Estinzione delle riviste cattoliche?, di Christian Albini
Riprendiamo dal blog Sperare per tutti un articolo di Christian Albini pubblicato il 21/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/12/2015)
N.B. de Gli scritti
L’articolo di Christian Albini ha il coraggio di porre domande profonde e di lasciarle aperte, perché la crisi delle riviste, degli editori e delle agenzie cattoliche richiede una riflessione non di corto respiro, bensì di prospettiva.
Dal nostro punto di vista ci sembra importante segnalare ulteriori capitoli della questione:
- anche nel campo della catechesi diverse riviste hanno già chiuso e questo rende ancora più importante la domanda sulle cause di una crisi che è avvertita in più campi.
- un elemento che sicuramente sarà da considerare è la proposta da parte di papa Francesco di uno stile di Chiesa popolare che sembra corrispondere ad un’esigenza che è un segno dei tempi e che è avvertita da molti; la questione riguarda anche il rapporto nelle riviste fra l’esigenza di una proposta sintetica, viva e chiara della fede da contemperare con la profondità della ricerca e dell’analisi.
- un elemento nuovo da non dimenticare è certamente la presenza di numerosi siti e blog che scelgono la via della gratuità, in qualche modo ricollegandosi alla gratuità dell’annunzio del Vangelo, per cui il mercato editoriale si trova a doversi misurare con l’esistenza di una comunicazione che prescinde dal dato economico e che è stata resa possibile dalla novità del web.
- l’autore dell’articolo pone giustamente la questione dei nuovi linguaggi e delle nuove forme espressive con cui i redattori delle riviste e i diversi blogger sono chiamati a misurarsi, ma l’altro lato della questione riguarda i contenuti da proporre perché bisogna sempre domandarsi di cosa il popolo di Dio oggi abbia bisogno per vivere la sua missione e cosa veramente sia avvertito come vitale dall’uomo contemporaneo.
- infine, non sarà forse inutile riflettere sul rapporto con le giovani generazioni (sia dei seminari e del clero sia del laicato), sulla fiducia riposta in loro e nella loro azione ecclesiale, sullo spazio affidato alla loro iniziativa dalle generazioni precedenti - che hanno ovviamente “gusti” differenti - nelle case editrici e nel grande mare del web.
Estinzione delle riviste cattoliche?, di Christian Albini
L'ultima vittima è Misna, con appelli addirittura al papa e a Renzi per salvarla in extremis. Come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie, le riviste della stampa cattolica, soprattutto missionaria, scompaiono una a una. La prima "caduta illustre" è stata quella di Popoli, preceduta da Ad Gentes, che pure aveva compiuto un processo di rinnovamento ottimo dal punto di vista della grafica e dei contenuti.
Quest'anno abbiamo avuto l'annuncio della chiusura di altre testate storiche: Settimana e, soprattutto, il Regno dei Dehoniani. Ora tocca a Misna e altre testate non stanno troppo bene. Senza che altre pubblicazioni siano entrate nel mercato per sostituirle. A ben vedere, le uniche novità, nella comunicazione cattolica degli ultimi anni, si sono viste sul web.
Come mai accade questo? Quale serial killer sta sterminando un patrimonio di riflessione e documentazione sulla fede?
Alcune cause prossime sono evidenti: gli istituti religiosi a cui queste riviste facevano capo sono in crisi di risorse umane ed economiche, mentre i costi aumentano e le generazioni di lettori tradizionali (preti e religiosi, ma anche i cattolici impegnati delle stagioni post-conciliari) si erodono rapidamente. I tentativi di rinnovamento, che pure ci sono stati, sembrano dei lenitivi, ma la questione profonda è l'esaurimento di un modello editoriale, senza proporne uno nuovo. E sicuramente i particolarismi dei vari "editori" non hanno aiutato in questo senso favorendo lentezze e carenza di prospettive. Questo è problematico, soprattutto quando ci sono anche dei posti di lavoro in gioco.
Marcello Neri, scrivendo per il Mulino, ha contestualizzato a mio avviso correttamente questo fenomeno. E fa capire come mai gli appelli, purtroppo, servano a ben poco.
«La chiusura de "Il Regno" eccede la sua stessa storia; e chiama in causa quel grande comparto tradizionale che potremmo definire riviste di analisi e interpretazione culturale e politica – non solo qui da noi, ma ovunque nella parte occidentale del mondo. Quando chiude una di queste riviste assistiamo a uno strano fenomeno: viviamo infatti il paradosso di un lutto che colpisce soprattutto gli autori e genera il dispiacere o la preoccupazione dei residuali lettori – sentimenti, questi, del tutto ignoti a quelli nati dopo di loro. Questo avrebbe dovuto dirci qualcosa in corso d’opera, ma è già tanto se ce ne accorgiamo dopo che tutto è finito. I processi di trasformazione nelle generazioni più giovani, con le quali ho a che fare quotidianamente all’università (quindi già in un ambito elitario, di eccezione), sono così ampi e profondi che è difficile intuire la via per una coltivazione della riflessione e dell’analisi che accompagni la massa di informazioni cui accedono attraverso canali fluttuanti e infatuanti. Comunque più coerenti al loro vissuto rispetto alle nostre paludate elucubrazioni e più sinceri rispetto al restyling giovanilistico a cui cerchiamo di sottoporre il nostro gergo o le nostre forme di comunicazione di massa. (...)
Davanti alla chiusura de "Il Regno" si può provare dispiacere e preoccupazione, per il vuoto che così si viene a creare. Ma non sorpresa. Perché quello che accade a "Il Regno" sta accadendo altrove alle forme ereditate dal moderno di una rappresentanza pubblica del pensiero e dell’analisi della fede – basti pensare all’insostenibilità delle facoltà teologiche nel sistema universitario statale tedesco, tanto per fare un esempio. In questa sfera della vita civile così importante ci stiamo consumando: nel paradosso che la legittimazione oramai raggiunta non riesce a coprire la pertinenza del costo dell’impresa – ovunque. Cosa fare davanti a questo fenomeno rimane la grande domanda finora inevasa.
Se per un attimo riuscissimo a uscire dal labirinto di specchi attraverso il quale ciascuna rivista fanciullescamente coltiva la fede indefettibile nella propria insostituibilità, ci accorgeremo che la chiusura de "Il Regno" è qualcosa che deborda i limiti del cattolicesimo e dell’Italia. Quale scrittura di analisi culturale e socio-politica davanti al processo di irreversibile trasformazione dei modi di lettura delle generazioni che hanno nelle mani il domani del governo sugli interessi delle cose?»
Non mi sento di possedere risposte a una domanda del genere, se non idee e intuizioni. Ma la questione eccede la mia persona e le mie capacità e forse richiederebbe un impegno congiunto dei soggetti editoriali e anche della stessa chiesa italiana, se ha a cuore il pluralismo dell'informazione e la formazione di un'opinione pubblica consapevole.