Un cristianesimo “popolare”. La chiara proposta di papa Francesco alla Chiesa italiana. Breve nota di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (11/11/2015)
Un cristianesimo “popolare”. È una delle parole chiave di papa Francesco, è uno dei “chiodi” che batte più frequentemente. Al Convegno di Firenze ha ripetuto, riferendosi alla “spiritualità” di don Camillo nei racconti di Guareschi: «La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».
Papa Francesco spiazza così teologi, catecheti e pastoralisti, giornalisti e intellettuali, di destra e di sinistra – se queste espressioni avessero un senso.
Perché chiede di abbandonare tutti i clichés costruiti da decenni. Sono decenni che gli intellettuali di ogni parte e partito hanno cercato di convincere il mondo che bisognava occuparsi delle élites - fossero esse aristocratiche o popolari, retrograde o avanguardiste -, che bisognava occuparsi di coloro che sono lontani dalla religiosità popolare, di coloro che sono “adulti nella fede” o disposti a diventare tali, di coloro che sono disposti a fare cammini peculiari di gruppo, di comunità, di piccole équipes, di coloro che conoscono la Scrittura o la liturgia o il pensiero filosofico o politico.
Un cristianesimo “popolare”, fatto dalla gente comune e non solo dagli intellettuali, perché invece gli estremi si toccano e si assomigliano. C’è chi chiede più impegno nella gestione delle sottane e delle rubriche della liturgia e c’è chi chiede più impegno nell’elaborazione di complessi laboratori per il coinvolgimento di piccoli gruppi di genitori dediti al servizio. Ma così facendo entrambi trascurano il popolo di Dio così com’è, la gente che non sarà interessata né a curiosità liturgiche, né a complessi itinerari di formazione cristiana, la gente che semplicemente vive, mangia, dorme ed educa i suoi figli.
Papa Francesco ci invita ad un cristianesimo popolare. Dove ha dignità una mamma che chiede il Battesimo per suo figlio, dove ha dignità il suo bambino al punto che viene abbracciato e baciato dal papa, dove ha dignità un anziano che con la sua vita è memoria del passato, dove ha dignità un uomo che si reca in chiesa a dire una preghiera, dove ha dignità una vecchietta che prega con il rosario, dove ha dignità un giovane che scopre il valore dell’elemosina e del servizio, dove hanno dignità i genitori che chiedono che i loro figli siano aiutati a ricevere più consapevolmente la prima Comunione anche se nemmeno sanno bene cosa chiedono, dove ha dignità un immigrato che vive una fede popolare e che non la deve perdere per non perdere con essa tutto, dove ha dignità un insegnante che perde la sua vita ad insegnare la meravigliosa tradizione italiana ai suoi alunni, dove ha dignità un adulto che è tale perché ha generato dei figli e perde il suo tempo perché essi riescano a maturare.
Un cristianesimo “popolare” dove ognuno ha dignità perché è ciò che è e non ciò che pretendiamo che astrattamente sia. Papa Francesco ci invita ad avere più passione e addirittura passionalità. Ci invita ad avere grinta ed un cuore grande. Ci invita a stare con la gente, con tutta la gente, senza mai preferire questo o quello. Senza mai dire: "partiamo dagli adulti o dai giovani o dai bambini o dai vecchi". Perché sono tutti figli di Dio e chiamati a stare insieme. Ci invita a stare con quelli di una parte e con quelli dell'altra parte e pure con quelli della parte di mezzo, a non avere parrocchie nelle quali qualcuno potrebbe sentirsi discriminato per un qualsivoglia motivo.
A parlare, a fare catechesi, a fare lezione, a stare insieme non con note e sottonote. Per smettere di essere come quei critici letterari che per ogni pagina di Dante ti obbligano a leggere 2 pagine di loro commenti critici e filologici. Per far sparire dai nostri convegni l' "apparato critico", con le citazioni di documenti e documenti a fondazione della nostra posizione. Per smettere di "leggere" lunghi testi in pubblico e per imparare di nuovo a parlare a braccio, con il cuore in mano e con gli esempi della nonna.
Questo non toglie che la cultura resti importante, che resti importante ogni riflessione creativa per migliorare il tessuto ecclesiale necessario per formare le persone. Questo è necessario ed anzi bisogna insistere su tale aspetto, perché servono persone che offrano tutta la loro sapienza per sostenere un cristianesimo popolare dinanzi al mondo che lo disprezzerebbe proprio perché popolare. Che studiare sia un bene è dimostrato, fra l’altro, da tutti coloro che giustamente come noi amano papa Francesco e gli vogliono bene e che, ben più di noi, hanno scritto libri, insegnato nelle università e fatto conferenze e lezioni frontali in ogni angolo d’Italia – e che continuano a farlo.
Anzi serve ancor più sapienza. Dobbiamo continuare a studiare e a fare cultura, anzi dobbiamo farlo più di prima. Dobbiamo continuare ad essere esigenti nella proposta di fede e dobbiamo continuare a farlo più di prima. Ma sarebbe sciocco fingere che il papa non ci chieda una svolta: dobbiamo tornare a vivere e a proporre un cristianesimo popolare.
Questo vuol dire che chi studia si deve sentire parte di un popolo semplice e apprezzare quel popolo, quei bambini, quei vecchi, quei genitori scalcagnati, ed offrire a quel popolo gratuitamente tutta la propria sapienza, senza sentirsi superiore ad esso: quel popolo ha un sensus fidei e sa riconoscere quando un prete o un intellettuale è pastore di tutti. Il papa ricordava l’episodio di quel vescovo che, in metropolitana, non poteva sostenersi ai corrimano eppure era portato dagli altri passeggeri che, schiacciandolo, lo tenevano in piedi.
Da decenni siamo abituati a sottovalutare chi non ha altro che la propria vita e la propria preghiera e, talvolta, la messa domenicale. Papa Francesco ci invita, invece, ad un cristianesimo popolare, dove tutti costoro – e noi con loro – sono importanti, sono degni, solo perché creati da Dio e fatti oggetto di misericordia.
Una visione popolare del cristianesimo dove abbiano posto le periferie, la gente semplice, gli ultimi e i piccoli, di età e di sapienza.