Bisogna lasciare liberi i nostri figli? Oppure la libertà nasce dalle proposte alte e da regole sagge che noi dobbiamo curare? Traccia per il II incontro con i genitori dell’Iniziazione cristiana, di Andrea Lonardo per l’Ufficio catechistico della diocesi di Roma
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Riprendiamo sul nostro sito una traccia per il II incontro dell’itinerario formativo per i genitori dell’Iniziazione cristiana proposto dall’Ufficio catechistico della diocesi di Roma ad experimentum. Ogni mese sarà proposto ai catechisti il tema dell’incontro successivo. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Iniziazione cristiana nella sezione Catechesi, famiglia e scuola. La traccia del I incontro è on-line al link Perché avete fatto bene ad accompagnare i vostri figli in parrocchia? Traccia per un I incontro con i genitori dell’Iniziazione cristiana (a cura di d. Andrea Lonardo per l’Ufficio catechistico della diocesi di Roma).
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
1/ Il tema: lasciare liberi i bambini di crescere come vogliono o proporre loro con passione un cammino?
Propongo come tema per il II incontro con i genitori quello della libertà e delle regole. I genitori non sanno come orientarsi in questo ambito: regna su questo una grande confusione. Da alcuni cattivi “maestri” sono stati abituati a pensare che qualsiasi proposta o regola in famiglia vada taciuta, perché altrimenti verrebbe minata la libertà dei figli, per quanto piccolissimi.
Talvolta non riescono a dire di “no” nemmeno dinanzi ad un bambino piccolissimo, quando vuole qualcosa, ad esempio, dopo aver mangiato un gelato, ne chiede un altro. Oppure quando rifiuta qualcosa, ad esempio di spegnere la televisione o di smettere di giocare con i giochi elettronici o non vuole andare a trovare la nonna malata o non vuole mettere in ordine la stanza. Per i genitori – facciamo bene a parlargli di tutto l’arco della crescita, fin dalle elementari - le difficoltà aumentano man mano che i figli crescono, fino al culmine del problema che è l’adolescenza: l’incapacità di dialogare con un figlio delle medie ha alle spalle una lunga storia che comincia già dallo svezzamento del bambino. «Mica glielo posso imporre?» è l’espressione che spesso si sente ripetere da tanti genitori. Si arrendono allo strapotere del bambino, che urla e piange, rendendogli la vita un inferno, mentre loro non sanno cosa fare. Vi invito a raccontare qualche storia che avete visti, sceneggiandola un po’, per far capire loro che sapete bene di cosa si sta parlando, che conoscete bene cosa vuol dire “discutere” con un figlio.
Io, quando ero parroco, mi divertivo ad aprire con loro questo dialogo che racchiude già tutto ciò che questo incontro vuole proporre. Domandavo loro perché un bambino piange per ottenere qualcosa. Cominciavano a dire che in tal modo egli vuole attirare l’attenzione. Ed io ribattevo che l’attenzione si può ottenere anche facendo una recita. Oppure rispondevano che voleva estenuare la nostra pazienza. Ed io dicevo che era vero. Ma insistevo: perché lo fa proprio con il pianto? Cosa vuole comunicarci? E cominciavo a far intuire loro che il bambino, anche se non è cosciente di questo, vuole in realtà “fregarci”, perché il bambino non è così buono e puro come lo dipingono tante false visioni pedagogiche.
Alla fine si arrivava alla risposta. Il bambino vuole mostrare innanzitutto che sta soffrendo e che sta soffrendo in maniera disumana. Qui recitavo un po’ e facevo la parte del bambino: “Mamma, se non mi compri quell’oggetto io muoio! Lo vedi dal mio pianto che sto morendo. Se non ho quel giocattolo mi restano ormai solo pochi secondi di vita, tanto la sofferenza di non avere quel giocattolo è troppo grande”.
E aggiungevo: “Non solo il bambino vi dice che sta morendo. Ma vi sta ricattando. Vi sta dicendo: E lo sai mamma chi è la causa della mia morte? Lo sai di chi è la colpa della mia sofferenza indicibile? Sei tu! Tu che dici tanto di amarmi, tu che dici di vivere per me! Tu! Tu mi stai uccidendo! Tu sei la colpevole della mia infelicità totale, della mia morte, perché non mi compri quella cosa!”.
Spiegavo subito loro che se la mancanza di quell’oggetto fosse la vera causa dell’infelicità del figlio, loro avrebbero il dovere di comprarlo immediatamente. Di fare cambiali e prestiti, perché noi viviamo per la gioia dei figli.
Invece noi non dobbiamo comprare quell’oggetto! Perché? Per capirlo, basta domandarsi cosa avverrebbe cinque minuti dopo aver comprato quell’oggetto. Se quell’oggetto fosse il vero motivo della felicità del figlio, ecco che quel bambino starebbe poi tranquillo e senza ulteriori desideri di nuovi oggetti per una settimana almeno! Invece quel figlio solo cinque muniti dopo inizierà a piangere per un’altra cosa, attribuendo alla nuova cosa l’illusione di renderlo felice! Il dramma del nostro tempo è che i bambini hanno talmente tante cose che non sanno goderne nemmeno per cinque minuti, mentre ai nostri tempi un gioco ci faceva felici per settimane.
Allora io non devo comprare quella cosa proprio perché voglio che mio figlio sia felice, che impari ad essere felice. Noi genitori viviamo per la felicità dei figli. Ma la felicità è una cosa diversa dall’avere ciò che ci piace in quel preciso istante. Se gli comprassi tutto, lo confermerei nel suo delirio di ritenere che quella cosa è il motivo della felicità. Non comprandola, posso invece aprire un’altra questione: “Non sarà che tu non sei felice perché questo giorno non hai ancora fatto qualcosa di buono per gli altri? Non sarà che tu non sei felice perché hai già troppe cose, ma ne regali poche ai tuoi amici o a chi ha bisogno? Si è felici dando e non ricevendo. Vedi mamma e papà che non comprano tutto ciò che gli piace, ma sono felici perché hanno te e tanti amici con i quali condividere la vita?”.
E si può dire al bambino quanti soldi sono già stati spesi quella settimana per il suo bene e come la famiglia sia però impegnata anche in un’opera di carità e quindi quei soldi serviranno ad acquistare qualcosa di utile per chi ha bisogno.
“Certo –aggiungevo loro – non è che il bambino vi darà subito ragione”. Lui ha una molla interiore che lo porta a tirare la corda. Ma voi avete ragione ed il bambino, nel profondo del cuore, sa che avete ragione e sa che ciò che chiede è un capriccio. Ha bisogno di sentirselo dire per crescere.
Qui la riunione potrebbe essere già finita, perché in questo esempio è già detto tutto: la regola con i suoi “sì” ed i suoi “no” serve per diventare felici. La felicità è più importante, ma senza le regole, i bambini cresceranno viziati e saranno degli eterni infelici. Ma vale la pena approfondire ulteriormente, come ora vi proporrò.
2/ Materiali
Prima di proseguire con la traccia della riunione, ecco alcuni materiali utili.
Potete utilizzare questa catechesi di papa Francesco:
È molto bella anche questa testimonianza che potete far leggere ai genitori o inviare in un momento previo o successivo alla riunione:
- Educare alla fede i figli in famiglia. Una testimonianza di Carlo Ancona e Ilaria Stefanelli
Potete utilizzare anche articoli provocatori come questi:
- Troppa paura di dire “no”. Questa è una cultura che non regge il fallimento, di Alessandro D’Avenia
Potete suggerire loro dei video che possono anche essere utilizzati durante l’incontro:
-Julio Velasco, Gli schiacciatori non parlano dell’alzata, la risolvono! (video meraviglioso che mostra come dobbiamo superare la cultura dell’alibi: può essere utilizzato per mostrare anche come genitori dobbiamo smettere di dire che non ce la possiamo fare dinanzi al mondo contemporaneo che vizia i bambini, dinanzi al “fanno tutti così”!)
- Franco Nembrini, L’orso siberiano (mostra la stupida cultura buonista che vuole nascondere la fatica della realtà ai bambini) N.B. Se il video non si dovesse aprire, lo si può raggiungere dalla Playlist Educare del Canale YouTube Catechisti Roma
Potete anche suggerire loro delle canzoni come queste nelle quali si parla della paternità:
- Quattro canzoni sui padri... da Fabio Concato, Jovanotti e Francesco Guccini
3/ La traccia dell’incontro su libertà, comandamenti e amore
Finalmente arriviamo alla traccia: vi propongo di spiegare bene i diversi aspetti di questa questione.
La traccia di incontro che segue propone alcuni punti fermi da presentare ai genitori, allo scopo di suscitare un dibattito con loro. Potrebbero, dopo aver ascoltato questi punti, lavorare a piccoli gruppi di famiglie (tali gruppi potranno essere misti ma anche radunare da un lato i papà e dall’altro le mamme; questa modalità può favorire poi una discussione in famiglia). Vi propongo tre punti: primo, esaltare il valore della libertà, secondo, mostrare loro come solo l’educazione al bene faccia crescere la libertà, terzo, mostrare che la libertà non è il valore supremo, perché noi abbiamo la libertà per metterla a servizio nell’amore che è la vera libertà.
3.1/ La libertà oggi è svilita e deve invece essere esaltata
Partiamo dal primo punto. Io inizierei dicendo che mai come oggi la libertà è mortificata. Perché? Dove lo vediamo? Lo vediamo dal fatto che tutti sono convinti che niente possa cambiare. Tutti, in fondo, sono convinti che niente possa cambiare in politica. Tutti sono convinti che niente possa cambiare nel mondo del lavoro. Ma se niente può cambiare, allora non siamo liberi! Se niente può cambiare, perché impegnarsi? Se niente può cambiare allora ci resta una misera libertà che riguarda solo il tempo del divertimento! Allora la libertà si riduce solo a scegliere cosa fare o non fare il sabato sera o dove andare a passare il Capodanno.
Noi dobbiamo invece mostrare ai bambini che è possibile una libertà sulle cose grandi, sulle grandi scelte. Dobbiamo mostrare che dobbiamo ancora decidere e che ci troviamo e ci troveremo dinanzi a scelte che cambieranno realmente la nostra vita e quella delle altre persone. Altrimenti a cosa serve scegliere se tanto tutto resta immutato?
L’esempio più chiaro che mi viene in mente e che proporrei è la storia della mia famiglia – e vi invito a fare voi esempi analoghi. Io sono il primogenito di 4 fratelli. I nostri nomi sono Andrea, Stefano, Giovanni e Marco. Se mia mamma e mio papà si fossero fermati alla mia nascita, non ci sarebbero Stefano, Giovanni e Marco. Se si fossero accontentati di due figli, oggi non ci sarebbero né Giovanni né Marco. Se si fossero fermati a tre figli non ci sarebbe Marco e, con lui, non ci sarebbero oggi i due figli nati da lui, i miei nipoti, Francesco e Sofia.
Qui la libertà è evidente. Non è già scritto quanti figli uno debba avere. I genitori possono raccontare ai loro figli la loro storia e domandare, lasciando aperta la domanda: voi, bambini, chissà quanti figli avrete quando sarete grandi! Porre questa domanda non vuol dire pretendere che loro decidano adesso cosa avverrà quando saranno grandi, ma farli sognare e far loro capire che hanno una vera libertà. Se qualcuno di loro decidesse di morire senza figli, non ci saranno più bambini che porteranno il suo stesso cognome. Siamo talmente liberi che potremmo essere l’ultimo discendente di una serie di generazioni che non si è interrotta fin qui da quando esiste l’uomo.
Li inviterei a far sentire ai figli il brivido bello della libertà, che avverti quando ti accorgi che tutto è ancora da decidere, che tante cose belle possono e debbono accadere. Possono raccontare che anche loro, quando erano bambini, mai avrebbero immaginato di essere capaci di diventare genitori: ed ora ecco che, invece, ci sono riusciti e sono felici di avere quei bambini. Lo stesso succederà per i loro figli: ce la faranno a diventare padri e madri felici, come ce l’hanno fatta i loro genitori e i loro nonni ed i loro bisnonni e così via.
Ecco che, dinanzi alla libertà che un giorno dovranno esercitare di decidere di sposarsi e diventare genitori, diventa più bello studiare. Un bambino non studia per prendere un bel voto, studia per poter un giorno insegnare a parlare ai suoi bambini. Impara le poesie per far sì che un giorno i suoi figli si innamorino della letteratura. Studia la scienza per poter trasmettere di generazione in generazione la meraviglia del sole e della luce ce ne deriva.
Pensiamo anche alla vita della nostra città e del nostro paese. È importante sottolineare anche da un punto di vista sociale il ruolo della nostra libertà, tutta ancora da giocare. Noi non sappiamo ancora se fra qualche decennio l’Italia sarà ancora cristiana, o sarà atea, o sarà musulmana. È importantissimo comprendere che quello che sarà l’Italia dobbiamo ancora deciderlo e dobbiamo deciderlo noi! Se fosse già deciso che senso avrebbe impegnarsi, che senso avrebbe faticare?
Dobbiamo ancora decidere se ci saranno lavoratori onesti o disonesti. Il papà e la mamma possono raccontare di quando hanno incontrato un meccanico o un medico o uno spazzino o un idraulico onesti e gran lavoratori e come tutto era più bello quel giorno, quando qualcuno ha lavorato bene per la nostra casa, per la nostra vita, per la nostra città. E come tutto era più difficile quando abbiamo incontrato qualcuno cui ci siamo rivolti che non faceva bene il suo lavoro. Anche qui c’è dinanzi a noi ed ai nostri figli una grande libertà: lavoreranno onestamente, facendo le cose a regola d’arte, o chi si rivolgerà a loro dovrà poi essere rattristato da quell’incontro? Pensiamo a come cambia una giornata se andando ad uno sportello comunale o delle tasse o della pensione troviamo una persona che si fa carico dei nostri problemi o ci rimanda ad un altro sportello che a sua volta lascerà insoluto il problema.
Vale la pena impegnarsi perché l’Italia sarà quello che noi ne faremo. Una parrocchia vivace – qui il parroco può raccontare la sua esperienza di pastore, io posso testimoniare che avviene veramente così – cambia realmente un quartiere. Io paragono la parrocchia all’Arca di Noè – immagine della Chiesa. Veramente la parrocchia ha la possibilità di salvare dei giovani, come l’arca salvò quelle persone. Un prete potrebbe dire quante ragazze sono state aiutate a tenere un bambino che avevano paura di tenere, quanti giovani a rischio di droga siano stati salvati scoprendo il servizio per gli altri, quante persone abbiano imparato a lavorare più onestamente e così via.
Ecco il primo punto: proporre una vita nuova cristiana non vuol dire mortificare la libertà, ma anzi vuol dire esaltarla. Se diamo delle regole, se facciamo come genitori delle proposte, è perché sappiamo che nella vita ogni passo è un bivio, di qui il bene, di là il male. Molti pensano a torto che la vita cristiana mortifichi la libertà. In realtà è la mentalità comune che la mortifica lasciando credere che noi siamo liberi solo di scegliere cosa fare nel tempo libero. Noi vogliamo, invece, mostrare ai nostri figli che siamo liberi per davvero e che le nostre scelte cambiano la nostra vita, cambiano le persone che amiamo e cambiano il mondo intero!
3.2/ La libertà non è semplicemente un dato di fatto, perché dobbiamo “diventare” liberi
Un secondo punto che per me è assolutamente centrale è mostrare che se noi siamo veramente liberi, se la vita cambia veramente a seconda delle scelte che facciamo, è vero anche che la libertà non è il punto di partenza della vita: il punto di partenza della vita è il dono.
Pensiamo innanzitutto al dono stesso della vita. Un bambino è libero di scegliere, perché prima è nato. È nato senza averlo chiesto liberamente. Sempre avverrà così. La libertà è propria di chi ha ricevuto in dono la vita. Prima viene il dono della vita. Solo dopo viene il dono di accettare la vita o di suicidarsi, rifiutandola.
Pensiamo anche alla cultura. Non siamo liberi di amare Dante finché non c’è qualcuno che ce ne parli con passione e ce ne faccia scoprire la sua bellezza. Io confronto spesso la mia professoressa di Liceo che non sapeva spiegare i classici con Roberto Benigni o con Franco Nembrini, grandi innamorati di Dante.
La mia professoressa del Liceo chiese a noi studenti se volevamo che lei ci spiegasse Dante e noi le rispondemmo che non ci interessava. Lei, allora, non si preoccupò di parlarcene. Benigni o Nembrini invece non chiedono il permesso di presentare Dante, bensì ne parlano con una tale passione che ti viene voglia di approfondire ancora. Solo la proposta appassionante che loro fanno “crea” la libertà degli ascoltatori di appassionarsi alla Commedia.
Ecco l’importanza dei genitori. Dobbiamo insistere su questo. I figli saranno meno liberi se i genitori non avranno passione nel proporre ciò che è vero e bello ai figli.
Ricordo cosa fece mio padre quando avevo forse 9 o 10 anni. Papà e mamma ci avevano sempre portato al mare fino a quel momento. Un giorno ci comunicarono che quell’estate non saremmo più andati al mare dove andavamo da anni –ovviamente ricordo il luogo, era il villaggio di Riva degli Etruschi, vicino San Vincenzo in Toscana, dove i mei affittavano una villetta.
Ebbene in quel pranzo fatidico – a pranzo la domenica mangiavamo tutti insieme, durante il pranzo non si potevano leggere fumetti e ci si alzava tutti insieme al termine - ci dissero che quell’estate ci avrebbero portato in montagna perché volevano che imparassimo ad amare anche la montagna, le camminate, il silenzio e la bellezza della natura.
Dopo un istante di sbigottimento, scoppiò la nostra rivolta. Piangendo e urlando contestammo i nostri genitori dicendo che noi non volevamo andare in montagna, perché eravamo legati a quel posto di mare. Mai e poi mai saremmo andati in montagna.
Papà rispose con tranquillità che si faceva come dicevano lui e la mamma, perché era sicuro che avremmo scoperto anche la bellezza della montagna e le nostre lacrime di quel giorno si sarebbero asciugate e saremmo stati contenti della nuova scoperta. Dopo diversi batti e ribatti, ovviamente l’estate andammo tutti in montagna.
Avvenne ciò che ci aveva promesso. Ci portava in alto, camminando, e ci diceva, arrivati in cima: “Ora ascoltiamo anche solo un istante il silenzio”. Tutti e quattro abbiamo imparato ad amare la montagna, senza certamente dimenticare la bellezza del mare, ma con un tesoro in più. Recentemente ho visto mio fratello più piccolo postare su Facebook le foto dei suoi figli, i miei nipotini, sulle stesse cime, negli stessi rifugi delle Dolomiti, dove ci aveva portato nostro padre! Era passato dalla contestazione alla trasmissione di ciò che è bello, una volta divenuto grande.
Io oggi amo liberamente la montagna. Se posso, scappo su qualche sentiero, per contemplare la bellezza del creato, per stare qualche ora in silenzio. Ma questa mia libertà è nata solo dopo che i miei genitori mi hanno portato su quelle cime.
Un genitore che, dinanzi alla contestazione di un figlio bambino, dicesse: “Se non vuoi, non facciamo quello che ti ho proposto”, mortificherebbe la libertà del figlio, perché non la farebbe maturare mostrandogli le mete belle che la libertà è chiamata a raggiungere. Come solo dopo aver sentito parare con passione di Dante, nasce l’amore per la poesia, così solo dopo essere stati portati in montagna, nasce il desiderio di camminare in quei luoghi meravigliosi e nasce tutta un’educazione al rispetto, al silenzio, alla fatica.
L’espressione più bella di Gesù che si può citare per mostrare questa peculiare struttura della libertà e della libertà cristiana è: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32).
Dicendo questo, Gesù vuole spiegare che non si nasce liberi, ma si diventa liberi solo quando lo si conosce e quando si scopre la bellezza della proposta del Vangelo. Si tratta di “diventare” liberi, non si è liberi per nascita.
Io lo spiego così ai bambini, ma questo esempio - credo - possa andare bene anche per i genitori. Racconto che mia mamma faceva una pizza buonissima. Ma, prima di assaggiarla per la prima volta, io ero già libero di scegliere un cibo rispetto ad un altro. Potevo scegliere tra carote, cipolle e sedano. Solo quando ho assaggiato quella pizza, però, sono diventato veramente libero. Ho detto: “non le carote o la cipolla o il sedano, ma la pizza”. La libertà nasce dall’aver conosciuto ciò che vale veramente, ciò che è veramente buono.
Allo stesso modo è avvenuto della libertà, ben più grande, di diventare cristiani. Prima che Cristo venisse nel mondo, nessuno era mai diventato cristiano, benché tutti fossero formalmente liberi. La libertà di diventare cristiani è nata dopo che Cristo è venuto. Prima il dono, poi la libertà.
Ecco perché trasmettiamo la fede ai bambini, anche se sono piccoli. Ecco perché li portiamo in montagna, ecco perché insegniamo loro la poesia e Dante.
Certo nell’adolescenza essi potranno poi rifiutare ciò che noi abbiamo trasmesso loro, ma la loro libertà dipenderà dall’aver conosciuto il tesoro di vita che noi trasmettiamo loro. Non riusciremo mai a plagiarli - basta vedere quanti figli di genitori credenti non vanno in chiesa. La paura di plagiare i figli è un non senso in educazione, perché esiste l’adolescenza! Grande è il mistero dell’adolescenza. Noi abbiamo il dovere di consegnare loro il meglio che abbiamo ricevuto e, quindi, naturalmente anche la fede, anche la montagna, anche Dante, anche la scienza, anche il bene, perché essi divengano veramente liberi, avendo incontrato almeno una volta ciò che vale veramente.
Se i genitori, invece, non proporranno niente ai figli, ecco che essi saranno schiavi di altre agenzie che proporranno loro scelte e stili di vita ai quali non sapranno opporsi, poiché non hanno incontrato ciò che veramente vale.
Non dimentichiamo mai che, solo per fare un esempio, i grandi gruppi commerciali vogliono imporre fin dalla primissima età stili di vita che portino a vivere per questo o quell’altro oggetto, per un certo divertimento o per un altro passatempo, ed esercitano tutta la pressione della pubblicità per condizionare noi e i nostri figli: solo una diversa e più alta proposta potrà aiutarli ad essere veramente liberi.
3.3/ La libertà non è il valore supremo, perché ci è data per far dono di noi stessi
Un terzo punto è assolutamente necessario per comprendere il giusto rapporto fra la libertà e le proposte che dobbiamo fare con forza ai figli. La libertà ci è data per servire. La libertà non è il valore supremo, bensì è più importante amare. Non solo la nostra libertà dipende dal dono della vita, della cultura, della passione e quindi , viene come seconda realtà dopo l’amore – prima l’amore, poi la libertà, prima l’educazione, poi la libertà – ma la libertà non è nemmeno il culmine: una libertà fine a se stessa non avrebbe senso. La libertà ci è data per fare di essa qualcosa di grande e questo qualcosa di grande è più grande della libertà!
Anche qui subito un esempio, ma voi stessi potete inventarne degli altri Pensiamo ad un uomo o una donna che vanno in pensione. Fino al giorno della pensione si è sempre lamentato del datore di lavoro, del traffico, degli orari di lavoro, affermando che tutti questi condizionamenti gli negavano libertà. Perché allora, come spesso capita, man mano che si avvicina il giorno del pensionamento, non vuole la libertà assoluta che gli consentirà l’andare in pensione? Perché talvolta le mogli o i mariti, i figli ed i nipoti, temono il giorno in cui una persona andrà in pensione? Perché scoprono che la libertà non è non avere niente da fare, ma essere liberi per fare qualcosa. Essere liberi senza avere niente da fare è una delle condizioni più tristi della vita! Meglio ancora: essere liberi senza avere niente di bello, di significativo da fare è brutto. La persona si annoia. La noia è la condizione della libertà senza una missione, senza un impegno, senza una responsabilità significativa.
Scherzando io dico che i nipoti, dinanzi ad una nonna pensionata, ancor più se vedova, hanno pronte due soluzioni molto banali. Primo: compriamogli un gatto! Secondo: troviamogli un compagno che la porti a fare qualche gita!
No, gli anziani sono migliori di quel che pensiamo ed hanno bisogno di risposte più vere. Come ognuno di noi, sentono che portare avanti una vita senza impegno e amore non ha senso. Anche per loro vivere è domandarsi a cosa servono, domandarsi se possono aiutare con i loro racconti e la loro esperienza i nipotini, se possono contribuire alla carità in parrocchia e nella loro città, se la loro esperienza serve nella società, se possono servire in oratorio i bambini degli altri, ecc. E certamente si prenderanno anche dei momenti belli e distensivi di riposo, ma dentro una vita che continua a portare frutto.
Gli anziani non hanno solo bisogno di essere amati, hanno bisogno di amare! Essere liberi di non fare niente vuol dire tradire la propria libertà. Ecco allora che noi possiamo parlare ai bambini di ciò per cui vale la pena impegnarsi. Io sono libero se costruisco delle amicizie, se studio per preparami ad amare le persone che incontrerò, sono libero per diventare generoso, sono libero per aiutare i miei compagni di classe, sono libero perché c’è bisogno di me nel mondo.
Guardate che questi elementi così semplici non sono evidenti oggi. Dobbiamo sostenere i genitori perché trovino il coraggio di mostrare ai figli che la libertà ci è data per amare. Possono ancora una volta parlare di loro stessi ai figli. Possono mostrare che da genitori sono meno liberi di quando non avevano una famiglia. Ma anche che chi rifiuta di avere un bambino ha fatto una scelta. Ha rinunciato a qualcosa, ha rinunciato ad essere padre. E quella persona porterà sempre nel cuore la domanda: Per chi io vivo? Chi è importante per me? Comunque non si può non scegliere. Anche non impegnarsi è una scelta che implica delle conseguenze irreparabili.
Mi piace ripetere che si possono dividere le persone in due categorie: quelle che vivono per qualcuno che ritengono più importante della loro stessa vita e quelli che vivono per se stessi. Ecco i genitori appartengono al primo gruppo: sono stati talmente liberi da scegliere di dare la via perché i loro figli potessero vivere e crescere. Hanno fatto uso della loro libertà.
E certo ora sono meno liberi di un tempo – non mancate mai di mostrare che conoscete la fatica di essere genitori, perché li amate, perché è vero che essere genitori è molto stancante. Ma allo stesso tempo proprio loro così strettamente legati ai figli, quasi “imprigionati” sono veramente liberi e felici e fieri di aver speso la loro libertà per far crescere i loro bambini. Sono stati liberi di amare ed hanno amato, sono stati liberi di diventare genitori e sono diventati genitori.
Se parlate con un adolescente e gli proponete qualcosa di impegnativo, ad esempio anche solo fare l’animatore per un mese consecutivo nell’oratorio estivo, spesso vi risponderà: “È difficile”. Infatti, in questo tempo del politically correct, noi non diciamo che non ci va di fare una cosa, ma diciamo che è difficile farla, accampando così delle scuse per aver preso la decisione di non buttarci in quell’avventura che ci viene proposta.
Ebbene la vera questione non è se una cosa è difficile. Tutte le cose grandi sono difficili: è difficile essere generosi, è difficile rinunciare a qualcosa per fare la carità, è difficile volersi bene, è difficile prendere una laurea, è difficile sposarsi e diventare genitori, è difficile credere, è difficile esser catechisti, è difficile essere leali ed assumersi le conseguenze dei nostri atti, ecc. ecc.
La vera questione è piuttosto: esiste qualcosa di bello e di grande per cui vale la pena affrontare le difficoltà? Se non c’è niente che merita il mio impegno, se non c’è niente che merita che io affronti le difficoltà, se le uniche cose che faccio sono quelle facili, vuol dire che nella mia vita non esiste niente di bello e di grande.
La libertà ci è data non per le cose facili, nelle quali basta seguire la massa senza mai doversi mettere in gioco. La libertà ha senso se io scopro qualcosa di così grande e bello per cui sono disposto a perdere anche me stesso, per amare, per salvare, per aiutare, per servire.
In fondo l’uomo più libero che sia mai apparso sulla faccia della terra è Gesù. Gesù è stato talmente libero da aver amato anche a costo della propria vita, anche a costo dei patimenti della croce. In lui l’amore per il Padre e per gli uomini è stato talmente grande che nessuno è riuscito a fermarlo. La sua libertà non si è arrestata dinanzi a niente.
Ecco la libertà che proponiamo ai nostri figli. Noi sappiamo che avere delle cose belle da fare li aiuta a stare lontano dal male. Noi sappiamo quanto sia vero quel detto antico che dice: “l’ozio è il padre dei vizi”. Questo proverbio è vero non in senso moralistico, ma in senso esistenziale e spirituale. Solo quando scopriamo che è possibile fare cose belle e buone, solo quando scopriamo la nostra vocazione, solo quando scopriamo il nostro posto nel mondo, allora troviamo la forza di non vivere alla giornata e di non bivaccare.
4/ Il dialogo dei genitori
A questo punto potete far dialogare i genitori fra di loro. Come vi dicevo, io consiglio di fare qualche riunione facendo radunare i padri da una parte e le madri dall’altra, perché a volte questo li fa sentire più liberi di parlare e li impegna poi a raccontarsi a casa cosa ci si è detto nei gruppi dei due sessi divisi. Ma va bene anche parlare in piccoli gruppi marito e moglie insieme. La discussione potrebbe partire da cosa li ha colpiti di ciò che hanno ascoltato, ma anche da problemi concreti da illuminare con le cose ascoltate. Ad esempio potete chiedere di raccontare come si comportano con i figli negli orari dell’andare a dormire, o nell’utilizzo di cellulari e Iphone o nell’utilizzo dei giochi elettronici, per spingerli a vivere amicizie e giochi reali e non solo virtuali. O cosa fanno quando i bambini pretendono qualcosa o si rifiutano di fare qualcosa.