Io li ho sentiti i vecchi parlare del terremoto, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /08 /2016 - 23:24 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Rprendiamo sul nostro sito un breve testo di Andrea Lonardo.

Il centro culturale Gli scritti (25/8/2016)

Io li ho sentiti i vecchi parlare del terremoto. Erano vecchi dell’Aquila e sapevano quello che dicevano. Li ho sentiti tornando a Roma. Ripetevano una domanda sommessa: «Cosa potevano fare, poveretti?». Non dicevano: «Non c’è niente da fare». Ponevano l’uno all’altro la domanda: «Cosa potevano fare ?». Sapevano che l’amico, compagno di mille partite a carte, non avrebbe avuto una risposta. Ma domandavano lo stesso. Domandavano non in maniera retorica, domandavano perché è giusto domandare sommessamente. E poi quel termine: «Poveretti». Un termine alto, un termine che indica la radicale povertà dell’uomo. Si diventa poveri, ma ancor prima si è poveri. L’uomo è povero. Dinanzi al terremoto, l’uomo è povero. Dinanzi alla propria umanità fragile, l’uomo è povero. Non potevano sapere quei poveri uomini che quella "buonanotte" scambiata il 23 a sera era l'ultima parola della loro vita in terra: cosa potevano fare altrimenti che darsi anche quella sera la buonanotte?

Forse era un anziano anche il salmista che pose tanti secoli fa la stessa domanda: «Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?». Si noti bene: il "giusto", non l'"ingiusto", non il "malvagio", non il "peccatore". Quando trema la terra, cosa può fare l'uomo fedele alla legge di Dio e all'amore verso il prossimo? Altro non c'è che la "pietà", quando le fondamenta sono e saranno scosse.  

Io li ho sentiti i vecchi parlare del terremoto. Uno di loro diceva: «Anche noi cosa potevamo fare?». E parlava del suo terremoto, del terremoto che improvvisamente aveva colpito L’Aquila anni fa.

E ho sentito anche una suora anziana dire - mentre le scosse si ripetevano - per giustificare il fatto che lei tornava dentro a prendere cibo e coperte per le bambine che avevano freddo: «Io vado a prenderle. Tanto se è giunto il momento, che ci possiamo fare?». Anche lei ripeteva quella domanda semplice. E aggiungeva un’espressione misteriosa: «Se è giunto il momento…».

I vecchi che ponevano quella domanda non erano atei o pessimisti. Anzi, si raccontavano l'un l'altro come avevano estratto le persone vive dalle macerie, come si erano dati da fare, come avevano pregato, come aveveno portato i morti al cimitero.

E quella suora non era un’antica pagana che temeva il destino. Eppure usava quella parola: «Se è giunto il momento… ». Asseriva sicura, da vecchia, che esiste «un momento». E che non c’è niente da fare. E che bisogna essere pronti. «Se è giunto il momento, morirò» – diceva fra sé. Lei sapeva per una sapienza misteriosa che i vecchi hanno maturato che c’è «un momento». Lei sapeva che il terremoto ricorda agli uomini che c’è «un momento». Il terremoto parla agli uomini del fatto che essi non sanno quando sarà «il momento». Viene come terremoto, viene come malattia, viene per la cattiveria di qualcuno, viene per strada o in casa, viene in età giovane o anziana. viene.

Anche i giovani li ho sentiti parlare. Per essi era la prima volta. Essi non sapevano che «il momento» potesse bussare di notte. Ma si domandavano lo stesso in maniera ossessiva, sempre la stessa domanda: «Le hai sentite tu le scosse?». E poi raccontavano come le avevano sentite, quante volte le avevano sentite, come avevano reagito. Ma tutti chiedevano: «Le hai sentite?». Tutti dalle zone del terremoto fino a Roma. «Le hai sentite?».

Quasi a scoprire tutti insieme la povertà dell’uomo, la sua fragilità, «il momento » che bussa, senza che tu sappia quando. «Le hai sentite?». Perché tutti le avevano sentite.

Quello che i vecchi affermavano a partire dalla loro lunga esperienza, i giovani lo dichiaravano con le loro domande recenti, appena nate. I vecchi non si dicevano  l’un l’altro: «Le hai sentite?». I giovani non si dicevano l’un l’altro: «Cosa potevano fare, poveretti?».

Ma tutti dicevano e dicevamo la povertà dell’uomo, dell’uomo fatto di terra e cenere, dell’uomo creatura, dell’uomo debole e fragile. Tutti parlavamo della povertà dell’essere uomo, impotente, da solo.