Dal Vangelo secondo Shakespeare… Un’intervista di Paolo Pegoraro al prof. Piero Boitani
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Riprendiamo dalla rivista Credere un’intervista di Paolo Pegoraro al prof. Piero Boitani pubblicata il 5/5/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Letteratura o, sulla questione se Shakespeare sia stato cattolico e sul possibile influsso della sua fede sulle sue opere clicca sul tag william_shakespeare.
Il Centro culturale Gli scritti (19/6/2016)
Tra tanti classici della letteratura, nessuno ci parla con l’immediatezza e la freschezza di William Shakespeare. Una sera a teatro in sua compagnia ci svela sempre qualcosa di noi stessi. Shakespeare parla a tutti, senza curarsi dei nostri titoli di studio. “È grande perché fa sentire grande ogni uomo”, diceva di lui G.K. Chesterton. Una definizione che, probabilmente, gli sarebbe piaciuta. Ne parliamo con il professor Piero Boitani, eminente filologo e anglista, già docente a Cambridge e oggi presso l’Università “Sapienza” di Roma.
Professore, dopo la Bibbia, i drammi scespiriani sono forse i testi più universali, capaci di renderci “esperti di umanità”.
«Certo, la Bibbia ci rende inoltre “esperti di divinità”… cosa che fa anche Shakespeare, ma in maniera molto più obliqua. Anche Omero e Dante ci parlano dell’umano e del divino, eppure la varietà umana che troviamo nella Bibbia e in Shakespeare è enorme. Con una differenza fondamentale, però: la Bibbia è costituita da tanti libri di autori ed epoche diverse, mentre Shakespeare ha fatto tutto da solo».
Qual è il segreto di Shakespeare?
«Da una parte c’è la sua incredibile velocità: compose numerose opere in pochi anni, non dimentichiamo che morì cinquantaduenne. C’è poi la capacità di penetrare nel più profondo degli esseri umani. Shakespeare non è filosofo e men che meno teologo, ma la sua poesia giunge al cuore delle grandi questioni e con poche parole riassume situazioni e modi di sentire. Infine è un grande creatore di personaggi e di trame, che in parte eredita, ma riscrivendole a modo suo».
Ci si è chiesti sempre più spesso se Shakespeare fosse cattolico. Ci sono delle evidenze?
«Non dirette. Sappiamo che, quando suo padre morì, Shakespeare fece dire per lui Messe in suffragio. Sappiamo che lui stesso fu seppellito in un cimitero cattolico. Nel primo atto dell’Amleto il fantasma giunge da quello che sembra il Purgatorio. Personalmente ho trovato qualche altra spia. In genere Shakespeare usava la Bibbia di Ginevra, una traduzione riformata, ma in alcune composizioni più tarde, per esempio La Tempesta, ho ragioni filologiche per credere che abbia adoperato la Bibbia di Douai-Reims, cioè una traduzione della Vulgata in inglese fatta proprio per i cattolici».
...e in nessuna sua opera troviamo attacchi ai “papisti”, ossia i cattolici.
«Troviamo invece stoccate contro i puritani, per cui possiamo dire che di certo non era un estremista. Per il clima che si respirava nell’Inghilterra del Seicento non è cosa da poco».
La critica ha riconosciuto la sua mano in alcune pagine del dramma Tommaso Moro.
«Sì, e la storia di Tommaso Moro non era certo un tema “neutro” in un Paese protestante. Tanto più in Inghilterra, visto che Moro si oppose al divorzio di re Enrico VIII, che fu causa della separazione da Roma della chiesa anglicana».
Nel suo libro Il Vangelo secondo Shakespeare lei sottolinea l’importanza “salvifica” dei personaggi femminili...
«C’è uno sviluppo. Prima abbiamo sia figure positive, come Ofelia e Desdemona, che negative, come la madre di Amleto e Lady MacBeth. In opere come il Re Lear, Cordelia rappresenta una possibilità di riscatto, che però non avviene. Ma negli ultimi drammi - i drammi “romanzeschi” - sono proprio le donne, mogli o figlie, a portare la salvezza. Un dato singolare per il teatro elisabettiano, dove alle donne non era permesso recitare. E dietro alcuni di questi personaggi, ad esempio nel Pericle, si scorge la figura di Maria Maddalena».
Quella raccontato da Shakespeare è una “buona notizia” sul riconoscimento degli affetti familiari, in cui la donna ha un posto centrale.
«Queste trame e il posto che in esse occupano le figure femminili sono sempre “terrene”, ma al tempo stesso alludono a qualcos’altro. Il bene, la felicità, viene dalla riunione di marito e moglie, o di padre e figlia, eppure questa riunione rimanda a una felicità ulteriore, che supera il piano terreno. È evidente nel Racconto d’inverno, nel Pericle, ma anche nel Cimbelino».
Il Vangelo è un testo “drammatico”. Shakespeare può aiutarci a capirlo meglio?
«T.S. Eliot diceva che qualunque poeta veramente grande cambia la tradizione prima di lui, il modo di leggerla e comprenderla. Così avviene con Shakespeare e la tradizione greco-romana: ormai non riusciamo più a pensare alle Idi di marzo se non come le ha immaginate Shakespeare nel suo Giulio Cesare. Ma Shakespeare getta una luce anche sulla Bibbia, dalla quale ha ripreso citazioni, frasi, immagini o addirittura ombre di trame».
Il più “parlato” dei Vangeli, quello di Giovanni, pare talvolta un copione teatrale. Il dialogo con la samaritana al pozzo, ad esempio...
«Il Vangelo di Giovanni è estremamente drammatico, prima della resurrezione ma anche dopo: Maria di Magdala con il giardiniere, l’apparizione ai discepoli, quella con Tommaso... È evidente che l’evangelista ha un’impostazione drammatica e sa come presentare le vicende in maniera drammatica».