche dipende dalla situazione politica e dalle guerre… Ma ci sono possibilità allo studio in Africa. In America, io ho detto che quando il processo di pace [in Colombia]… se esce, io vorrei andare, quando tutto sarà “blindato”, cioè quando tutto – se vince il plebiscito – quando tutto sia sicuro sicuro, che non si può andare indietro, cioè che il mondo internazionale, tutte le nazioni siano d’accordo, che non si può fare ricorso, no, è finito, se è così, potrei andare. Ma se la cosa è instabile… Tutto dipende da quello che dirà il popolo. Il popolo è sovrano. Noi siamo abituati a guardare più le forme democratiche che la sovranità del popolo, e tutte e due devono andare insieme. Per esempio, è diventata un’abitudine in alcuni continenti dove, quando finisce il secondo mandato, chi è al governo cerca di cambiare la costituzione per averne un terzo. E questo è sopravvalutare la cosiddetta democrazia, contro la sovranità del popolo, che è nella Costituzione. Tutto dipende da quello. E il processo di pace si risolverà oggi, in parte, con la voce del popolo: è sovrano. Quello che dirà il popolo, credo che debba farsi.
[“Fatima sarà 12 e 13 (maggio)?”]
Papa Francesco:
Finora il 13. Ma può darsi, non so…
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. Adesso arriva Jean-Marie Guénois di “Le Figaro”.
Jean-Marie Guénois:
Grazie, Santo Padre. Una domanda sui viaggi: perché nella sua risposta non ha parlato della Cina? E quali sono le ragioni per le quali Lei non può avere come Papa il biglietto per Pechino? Ragioni all’interno della Chiesa cinese? Ragioni di problemi tra la Chiesa cinese e il governo cinese, o ragioni, problemi tra il Vaticano e il governo cinese? E, se permette, una domanda recente, perché qualche ora fa Mons. Lebrun, arcivescovo di Rouen, ha annunciato che Lei ha autorizzato a cominciare il processo di beatificazione di padre Hamel senza tenere conto della regola dell’attesa dei cinque anni. Perché ha preso questa decisione? Grazie.
Papa Francesco:
Su quest’ultimo: ho parlato con il Cardinale Amato [Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi], faremo degli studi e lui darà la notizia ultima. Ma l’intenzione è andare su questa linea, fare le ricerche necessarie e vedere se ci sono le ragioni per farlo.
[“Ha annunciato che era aperto il processo di beatificazione”]
Papa Francesco:
No, che si devono cercare testimonianze per aprire il processo. Non perdere le testimonianze, questo è molto importante. Perché le testimonianze fresche, quello che ha visto la gente, poi con il tempo qualcuno muore, qualcuno si dimentica… e questo succede. In latino si dice: ne pereant probationes.
La Cina. Voi conoscete bene la storia della Cina e della Chiesa: la Chiesa patriottica, la Chiesa nascosta… Ma noi siamo in buoni rapporti, si studia e si parla, ci sono commissioni di lavoro… Io sono ottimista. Adesso credo che i Musei Vaticani hanno fatto un’esposizione in Cina, i cinesi ne faranno un’altra in Vaticano… Ci sono tanti professori che vanno a fare scuola nelle università cinesi, tante suore, tanti preti che possono lavorare bene lì. I rapporti tra Vaticano e i cinesi… Si deve fissare in un rapporto, e per questo si sta parlando, lentamente… Le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene. Il popolo cinese ha la mia più alta stima. L’altro ieri, per esempio, c’è stato un convegno di due giorni, credo, nella [Pontificia] Accademia delle Scienze sulla Laudato si’, e c’era una delegazione cinese del Presidente. E il Presidente cinese mi ha inviato un regalo. Ci sono buone relazioni.
[“Il Papa farà il viaggio?”]
Papa Francesco:
Ah, mi piacerebbe…, ma io non penso ancora.
Dott. Burke:
Grazie. C’è tempo ancora per una domanda? Sì? Juan Vicente Boo del quotidiano spagnolo ABC.
Juan Vicente Boo:
Grazie, Santo Padre. Nel gruppo di lingua spagnola, abbiamo visto che il vincitore del Premio Nobel per la pace verrà annunciato il prossimo 7 ottobre. Ci sono più di 300 nomination: ad esempio, il popolo di Lesbo per quello che ha fatto in favore dei rifugiati, o i Caschi Bianchi della Siria, questi volontari che tirano fuori la gente dalle macerie dopo i bombardamenti: ne hanno tirati fuori 60 mila al prezzo della vita di 132 di loro. O anche il presidente Santos della Colombia e il comandante Timoshenko delle Farc, che hanno firmato l’Accordo di pace. E tanti altri. Allora, la domanda è: qual è il Suo candidato favorito o quali sono le persone o le organizzazioni che meritano più riconoscimento per il lavoro che fanno in favore della pace? Grazie.
Papa Francesco:
C’è tanta gente che vive per fare la guerra, per fare la vendita delle armi, per uccidere, ce n’è tanta. Ma c’è anche tanta gente che lavora per la pace, tanta, tanta. Io non saprei dire quale. Scegliere fra tanta gente, che oggi lavora per la pace, è molto difficile. Lei ne ha menzionati alcuni, ce ne sono di più. Ma sempre c’è l’inquietudine di dare un premio per la pace... Io mi auguro anche che a livello internazionale, lasciando da parte il Premio Nobel per la pace, ci sia un ricordo, un riconoscimento, una dichiarazione sui bambini, sui disabili, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe. Credo che quello sia un peccato! E’ un peccato contro Gesù Cristo, perché la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è la carne di Cristo. Bisognerebbe che l’umanità dicesse qualcosa per le vittime delle guerre. Per quelli che fanno la pace, Gesù ha detto che sono beati, nelle Beatitudini: “Gli operatori di pace”. Ma le vittime delle guerre, dobbiamo dire qualcosa e prendere coscienza! Che ti buttano su un ospedale di bambini una bomba e ne muoiono trenta, quaranta… O su una scuola… Questa è una tragedia dei nostri giorni.
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. Il prossimo è John Jeremiah Sullivan, del “New York Times Magazine”, è il primo viaggio che fa.
John Jeremiah Sullivan:
Santo Padre, come Lei sa, gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla fine di una lunga campagna presidenziale, molto brutta, che ha ricevuto molta attenzione nel mondo. Molti cattolici americani e persone di coscienza hanno difficoltà nella scelta tra due candidati, uno dei quali si allontana da alcuni aspetti degli insegnamenti della Chiesa e l’altro ha fatto dichiarazioni che denigrano immigranti e minoranze religiose. Quale consiglio darebbe ai fedeli in America? E a quale saggezza Lei li richiamerebbe il prossimo mese, quando ci saranno le elezioni?
Papa Francesco:
Lei mi fa una domanda in cui descrive una scelta difficoltosa, perché secondo Lei c’è difficoltà in uno e c’è difficoltà nell’altro. In campagna elettorale io mai dico una parola. Il popolo è sovrano, e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza! Poi esco dal problema e vado a una “finzione” [un caso immaginario], perché non voglio parlare del problema concreto. Quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre, quattro candidati che non risultano soddisfacenti, significa che la vita politica di quel Paese forse è troppo politicizzata ma non ha molta cultura politica. E uno dei compiti della Chiesa e dell’insegnamento nelle facoltà è di insegnare ad avere cultura politica. Ci sono Paesi – io penso all’America Latina – che sono troppo politicizzati ma non hanno cultura politica: sono di questo partito o di quell’altro o di quell’altro, ma affettivamente, senza un pensiero chiaro sulle basi, sulle proposte.
Dott. Burke:
Grazie, Santo Padre. Adesso c’è Caroline Pigozzi.
Caroline Pigozzi:
Santità, buona sera. Questa domanda non potevo farGliela prima. La testimonianza per la storia, secondo Lei, è più importante che il testamento di un Papa? Mi spiego: Papa Wojtyla aveva lasciato nel suo testamento che fossero bruciati molti documenti e molte lettere che si sono poi ritrovati in un libro: vuol dire che la volontà di un Papa forse non è rispettata? Volevo sapere cosa ne pensa. Poi, la seconda domanda è più facile: vorrei sapere per quale miracolo Lei, che stringe la mano a migliaia di persone tutte le settimane, non ha ancora una tendinite. Come fa? Il presidente Chirac stringeva mani, lui si metteva un cerotto…
Papa Francesco:
Io ancora non sento tendiniti… La prima domanda. Lei dice: un Papa che manda a bruciare carte, lettere… questo è il diritto di ogni uomo e ogni donna, ha il diritto di farlo prima di morire.
Caroline Pigozzi:
Ma non è stato rispettato con Papa Wojtyla… c’è stato quel libro…
Papa Francesco:
Ah, quello… Chi non ha rispettato quello, sarà colpevole, non so, non conosco bene il caso. Ma ogni persona, quando dice: “Questo si deve distruggere”, è perché c’è qualcosa di concreto. Ma forse c’è una copia da un’altra parte, e questo lui non lo sapeva… Ma è un diritto di ogni persona fare il testamento come vuole.
Caroline Pigozzi:
Anche del Papa, ma lui non è stato rispettato.
Papa Francesco:
Di tanta gente non è stato rispettato il testamento…
Caroline Pigozzi:
Ma il Papa è più importante.
Papa Francesco:
No. Il Papa è un povero peccatore, come gli altri. Grazie.
Dott. Burke:
Il Papa ha detto che c’è spazio per una domanda ancora, però non c’è nessuno sul mio elenco.
Intanto, vorrei dire che oggi [al termine della Messa a Baku] ha risposto a una domanda, sul perché fa questi viaggi in posti dove ci sono pochissimi cattolici, e questo ci è piaciuto. Neanche noi pensiamo di perdere tempo: facciamo questi viaggi brevi ma intensi. Però, se Lei ne vuole fare uno lungo e rilassante, possiamo anche farlo…
Papa Francesco:
No…
Dopo il primo viaggio, che è stato in Albania, mi hanno detto: “Perché Lei ha scelto di andare in Albania nel primo viaggio in Europa? Un Paese che non è dell’Unione Europea?”. Poi sono andato a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, che non è dell’Unione Europea. Il primo Paese dell’Unione Europea nel quale sono andato è stata la Grecia, l’Isola di Lesbo: il primo. E’ stato il primo. Perché fare viaggi in questi Paesi? Questi tre sono caucasici. I tre Presidenti sono venuti in Vaticano a invitarmi. E con forza. E tutti e tre hanno un atteggiamento religioso diverso: gli armeni sono fieri – e questo senza offendere – fieri della loro “armenità”, hanno una storia, e loro sono cristiani, la grande maggioranza, quasi tutti cristiani apostolici, poi cristiani cattolici e un pochettino di cristiani evangelici, pochi. La Georgia è un Paese cristiano, totalmente cristiano, ma ortodosso. I cattolici sono pochi, un gruppo, ma sono ortodossi. Invece l’Azerbaigian è un Paese credo al 96-98% musulmano. Non so quanti abitanti abbia, perché io ho detto due milioni, ma credo che siano venti…
[“Circa dieci”]
Papa Francesco:
…circa dieci, ecco. Circa dieci milioni. I cattolici sono al massimo 600: piccolini. E io, perché vado lì? Per i cattolici, per andare alla periferia di una comunità cattolica, che è proprio nella periferia, è piccolina. E oggi a Messa ho detto che mi faceva ricordare la comunità “periferica” di Gerusalemme, chiusa nel Cenacolo, in attesa dello Spirito Santo, in attesa di poter crescere, uscire… E’ piccola. Non è perseguitata, no, perché in Azerbaigian c’è un grande rispetto religioso, una grande libertà religiosa. Questo è vero, l’ho detto oggi nel discorso. E anche questi tre Paesi sono Paesi periferici, come l’Albania, la Bosnia Erzegovina … E io vi ho detto: la realtà si capisce meglio e si vede meglio dalle periferie che dal centro. E per questo scelgo di andare lì. Ma questo non toglie la possibilità di andare in un grande Paese come il Portogallo, la Francia, non so… Vediamo…
Grazie tante per il vostro lavoro. Adesso riposate un po’. E buona cena. Grazie. E pregate per me.