La fifa dell’insegnante, di Roberto Contu
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Riprendiamo dal blog di Roberto Contu http://www.laletteraturaenoi.it/ un suo articolo pubblicato l’1/5/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e scuola nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2016)
Fuori dalla porta della classe
Le otto di mattina. Entro dalla porta principale dell’istituto tecnico commerciale dove insegno, mi affaccio in aula docenti, saluto qualche collega. Due rampe di scale, pochi passi, mi fermo davanti alla porta della classe. Il tempo di non sentire il macello che già stanno facendo gli alunni, di farmi sfiorare da un ritardatario che mi sfila dentro da dietro e puntuale lui arriva: il mio breve istante di fifa quotidiana.
Proprio la fifa, o paura se dir si voglia. Ma preferisco chiamarla fifa: la fifa dell’insegnante. Questa mattina dovrebbe trattarsi giusto di un saluto veloce, la lezione in terza su Petrarca ce l’ho bene in testa, devo anche interrogare. Poi ho due ore in quinta: Svevo per Letteratura e la guerra civile spagnola per Storia. L’ultima ora analisi del periodo in seconda e la mattinata dovrebbe filare liscia e senza intoppi.
Insomma, la fifa dovrebbe salutare, io ricambiare e lei andarsene prima del solito. Eppure, sentendola qui accanto, oggi mi ritrovo a pensarla un po’ meglio. Realizzo che da quasi quindici anni che sono in cattedra non è mancato una mattina il suo saluto, dal giorno in cui per la prima volta ho aperto la porta della mia prima classe.
Lei c’è sempre stata, un attimo, giusto un saluto magari, ma mi rendo conto che c’è sempre stata. I primi anni mi vergognavo a confessarlo, soprattutto a me stesso. Scientificamente convinto di fare il mestiere più bello del mondo, testimone dell’esperienza quotidiana dell’essere intimamente contento a Scuola, nei primi tempi vivevo la fifa come una specie di macchia di troppo su una tovaglia bella e pulita.
Ero convinto che fosse inammissibile provare fifa prima di entrare in classe. Eppure, puntuale come il giorno e la notte, prima di entrare la fifa era lì. Non solo. Spesso aveva fatto il viaggio in macchina insieme a me, qualche volta addirittura si presentava in casa la sera prima. Passerà mi dicevo. Non è passata e anche in questo momento è qui.
Dentro la porta della classe
Come un esploratore che a forza di esplorare riesce a disegnare il profilo della terra che scopre, con il tempo sono riuscito a vedere sempre meglio i confini della mia fifa da insegnante. Ma non potrei che raccontarlo per induzione, ad esempio immaginando queste quattro ore apparentemente semplici che davanti alla porta oggi mi si parano davanti.
Vediamo. Prima ora in terza. Petrarca. Devo lavorare bene. Ho studiato abbastanza ieri? Ho dovuto preparare anche Storia, alla fine ero stanco, ma devo fare capire loro cosa è significato essere scisso per quello li. Mi aiuterà il segreto del Secretum. Mi ascolteranno? Sono ventotto, sebbene ci sia un ottimo rapporto sono comunque rumorosi e spesso agitati. Ecco devo coltivare quel rapporto ma gestirli.
Sarà questione di testa ma anche di corpo. Reggeranno la lettura? La traduzione del manuale sarà all’altezza della loro attenzione? Ma devo arrivarci. Se la capiscono questa cosa del dissidio capiranno molto dell’autore. Capiranno molto di loro stessi.
Poi ci sono due orali da fare. So chi devo sentire. Uno di questi, una ragazza, sta andando male. Sta mollando, so che va male anche in tutte le materie di indirizzo. Potrei aiutarla, ma lei deve metterci qualcosa di suo. Ma è spenta. È a rischio fallimento scolastico. La situazione a casa è una delle millanta anonime situazioni complicate di molti suoi compagni. Eppure lei è ancora più fragile e io so che una sedicenne che scompare è una catastrofe silenziosa, un danno per l’umanità.
Ma poi ci sono gli altri che osservano. Ci sono io. E tutto questo deve diventare un numero, una valutazione, un giudizio. La vertigine del giudizio. Devo essere lucido. Speriamo bene.
Finito con la terza vado in quinta. Beh, lì ci sto bene, gioco in casa. Faccio il programma che amo, la Letteratura e la Storia del Novecento. E si vede. Le ore volano e il clima è ottimo. Ma devo prepararli al meglio per l’Esame di Stato. Quest’anno hanno il commissario esterno. E poi qualcuno forse me lo sto lasciando indietro.
Mi viene il dubbio che per gratificazione personale in questo periodo sia volato troppo alto e mi sia dimenticato dei più fragili. Certo, quei tre-quattro bravi vanno alla grande, ma lo farebbero indipendentemente da chi hanno davanti. Ma quelli più fragili?
Ecco stamattina con Svevo sono a rischio, tutta quella roba che avevo in mente sulla frantumazione dell’io forse è il caso che la rimoduli. So che staranno attenti, ma saranno attenti? Devo essere lucido e intelligente. Speriamo bene.
Ricreazione, di corsa alla macchina del caffè. Poi di nuovo in quinta con la guerra civile spagnola. Ieri pomeriggio ho voluto studiarla bene. C’ho preso gusto, ho divagato, ho passato un’ora a guadare video dell’Istituto Luce su Youtube, ma che ci faccio? Parto da Guernica sulla Lim? Terra e libertà lo consiglio per casa? Ci sono quei due impegnati politicamente che si dicono di estrema destra. Non si tratta di una scelta neutra o banale metterli da soli a casa di fronte a quel film. Come lo gestisco? Coinvolgo quegli altri due che si dicono anarchici. Incarico le due fazioni di approfondire il tema a gruppi. Se me la gioco bene in classe potrebbe venire fuori un bel momento, si confronteranno e ognuno dirà la propria. Tutta la classe sarà tirata dentro e magari ci scappa un’ora in cui si vola alto. O succede un macello. Ma vale la pena provarci. Devo essere lucido, intelligente ed equilibrato. Speriamo bene.
Infine la quarta ora in seconda. Grammatica, analisi del periodo. Mi viene il vomito a pensarci. Io la odio la grammatica, o sai scrivere o non sai scrivere. Eppure questi scrivono tutti malissimo, qualcuno dovrà insegnargli a maneggiare quei benedetti periodi. Chi? Tu, che domande, vengono a scuola apposta. E allora scegli: o li piazzi di fronte a filotti di esercizi da correggere a sberle di noia o usi l’analisi del periodo per imparare a scrivere meglio, a pensare meglio, a essere meglio. Del resto sei tu che chiedi loro lo sforzo e la volontà. Se non ce li metti tu per primo che ci provi a fare? Un bel respiro profondo e tenteremo di far brillare anche un’ora sulle subordinate. Devo essere lucido, intelligente, equilibrato, competente.
Speriamo bene. A quel punto la campanella della quinta ora dovrebbe aver suonato. Saluterò qualche collega, mi affaccerò in aula docenti, uscirò dalla porta principale dell’Istituto tecnico commerciale dove insegno. Sarà finita la mattinata.
In fondo al corridoio
L’istante se ne sta andando e ormai devo realmente entrare ma sento che oggi la fifa mi vuole lasciare con una sorpresa. Ecco la mia redenzione: finalmente mi convinco che solo uno sciocco non proverebbe timore di fronte alla costruzione di una cattedrale del genere. E sì che ho giusto scimmiottato nei pensieri il peso specifico di quelle ore. Come aver scarabocchiato con pochi tratti il progetto di una cattedrale. Per ogni ragazzo la costruzione di una cattedrale, ogni mattina, circa duecento mattine all’anno. Centinaia di ragazzi, per anni, per una vita professionale intera.
Fa spavento. Fa spavento perché spaventa pensare a quanta vita passi dentro a una scuola, a quanto di vivo, di irrequieto, di moto perenne delle menti e dei corpi si concentri dentro una classe. Mi dico che sono questi i confini tracciati dalla mia fifa da insegnante. Confini che fanno spavento ma che mi sembrano bellissimi.
Grazie all’istante di fifa quotidiana capisco quanto sia per me vitale respirare la responsabilità di essere in un posto così essenziale e traboccante di vita. Sento quanto sia giusto provare un sacrosanto e responsabile timore. Intuisco come l’irriducibile complessità del mestiere educativo debba fondarsi su questo affacciarsi rispettoso sul singolarissimo infinito di ogni singolo ragazzo. È questa la sostanza di cui è fatta la fifa dell’insegnante, è questo il prezioso lascito che da sempre ci permette di aprire la porta della classe, anche a me oggi.
Un respiro profondo e l’istante di fifa quotidiana è già in fondo al corridoio che mi saluta. Forse non mi ha visto entrare in classe o forse ha giusto sbirciato i miei pochi passi verso la cattedra mentre già intimo a tutti di sedersi: «aprite il libro e cercate il Secretum».