“Nessuno in Italia pensa al futuro, tra 40 anni sarà un disastro”. Parla Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano: «La politica pensa all’immediato. E i giovani hanno sospeso il giudizio sul futuro. La popolazione inattiva aumenta, mentre la fascia più produttiva si riduce», di Lidia Baratta
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Riprendiamo dal sito Linkiesta http://www.linkiesta.it/it/article/2015/12/05/nessuno-in-italia-pensa-al-futuro-tra-40-anni-sara-un-disastro/28468/ un’intervista a Alessandro Rosina pubblicata il 5/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Vita nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (25/5/2016)
Pensare al futuro non è lo sport più amato dagli italiani. Siamo puntualmente travolti dalle “emergenze”, dall’immigrazione al dissesto idrogeologico alla precarietà. Che vuol dire che non siamo in grado (o non vogliamo) prevederle, anche quando i sintomi sono sotto gli occhi di tutti. Ogni annuncio o decisione sono fatti per avere effetti elettorali immediati. Qui e ora. Che ce ne frega dell’Italia tra dieci anni. Altrimenti non si spiegherebbe perché diamo 500 euro ora a una mandria di 18enni, dei quali quattro su dieci non troveranno un lavoro.
Guardare le dinamiche demografiche in corso, però, aiuta a capire dove stiamo andando. E l’immagine dell’Italia che ci arriva dal futuro è quella di un Paese dominato dai capelli grigi. Entro il 2030 ci sarà una regione in più, grande quanto la Toscana, composta solo da over 65. Che saranno ancora al lavoro, mentre i 40enni manderanno ancora curriculum. «La popolazione italiana diventa anziana. E anche l’immigrazione, che finora ha in parte bilanciato l’invecchiamento, va via via diminuendo per via della crisi economica», diceAlessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano. «Qui nessuno pensa al futuro. Non ci pensano i politici, e i giovani per forza di cose hanno sospeso il giudizio. Ma tra quarant’anni sarà un disastro».
Professore, quali sono le principali tendenze demografiche in corso in Italia?
La popolazione italiana invecchia. Questo è il frutto di due fattori. Da un lato, viviamo sempre più a lungo: insieme al Giappone siamo tra i più longevi al mondo. Dall’altro, assistiamo a un declino costante delle nascite (1,39 bambini per donna nel 2014, ndr).
E in Europa?
Nel panorama europeo siamo i più vecchi insieme alla Germania. I Paesi più giovani sono quelli scandinavi e la Francia, dove la fecondità è vicina ai due figli. Questo significa che c’è un equilibrio generazionale: due figli ogni due genitori. In Italia invece si fa meno di un figlio e mezzo. Così la popolazione tende non solo a ridursi, ma soprattutto a sbilanciarsi sui più vecchi, che per giunta vivono più a lungo.
Perché invecchiano tanto anche in Germania, dove stanno meglio di noi?
Il numero di figli desiderato in Italia è elevato. Si vorrebbero avere due figli o più, ma poi ci si accontenta di averne uno o nessuno perché si riesce a costruire una famiglia troppo tardi, o perché ci si stabilizza con il lavoro troppo avanti con l’età. In Germania, al contrario, non si fanno figli perché sono poco interessati a farli, non c’è un alto numero di figli desiderati. Ma ora anche in Germania ci si sta accorgendo della pericolosità dell’invecchiamento della popolazione. Da un lato si sta puntando sulla immigrazione di qualità, non solo aprendo ai rifugiati ma anche attraendo talenti da ogni parte del mondo. Inclusi quelli italiani. E poi si stanno creando maggiori servizi per la famiglia e la conciliazione tra vita privata e lavoro per incentivare le nuove nascite.
E in Italia stiamo pensando a come far fronte all’invecchiamento della popolazione?
L’unica cosa che abbiamo fatto in Italia è stato far andare le persone in pensione più tardi, senza pensare a diversi ruoli per i lavoratori anziani in azienda. Li abbiamo lasciati lì dove sono, senza alcuna forma di age management, senza investire nella produttività. Il risultato è che aumenta la popolazione in età lavorativa over 50 nei luoghi di lavoro, mentre mancano i 30-40enni più produttivi. In questa fascia l’occupazione cresce pochissimo.
Questo cosa comporterà?
Aumenterà la popolazione inattiva, i giovani saranno sempre meno. Negli Stati Uniti i millennial sono una delle generazioni più consistenti, quindi hanno un peso politico ed elettorale. In Italia i giovani sono pochi, quindi non hanno peso elettorale. Di conseguenza non ci sono politiche forti che siano indirizzate a loro. Se ci sono meno politiche giovanili e più politiche rivolte agli anziani, ci sarà meno innovazione e minori investimenti per contare nel sistema produttivo alla pari con altri Paesi. Questo genererà un impoverimento del Paese, producendo grossi sprechi nella fascia più produttiva della società. Non a caso abbiamo il numero di Neet più alto d’Europa: 2,4 milioni. E il 47% dei giovani dichiara di fare un lavoro per il quale servirebbe un titolo di studio più basso. Meno forza lavoro produttiva significa meno crescita.
Quale sarà il futuro da vecchi di questi giovani? Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha già detto che si rischia la povertà dilagante...
Sarà un disastro. Le riforme pensionistiche hanno posticipato l’età pensionabile, legando la pensione ai contributi versati. Ma la crisi economica, la precarietà del lavoro e i redditi bassi fanno prospettare un futuro economico tutt’altro che roseo per i più giovani, con pensioni molto basse. I lavoratori precari del presente saranno precari anche nel futuro. Finora l’assicurazione sono state le famiglie, e del futuro dei 30enni non se ne è occupato nessuno. Tra 40 anni, quando non ci saranno neanche più le famiglie, sarà un disastro. La politica italiana non pensa al futuro dei giovani, perché quello che importa è sempre solo la prossima tornata elettorale. Intanto i giovani sul futuro sospendono il giudizio perché non hanno gli strumenti per farlo. Tutti dicono che dovrebbero farsi una pensione integrativa. Ma come fanno, se già fanno fatica a pagare l’affitto di casa con gli stipendi bassi che si ritrovano?
E l’immigrazione? Quale può essere l’apporto dei nuovi cittadini?
I nuovi arrivi per lavoro in Italia stanno diminuendo per via della crisi economica. Non abbiamo investito in politiche di integrazione. E l’immigrazione più preparata si sta spostando verso altre mete. Noi prendiamo un po’ quello che ci capita, che di solito sono lavoratori destinati a fare lavori poco qualificati. E anche gli immigrati più istruiti li mettiamo a fare lavori scarsamente qualificati. Chi ha ambizioni andrà in Paesi che offrono maggiori opportunità. Ci prendiamo la peggiore immigrazione e non attraiamo talenti.
Come si sposterà la popolazione nel prossimo futuro?
La parte Nord del Mediterraneo sarà composta da Paesi vecchi, la parte Sud da Paesi molto giovani in forte crescita. Nell’Africa subsahariana si registra una grande espansione demografica. Il che genererà sia spostamenti all’interno dei Paesi stessi dalle campagne alle città, sia al di fuori di questi Paesi. Secondo le ultime previsioni delle Nazioni Unite, in quest’area nella fascia 20-39 anni ci saranno oltre 200 milioni di individui in più nei prossimi vent’anni. Tutti giovani alla ricerca di lavoro. Se i governi non creeranno occasioni di lavoro in questi luoghi, gli spostamenti si dirigeranno verso l’Italia e verso l’Europa. A questo si aggiunge l’instabilità politica che renderà tutto più complicato.
Siamo avvisati.