1/ Konrad Lorenz e il nazionalsocialismo, di Carlo Brentari 2/ Lorenz, dal darwinismo al nazismo. Un’intervista di Paolo Piffer a Carlo Brentari
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1/ Konrad Lorenz e il nazionalsocialismo, di Carlo Brentari
Riprendiamo dalla rivista Il Margine 2005, n. 9, pp. 20-30 un articolo di Carlo Brentari. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2016)
Lo studioso del comportamento animale Konrad Lorenz non ha bisogno di presentazioni. Quasi tutti ne conoscono il nome e lo associano all’immagine serena di un vecchio signore che riesce a parlare con gli animali, soprattutto con le famose oche grigie. Molti hanno letto i suoi libri, sia quelli divulgativi come L’anello di re Salomone, sia quelli teoricamente più impegnativi come L’aggressività o L’etologia. Infine, soprattutto in Austria, Lorenz è ricordato per il suo impegno a favore delle zone umide attorno al Danubio, minacciate da speculazioni edilizie.
Questo articolo non intende mettere in dubbio la validità della scoperte scientifiche di Lorenz nell’ambito del comportamento animale. Esso si occupa di un aspetto meno noto della sua vita e della sua opera, quello dei rapporti con il nazionalsocialismo. Affronterò questo intento in due momenti diversi. In primo luogo cercherò di descrivere sinteticamente le relazioni personali di Lorenz con i nazionalsocialisti, prima e dopo l’annessione dell’Austria al Reich hitleriano. In secondo luogo prenderò in considerazione il sostegno teorico offerto da Lorenz alla concezione nazista dell‘uomo.
Un Nobel contestato
Quando nel 1973 Konrad Lorenz e Nikko Tinbergen vinsero il premio Nobel, il riconoscimento della comunità scientifica fu unanime. Ma il conferimento del premio non suscitò soltanto reazioni positive: il recentemente scomparso Simon Wiesenthal inviò a Lorenz una lettera per invitarlo a restituire il Nobel. I termini usati da Wiesenthal non furono teneri: «Il premio Nobel non deve venire privato di valore dal fatto di essere conferito a Lei, che in passato ha sostenuto le tesi di una spietata dittatura». Che cosa si nasconde dietro l’accusa di Wiesenthal? Qual è stato il sostegno apportato da Lorenz al nazionalsocialismo? E, viene spontaneo chiedersi, che cosa ha ricevuto in cambio del suo appoggio? Per cercare di dare una risposta a queste domande possiamo partire dalla situazione personale di Lorenz negli anni precedenti il 1938, l’anno dell‘annessione dell’Austria alla Germania.
Dopo la laurea in anatomia, conseguita nel 1928, Lorenz fu per alcuni anni assistente universitario presso la Facoltà di medicina di Vienna. Le sue personali inclinazioni lo portavano però a occuparsi in misura sempre maggiore di biologia e di zoologia, in particolar modo di un settore della zoologia che - in attesa di chiamarsi etologia - portava allora il nome di «psicologia animale».
A Vienna la psicologia animale era quasi del tutto trascurata. Gli unici incoraggiamenti a proseguire su questa via vennero a Lorenz da alcuni studiosi tedeschi tra cui l’ornitologo Erwin Stresemann e lo zoologo Oskar Heinroth. Nel 1934 Lorenz passò alla facoltà di psicologia, dove cercò di abilitarsi alla libera docenza con uno studio sul comportamento sociale delle taccole (una varietà di corvide). Il titolo gli venne rifiutato con la motivazione che «la psicologia animale non è una disciplina autonoma». La situazione finanziaria del giovane studioso era precaria; il lavoro all’università era mal pagato, e per mantenersi Lorenz doveva tenere conferenze popolari in varie associazioni culturali austriache e scrivere articoli divulgativi sui giornali.
Il contesto culturale e istituzionale in cui Lorenz si trovava a operare era ostile non solo alla psicologia animale, la cui importanza era in fondo secondaria, ma alla biologia in generale. Tale ostilità è da ricondurre al forte influsso sulla vita sociale e culturale austriaca della chiesa cattolica e del partito cristiano-democratico al governo. Quando, anni dopo, Lorenz vorrà dare un‘idea del clima in cui era iniziata la sua carriera di studioso, egli ricorderà che l‘insegnamento della teoria darwiniana era proibito nelle scuole superiori e non era visto di buon occhio nemmeno nelle università.
Nella Germania degli anni trenta, invece, la biologia era tenuta in enorme considerazione. Si calcola che tra il 1932 e il 1939 i contributi del governo nazista alla ricerca biologica siano aumentati di dieci volte. Una grande importanza avevano soprattutto gli ambiti della biologia dell’ereditarietà e le ricerche sul darwinismo e sulla selezione naturale. Alla luce degli eventi che seguirono, il sostegno alla biologia da parte del nazionalsocialismo non può non apparire sospetto; il meno che si possa dire è che esso mirava a trovare un sostegno «scientifico» che legittimasse determinate linee d’azione. Per fare un esempio, l’affermazione dell’ereditarietà delle patologie psichiche poteva valere come legittimazione della sterilizzazione forzata o addirittura della soppressione dei malati psichici.
Agli occhi del giovane Lorenz la Germania rappresentava la possibilità di vedere il proprio lavoro valutato con equità e obiettività, nonché la speranza di ottenere un concreto sostegno alla propria carriera. Lorenz non perdeva occasione di recarsi in terra tedesca per tenere conferenze, instaurare nuovi contatti accademici e rinsaldare i vecchi. Tra il 1935 e il 1937 la Società guglielmina per la promozione delle scienze e l‘Associazione tedesca per la ricerca cercarono di aiutarlo ad aprire un istituto di ricerca in Austria; le autorità tedesche si dimostrarono però riluttanti a sostenere questa iniziativa per il fatto che non si sapeva con esattezza quale fosse la posizione politica di Lorenz.
Le valutazioni di Lorenz che nel 1937 le menzionate società tedesche richiesero a persone di loro fiducia residenti in Austria concordano nel definire Lorenz come politicamente non attivo ma favorevole al nazionalsocialismo e convinto che Austria e Germania avessero un destino comune. Una volta provata l’integrità politica - e anche la «discendenza ariana» - di Lorenz l’Associazione tedesca per la ricerca poté finalmente conferirgli uno stipendio mensile di 125 DM per le sue ricerche. Ciò avvenne nella primavera del 1938, poco prima dell’Anschluss, che fu accolta da Lorenz con grande gioia.
A breve distanza da questo evento politico Lorenz si iscrisse al partito nazionalsocialista. Nel formulario della domanda di iscrizione al partito, alla voce «motivazioni personali», egli rilasciò una dichiarazione che vale la pena tradurre:
«Come pensatore e scienziato tedesco sono ovviamente sempre stato nazionalsocialista e nemico acerrimo del regime clericale per una profonda avversione alla sua concezione del mondo. ... Mi è spesso riuscito di dimostrare a studenti socialisti l’impossibilità biologica del marxismo e di convertirli al nazionalsocialismo. ... In tutti i miei viaggi di ricerca e divulgazione scientifica mi sono opposto, sempre e con ogni mezzo, alle menzogne diffuse dalla stampa ebrea-internazionale ... in relazione alla supposta violenza che il nazionalsocialismo userebbe all’Austria. ... Posso infine affermare che l’intero lavoro scientifico della mia vita, in cui sono centrali le questioni legate all’origine delle specie, alle suddivisioni razziali e alla psicologia sociale, è al servizio del pensiero nazionalsocialista».
Nei mesi compresi tra l’annessione dell’Austria al Reich e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Lorenz cerca di sfruttare i suoi buoni contatti su due fronti: il finanziamento dell’Istituto di Altenberg e l’ottenimento di un posto come docente all‘Università di Vienna. I risultati sono scarsi, anche se da molti documenti risulta che la posizione politica di Lorenz non suscitasse più alcuna preoccupazione per le autorità, intente a trasformare le università austriache in istituzioni di provata fedeltà.
L’attesa svolta avvenne nel 1940, quando Lorenz venne chiamato all’Università di Königsberg come professore di psicologia umana. Il fatto che un biologo nonché studioso del comportamento animale come Lorenz potesse essere nominato professore di psicologia umana fu visto da molti come un chiaro segno dei tempi. I principali sostenitori del prestigioso trasferimento furono il filosofo Baumgarten - che propose Lorenz per i suoi meriti scientifici ma anche, pragmaticamente, per la sua compatibilità con l’atmosfera culturale dominante - e Heinrich Harmjanz, responsabile dell’ufficio delle SS per le questioni biologiche, la razza e l’ereditarietà.
I retroscena della nomina di Lorenz sono complessi. Nel contesto della «Nazifizierung» delle università austriache due professori in carica a Königsberg (uno dei due era l’antropologo e filosofo Arnold Gehlen) erano stati trasferiti a Vienna; nella città tedesca c’erano quindi dei posti vacanti, almeno uno dei quali sembrò opportuno dare a un austriaco. Ma la scelta di Lorenz non può essere compresa se non sullo sfondo delle sue pubblicazioni nel periodo compreso tra il 1938 e il 1943, delle quali ci occuperemo tra poco.
A Königsberg l’attività di Lorenz è principalmente scientifica e didattica. Egli si dedica all’allevamento e all’osservazione di animali, tiene lezioni e seminari e si occupa dei laureandi. Tutte le testimonianze lo danno per disinteressato alla politica attiva; uno studente riferisce che c’erano in lui forti segni di delusione verso la politica tedesca e verso molti politici nazisti.
Sembra quasi che, una volta ottenuto il posto con una certa dose di opportunismo, Lorenz non volesse altro che dedicarsi al suo lavoro.
Questa situazione continuò fino al 1941, quando Lorenz fu richiamato sotto le armi come psicologo militare; il suo compito era selezionare le reclute e assegnare loro le mansioni per le quali dimostravano più attitudine.
Di questi mesi si sa pochissimo. È certo che, assieme al biologo nazista Hippius, Lorenz abbia lavorato a uno studio sui tratti psicologici degli abitanti della città di Posen, la cui popolazione era composta da polacchi, da tedeschi e da numerose persone nate da matrimoni misti. I risultati di questo studio erano a favore dei tedeschi o comunque delle persone con una forte componente di sangue tedesco; questi individui risultavano più profondi, intelligenti, abili e laboriosi dei polacchi, ai quali si attribuiva invece una maggiore instabilità e imprevedibilità. La rilevanza di questo studio non era puramente teorica: esso serviva alla classificazione della popolazione della regione di Posen in quattro gruppi, dai più ai meno tedeschi. I gruppi intermedi comprendevano le persone per le quali era possibile un processo di «tedeschizzazione», mentre i casi “peggiori” (vale a dire gli appartenenti al quarto gruppo) rischiavano il campo di concentramento. Per valutare le responsabilità di Lorenz bisogna comunque tenere presente che in questo periodo Lorenz non era libero di scegliere con chi collaborare; era nell’esercito, e Hippius era un suo superiore.
Nel 1944 Lorenz fu preso prigioniero dai russi. Trascorse tre anni in un campo di prigionia sovietico e riuscì a tornare in Austria solo nel 1947. In seguito le sue dichiarazioni sul nazismo e sulle proprie vicende biografiche furono scarne; l’immagine che esse dovrebbero veicolare è quella di uno studioso immerso nel proprio lavoro e non interessato alla politica. È evidente che questo non può essere sostenuto: alla fine degli anni trenta solo una persona che si era esplicitamente dichiarata a favore del nazionalsocialismo e ne condivideva la visione del mondo poteva essere chiamato a rivestire una funzione pubblica prestigiosa come quelle di professore universitario.
Questo però, da solo, non fa di Lorenz un nazista convinto e ancor meno un criminale di guerra. Ciò che più si nota nella sua biografia è un intreccio di opportunismo, buona strategia nel coltivare le relazioni accademiche ed entusiasmo per le nuove prospettive, anche scientifiche, che il nazismo sembrava dischiudere.
Se nell’intrico delle relazioni tra Lorenz e il nazionalsocialismo vogliamo trovare un sostegno più personale al nazionalsocialismo e un apporto originale alla concezione nazista del mondo, dobbiamo cercarlo nelle sue conferenze e nei suoi scritti del periodo tra il 1938 e il 1942. In altri termini ciò che si deve fare a questo punto è cercare di comprendere quale fosse il nucleo teorico, l’argomentazione di base che potevano portare un biologo e studioso del comportamento animale a valutare positivamente l‘avvento del nazismo.
La minaccia della degenerazione dell’uomo moderno
Al 16° congresso della Società tedesca di psicologia, che si tenne nel luglio 1938 a Bayreuth, Lorenz tenne una conferenza dal titolo Difetti del comportamento istintivo degli animali domestici. Prima di occuparci dei suoi contenuti, è opportuno richiamare brevemente la teoria degli istinti di Lorenz, già nettamente delineatasi in questo periodo. A tal fine prenderò come punto di riferimento un testo del 1932, Considerazioni sopra il riconoscimento delle azioni istintive negli uccelli.
Le modalità comportamentali degli animali si dividono in due gruppi: le azioni istintive, trasmesse per via ereditaria e di conseguenza non modificabili dall’esperienza individuale, e le azioni acquisite o apprese, che al contrario sono modificabili nel corso della vita dell’animale. Un comportamento istintivo - come ad esempio la costruzione del nido in molte specie di uccelli - consiste in una sequenza prefissata di movimenti. Negli uccelli in età riproduttiva tale sequenza si presenta spontaneamente, anche se essi sono stati allevati in solitudine e quindi non possono averla appresa dai conspecifici. A innescare i comportamenti istintivi sono normalmente degli stimoli percettivi: la vista di una preda può dare inizio a una sequenza di caccia e cattura, il richiamo di un possibile partner alla sequenza motoria del corteggiamento e della nidificazione, ecc.
Le sequenze comportamentali istintive sono molto utili alla sopravvivenza delle specie animali. Essendo trasmesse geneticamente dai genitori, esse esonerano i giovani esemplari dall’apprendimento dei comportamenti necessari alla sopravvivenza. Inoltre, proprio come le strutture anatomiche esteriori, anche le sequenze motorie innate sono soggette a selezione naturale: un esemplare che, per una casuale mutazione del corredo genetico, si trovasse a disporre nella caccia di una sequenza motoria migliore di quella dei conspecifici ne trarrebbe un decisivo vantaggio nella competizione per il cibo. Egli poi trasmetterebbe tale sequenza modificata ai successori, che disporrebbero anch’essi del vantaggio nella competizione, e così via.
Ritorniamo ora alla conferenza del 1938, Difetti del comportamento istintivo degli animali domestici. Nel corso dei suoi studi su piccioni, anatre e oche Lorenz aveva osservato che la domesticazione porta con sé un‘elevata modificazione dei moduli comportamentali istintivi, in special modo del corteggiamento. Allo stato selvaggio tali modificazioni impedirebbero ai partner di riconoscersi e di avvicinarsi l’uno all‘altro. In cattività la vicinanza fisica obbligata della gabbia fa sì che essi si riproducano egualmente, ma è evidente che, rimessi in libertà, gli individui addomesticati non potrebbero più riprodursi. Lo stesso può dirsi dei moduli innati relativi alla nutrizione; qui i danni della degenerazione sono ancora più evidenti, ma anche in questo caso ogni problema di sopravvivenza è prevenuto dall’uomo, che nutre lui stesso gli animali utili o decorativi.
Più in generale, la situazione di cattività elimina totalmente gli effetti positivi della selezione naturale sia sull’anatomia che sugli istinti degli animali e introduce come fattore selettivo le esigenze dell’uomo. In questo modo la domesticazione agisce sul fondamento stesso della specie, sul corredo genetico che determina lo sviluppo degli individui; ma se le modificazioni esteriori delle specie domestiche sono visibili a tutti, meno appariscente è la degenerazione della loro istintualità, che con il passare del tempo le rende del tutto incapaci di sopravvivere e di riprodursi senza l‘uomo.
Fin qui Lorenz non fa che esporre un problema scientifico, sul quale del resto già Darwin aveva attirato l’attenzione. Egli però non si limita a questo. La conferenza del 1938 è incentrata sull‘idea che anche l’uomo moderno è a rischio di degenerazione, e di una degenerazione del tutto simile a quella che colpisce gli animali domestici. Le «modificazioni ereditarie nel sistema delle modalità comportamentali istintive»- dice Lorenz - «compaiono sia negli animali nel corso della domesticazione che nell’uomo nel corso del processo di civilizzazione».
Ma dove può portare l’analogia istituita da Lorenz tra animale domestico e uomo civilizzato - o meglio, come dice lui stesso, «ipercivilizzato»?
Prendendo spunto dai suoi esperimenti, in cui oche selvatiche e oche domestiche venivano allevate insieme, Lorenz afferma: «Se non effettuassi costantemente una certa selezione tra le mie oche, eliminando i frutti in eccesso degli incroci con le oche domestiche, entro poco tempo gli esemplari di sangue puro di oca selvatica verrebbero sopraffatti dalla concorrenza numerica dell‘oca domestica. Mutatis mutandis, lo stesso vale per l’uomo della grande città. È statisticamente assodato che gli individui che presentano degenerazioni morali [Menschen mit moralischem Schwachsinn] raggiungono in media un tasso di riproduzione enormemente più alto degli individui di pieno valore [vollwertig]».
L’argomentazione che Lorenz porta a sostegno di questo suo timore è la stessa che i nazisti utilizzarono per motivare i provvedimenti di sterilizzazione forzata e in seguito di eliminazione dei malati psichici. Il tasso di riproduzione dei «degenerati» sarebbe molto può alto di quello dei sani; secondo un manifesto propagandistico dell’epoca, partendo da un’ipotetica situazione di parità numerica tra i primi e i secondi basterebbero trent‘anni per arrivare a una proporzione di 70 a 30 a favore dei «degenerati», e 120 anni per farli prevalere totalmente. Purtroppo Lorenz, per il quale questa tendenza è «statisticamente assodata», non cita alcuno studio che lo dimostri. Del resto egli non porta alcuna prova scientifica né alcuna argomentazione nemmeno a sostegno dell’analogia tra il processo di domesticazione dell‘animale e la civilizzazione dell’uomo, ma si limita a parlare di «somiglianza dei fondamenti biologici» e a istituire un’analogia tra la situazione di cattività degli animali e il contesto antropologico della grande città.
Se letto attentamente, il passo citato contiene un’ultima, preoccupante implicazione: così come è possibile opporsi dall’esterno ai processi degenerativi che colpiscono una colonia di oche selvatiche che si trova a vivere a stretto contatto con una popolazione di oche domestiche, allo stesso modo è possibile, almeno in linea di principio, opporsi attraverso opportune misure anche al pericolo che l’uomo «si addomestichi» eccessivamente. I metodi, se sono chiari nel caso delle oche - eliminazione degli incroci in soprannumero - non lo sono però nel caso della popolazione umana.
Passiamo ora a un altro testo che, nello stesso periodo, si occupò del problema della domesticazione/degenerazione dell’uomo; l’articolo porta il titolo di Disfunzioni del comportamento istintivo causate dalla domesticazione (1940). In esso il linguaggio nazista diventa sempre più esplicito e non si fa nessuna distinzione tra degenerazione fisica e degenerazione morale: entrambe sono viste come effetti dell’assenza di selezione naturale, e l’individuo degenerato si presenta come una mescolanza di tratti estetici ripugnanti e comportamenti sociali deviati. Sempre più centrale diviene la figura del Rassenpfleger, termine che può essere tradotto con «allevatore della razza» e che è coniato sulla base di Tierpfleger, il termine tedesco che sta per «allevatore». Il compito del Rassenpfleger è riconoscere in tempo ed eliminare i fenomeni degenerativi dovuti all’assenza di selezione naturale e all’influsso nefasto della domesticazione. La selezione da lui praticata deve in altri termini «svolgere la funzione biologica che nella preistoria dell’umanità veniva svolta dagli elementi naturali ostili».
Nello stesso passo si trova l’affermazione più decisa di come si debba intendere questa funzione selettiva: «Il Rassenpfleger deve occuparsi ancora più intensamente di quanto non faccia oggi dell’eliminazione [Ausmerzung] degli individui moralmente inferiori [ethisch Minderwertiger]». La difficoltà principale sta nel riconoscere i portatori di fenomeni degenerativi del comportamento morale, ma Lorenz ha anche per questo una risposta: «Un uomo buono riconosce dal profondo del suo istinto quando si trova di fronte a una canaglia. [Per questo] non dobbiamo fare altro che affidarci alle reazioni istintive dei nostri individui migliori, ... affidare a loro la selezione che determina la prosperità oppure la rovina del nostro popolo».
In nessuno dei testi del periodo compreso tra il 1938 e il 1940 si trovano delle chiare indicazioni su come vada intesa l’«eliminazione degli individui moralmente inferiori». La linea di difesa che, dopo la guerra, Lorenz adotterà di fronte ai suoi accusatori cercherà di sfruttare proprio questa vaghezza. In un’intervista televisiva rilasciata nel 1988, Lorenz dichiarerà: «Ho sperato che il nazionalsocialismo potesse portare qualcosa di buono, in particolare in rapporto alla preservazione dell’integrità biologica dell’uomo, alla lotta contro la domesticazione, ecc. Che dicendo “eliminazione della degenerazione” [Ausmerzen] o “selezione” la gente intendesse “omicidio“, questo allora io non l’ho mai creduto. Così ingenuo, così stupido - usi il termine che vuole - ero in quel periodo».
La modernità: una crisi biologica o culturale?
Sul piano personale l’appoggio di Lorenz al nazionalsocialismo e la sua entusiastica approvazione dell’annessione dell’Austria al Reich si spiegano con la speranza nel sopraggiungere di un clima culturale favorevole alla biologia e al darwinismo, in cui il suo lavoro di studioso del comportamento animale potesse finalmente trovare il riconoscimento che meritava. In Lorenz questa speranza era strettamente intrecciata a quella di ottenere un posto di docente universitario, che gli avrebbe assicurato la stabilità economica e la possibilità di portare avanti le proprie ricerche.
Dal punto di vista teorico, la motivazione del sostegno accordato da Lorenz al nazionalsocialismo è la preoccupazione per le sorti dell’uomo civilizzato. Ciò è indirettamente confermato dal fatto che nei suoi scritti la questione degli ebrei non compare; in essi si dice soltanto che, per gli europei, il pericolo dell’auto-domesticazione è ben maggiore di quello rappresentato dalla concorrenza delle altre razze. Tale atteggiamento verso la modernità non è proprio soltanto di Lorenz: l’interpretazione della civiltà occidentale come fase di declino e di impoverimento dell’uomo ha avuto degli illustri sostenitori tra gli intellettuali che hanno Lorenz, basti pensare a Nietzsche, Spengler e Sombart.
Il tratto peculiare di Lorenz sono le motivazioni di tale pessimismo antropologico. Le sue argomentazioni si basano su un’analogia di fondo: l’uomo moderno e l’animale domestico si trovano nella medesima situazione di assenza di selezione naturale, e questo conduce allo stesso tipo di degenerazione dei loro comportamenti istintivi. Abbiamo già messo in luce una delle nefaste conseguenze politiche di questo parallelo: esso legittima l’intervento selettivo sugli uomini e lo presenta come una misura igienico-sanitaria del tutto simile agli sforzi degli allevatori per mantenere pura una varietà animale.
Ma l’analogia di base tra animale e uomo, alla quale Lorenz terrà fede per tutta la sua vita, è esposta a due ulteriori critiche. In primo luogo va rilevato che i fenomeni degenerativi che Lorenz evidenzia negli animali domestici non sono tanto il frutto dell’assenza di selezione naturale, come egli sostiene, quanto il prodotto di un’attiva selezione umana. Se gli animali da carne sono troppo pesanti per correre e se i volatili da cortile hanno perso la capacità di volare, è perché l’uomo ha selezionato gli individui che gli apportavano più vantaggi e che gli creavano meno problemi. Più che di degenerazione, quindi, bisognerebbe parlare di una diversa linea di evoluzione, nella quale gli animali si sono adattati - o meglio, sono stati adattati - a una nuova situazione, la cattività. Nell’interpretazione di Lorenz dei mutamenti subiti dagli animali domestici agisce, e nemmeno tanto nascostamente, la sua predilezione personale per le forme animali selvatiche, la sua ammirazione (assieme etica ed estetica) per la loro robustezza fisica e sicurezza comportamentale. In questo non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che tale atteggiamento, esteso all’uomo in maniera del tutto acritica, porta Lorenz a giudicare gli individui in base alla loro maggiore o minore somiglianza con un personale ideale di fierezza, forza fisica e sicurezza nell’azione.
In secondo luogo, ed è questa la linea di critica fondamentale, l’analogia di Lorenz si basa sull’attribuzione sia agli animali che all’uomo di comportamenti sociali istintivi e sull’ipotesi che in determinate situazioni tali comportamenti possano degenerare. Ricordiamo che per Lorenz un comportamento istintivo è una sequenza di movimenti che si snoda in maniera rigida dalla percezione di uno stimolo (ad esempio il partner sessuale) al compimento dell’azione. Ma, è il caso di chiedersi, esistono veramente nell’uomo comportamenti istintivi innati di questo tipo? O non sono forse i comportamenti umani delle coordinazioni motorie di tipo diverso, che (pur dando espressione a un substrato istintuale) sono molto più plastiche e variabili delle sequenza motorie istintive degli animali?
Come l’antropologia culturale e filosofica ha da tempo messo in evidenza, i comportamenti umani complessi sono sempre dei processi culturali.
Se un animale cresciuto in solitudine è in grado di costruire un nido eseguendo esattamente la stessa sequenza motoria di tutti i suoi conspecifici, l’uomo non lo è. Anche la più primitiva capanna è il frutto di una tradizione culturale che l’individuo deve faticosamente apprendere. Lo stesso vale per i comportamenti sociali e per quelli legati al corteggiamento e alla riproduzione: la varietà rituale e istituzionale che essi assumono nei vari popoli è enorme, e non c’è modo per l’individuo di agire nel proprio mondo sociale se non in seguito a un processo di apprendimento culturale.
E qui è necessaria una precisazione. Considerare il comportamento dell’uomo come un insieme di azioni culturali non significa affatto escludere che esso possa degenerare. Al contrario, proprio l’enorme varietà d‘azione che l’assenza di una rigida istintualità permette all‘uomo fa sì che la minaccia della crisi sia sempre presente. In quanto unico responsabile della trasmissione dei propri valori, della propria identità e delle proprie tradizioni, ogni gruppo umano è esposto al rischio della loro perdita. Ma se è così, se la degenerazione e la crisi sono processi culturali e non biologico-genetici, allora sarà inutile sperare di opporsi a essi tramite misure che riproducano la selezione naturale; l’opposizione alla crisi dovrà seguire altre vie, tra le quali saranno centrali la formazione degli individui e la trasmissione di capacità critica e di senso di responsabilità civile.
Indicazioni bibliografiche
Il testo più completo sulle relazioni tra Lorenz e il nazionalsocialismo è Die andere Seite des Spiegels. Konrad Lorenz und der Nationalsozialismus, di Benedikt Föger e Claus Taschwer, Czernin Verlag, Vienna 2001. Tra le pubblicazioni in italiano che si occupano dei rapporti tra Lorenz e il nazismo si veda il libro di Giorgio Celli Konrad Lorenz: L’etologo e i suoi fantasmi, Bruno Mondadori, Milano 2001.
2/ Lorenz, dal darwinismo al nazismo. Un’intervista di Paolo Piffer a Carlo Brentari
Riprendiamo da Alto Adige del 7/1/2006 un’intervista di Paolo Piffer a Carlo Brentari. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2016)
Carlo Brentari, 31 anni - laureato in filosofia a Venezia, dottorato in Austria, assistente all'Università di Trento per la quale traduce dal tedesco testi filosofici e psicologici - è stato intervistato da “Mizar”, la rubrica settimanale di approfondimento culturale del Tg2 della Rai, in onda il venerdì. L'interesse nasce da un suo saggio pubblicato nel novembre scorso dal mensile “Il Margine”, edito dall'associazione Oscar Romero, fucina, in Trentino, del pensiero cattolico.
Le 11 pagine dell'intervento di Brentari riguardano Konrad Lorenz, il famoso studioso austriaco del comportamento animale, morto nel 1989, e la sua adesione al nazismo. Fatto già noto da anni, ma che il ricercatore ha arricchito di nuovi elementi.
«L'interesse per Lorenz - afferma Brentari, al quale “Mizar” ha affiancato un'intervista con l'etologo Giorgio Celli, che nel 2001 scrisse il saggio “Konrad Lorenz: l'etologo e i suoi fantasmi” edito da Bruno Mondadori - deriva da diverse letture che risalgono ancora al tempo del liceo quali “L'aggressività” e “L'anello di re Salomone”. Poi, durante il mio dottorato in Austria presso la Karl-Franzens Universitat di Graz, ho avuto modo di discutere a lungo delle connessioni tra Lorenz e il nazismo. Questo interesse mi ha portato ad accedere, per la prima volta, a documenti contenuti negli archivi austriaci. Ad esempio, il formulario della domanda di iscrizione dello studioso al partito nazionalsocialista, che ho tradotto nel saggio. Ho inoltre analizzato i testi di alcune sue conferenze tenute tra il '38 e il '40 e degli schizzi, peraltro già noti, in cui Lorenz raffigura uomini dall'aspetto selvatico, forti e agili e, dall'altra, persone 'domesticate", basse, grasse, con la pancetta».
Le motivazioni personali per l'iscrizione al partito nazionalsocialista iniziano cosi: «Come pensatore e scienziato tedesco sono ovviamente sempre stato nazionalsocialista e nemico acerrimo del regime clericale (quello austriaco, ndr.) per una profonda avversione alla sua concezione del mondo. Posso affermare che l'intero lavoro scientifico della mia vita è al servizio del pensiero nazionalsocialista».
Insomma, Lorenz nazista convinto?
«Penso proprio che si possa dire di sì, almeno prima dello scoppio della guerra. In seguito, no. Lorenz aveva la tessera del partito e molti agganci con i responsabili culturali del partito nazista. Anche se, e questo va precisato, lo studioso non ha mai sostenuto la superiorità della “razza ariana” e non ha mai parlato della questione ebraica. Per lui il pericolo era rappresentato dall'autodomesticazione dell'uomo».
Cosa vuol dire?
«Lorenz è stato spinto ad aderire al nazismo perché, in Austria, prima dell'annessione al Reich hitleriano, il darwinismo (la teoria della selezione naturale), era praticamente proibito dal regime clericale. E questo comportò per lo scienziato anche problemi di carattere economico, di esclusione dalla carriera universitaria. Non gli sembrò vero trovare attenzione in un partito come quello nazionalsocialista al quale aderì anche per opportunismo. Il punto è che tutto ciò lo portò a degli eccessi che non fanno parte della teoria darwiniana ma che scadono nel darwinismo sociale.
Cioè, per parafrasare, e semplificare, 'i più forti primeggiano, i deboli, 'i degenerati", sono destinati a soccombere e vanno soppressi».
Un parallelismo tra il mondo umano e quello animale.
«Direi proprio di si. Il rapporto con il darwinismo va invece affrontato in maniera equilibrata, senza scadere in forme ideologiche deteriori».
Proseguirà in queste ricerche su Lorenz?
«Ho scritto un altro saggio per una rivista dell'Università della Calabria e poi mi piacerebbe analizzare la nascita dell'etologia attraverso alcune riviste tedesche di psicologia animale degli anni Quaranta».