Che cos’è una famiglia?, di Fabrice Hadjadj
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Riprendiamo dal web una traduzione dal francese a cura di Silvio Brachetta (che abbiamo radicalmente rivisto) dell’intervento tenuto da Fabriche Hadjadj nel corso del primo Grenelle tenutosi a Parigi, presso il Palais de la Mutualité, l’8/3/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sotto-sezioni Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender e, per la maternità surrogata, Le nuove schiavitù nella sezione Carità, giustizia e annunzio. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2015)
1. Cos’è una famiglia? Qualcuno si potrebbe stupire che noi siamo qui, insieme, per porre tale questione e alcuni non mancheranno di pensare che il nostro approccio non potrà che condurre o alla ripetizione di cose banali, o alla complicazione delle cose semplici. Noi non avremmo, secondo alcuni, altre possibilità, dopo una simile domanda, se non sfondare porte aperte o spaccare un capello in quattro.
Allo stesso tempo - lo si intuisce -, le evidenze primarie si nascondono sempre nella loro stessa luminosità. La famiglia non è simile solo al naso sulla mia faccia, troppo vicino per essere visto, o al paesaggio cento volte attraversato, così ben noto che svanisce. È, soprattutto, come una sorgente che rischiara e fonda le altre cose, ma che non può, d’altro canto, essere fondata e chiarita da se stessa. Dinanzi a questa sorgente siamo come degli uccelli notturni che volessero guardare il sole in faccia.
Noi tutti proveniamo da una famiglia, siamo tutti riconosciuti da un cognome, abbiamo tutti una certa famiglia d’origine. La famiglia è un fondamento. Ora, se essa è un fondamento, non sapremo come «fondare la famiglia». Se essa si pone al principio delle nostre vite concrete, diviene impossibile giustificarla o esplicarla, perché bisognerebbe richiamare un principio anteriore - e la famiglia non sarebbe più che una realtà secondaria e derivata, non una matrice.
I teorici che vorrebbero che la prima comunità umana sia stata istituita da un contratto ratificato tra individui asessuati e solitari, dichiarano essi stessi che la loro è una finzione, una ipotesi di lavoro e non una realtà[1]. Non esiste, a livello umano, un principio anteriore alla famiglia. Non si può dunque esplicarlo o giustificarlo, ma solamente esplicitarne la presenza, che ci sta sempre di fronte.
Ed è per questo che è così difficile opporre argomenti a coloro i quali attaccano la famiglia nella sua evidenza. Sostenere che l’uomo discende dalla scimmia è più facile che sostenere che un bambino discende da un uomo e da una donna poiché, nel primo caso, la tesi reclama effettivamente delle spiegazioni (numerose anche), mentre nel secondo non c’è niente da spiegare: non è nemmeno una teoria, ma un dato assolutamente originale, come l’esistenza del mondo esterno. E come provare che il mondo esterno esiste? Come mostrare a qualcuno che il sole è chiaro?
2. E tuttavia il sole svela i colori e quindi, indirettamente, si manifesta. E la famiglia, di cui dobbiamo parlare, rivela e si svela. La si può contestare quanto si vuole, ma essa si rivela. Essa non si rivela che sulle strade, in noi, nelle nostre mutande. Oso dire, piaccia o no, che essa si rivela bene tanto alla chiesa, che in una serata Lgbt; tanto nella barba di un frate cappuccino, che nei seni di una Femen. Solo se si fosse angeli, la famiglia non si manifesterebbe.
Tale manifestazione è così irresistibile che noi assistiamo, negli ultimi decenni, a una strana inversione dei ruoli nei confronti della famiglia da parte degli stessi che volevano sbarazzarsi della famiglia. Coloro i quali denunciavano la famiglia come l’istituzione repressiva e oppressiva per definizione vogliono oggi fare del bambino il prodotto di una manipolazione genetica (giacché l’uguaglianza reclama che due femmine o due maschi possano comunque averne, con i propri gameti). Tutto questo è andato ben al di là dell’oppressione o della repressione, poiché ciò significa correre verso una fabbricazione pura e semplice e fare del bambino, dispoticamente, l’oggetto d’una pianificazione, il compimento di un’astrazione e, più ancora, una cavia da laboratorio. Questa contraddizione prova che non si può decostruire il naturale, ma soltanto costruirne accanto il simulacro, così come si fabbrica un’intelligenza artificiale da quel poco che abbiamo capito dell’intelligenza umana.
3. Cos’è dunque una famiglia? Le persone che hanno un atteggiamento positivo verso di essa insistono su alcuni elementi definitori. Li sintetizzerei in tre punti:
1) La famiglia è, innanzi tutto, il luogo del primo amore. È fondamentale che i genitori si amino e che il bambino sia amato: altrimenti la famiglia non potrà che disseccarsi e decomporsi.
2) La famiglia è il luogo della prima educazione. Il bambino vi nasce a partire da un progetto genitoriale responsabile, dove si guarda al suo futuro, alla sua edificazione, alla sua qualificazione con la maggiore competenza raggiungibile.
3) La famiglia umana è anche un luogo di rispetto delle libertà. I genitori si sono uniti per un contratto e, attraverso la loro missione educativa, essi debbono contribuire non a rinforzare la dipendenza, ma a promuovere l’autonomia del bambino.
Noi insistiamo spesso su queste caratteristiche, poiché partiamo dal bene del bambino. Ma così facendo ci perdiamo l’essenza della famiglia sicché, anche se pensiamo di difenderla, affiliamo invece le armi che permettono d’attaccarla. Preoccupandosi troppo del benessere del bambino, ci si dimentica dell’essere del bambino. Attardandosi troppo sui doveri dei genitori, ci si dimentica dell’essere del padre e della madre. Gli elementi che abbiamo da proporre - amore, educazione, libertà - dicono tutto fuorché l’essenziale: sapere che i genitori sono i genitori e il bambino è il loro bambino.
4. Ed ecco la conseguenza fatale: pretendendo di fondare la famiglia perfetta sull’amore, sull’educazione e sulla libertà, quello che si fonda, in verità, non è la perfezione della famiglia, ma l’eccellenza dell’orfanatrofio. Non v’è dubbio: in un orfanatrofio eccellente si amano i bambini, li si educano e si rispettano le loro persone. Si pensa di essere così in qualche modo nella completezza di un progetto genitoriale, poiché prendersi cura dei bambini è il progetto costitutivo di una tale impresa.
Ma non considerare la famiglia che a partire dall’amore, dall’educazione e dalla libertà, fondarla sul bene del bambino come individuo e non come figlio, e sui doveri dei genitori come educatori e non come genitori, significa proporre una famiglia già defamiglizzata. Perché si potrà sempre dire che un padre e una madre possono essere meno amorevoli, meno competenti e meno rispettosi che due maschi o due femmine, e certamente meno efficaci che tutta un’organizzazione composta dei migliori specialisti. Questa organizzazione d’individui competenti potrà passare per la migliore delle famiglie e la migliore delle famiglie s’identificherà con il migliore degli orfanatrofi.
5. Perché abbiamo così facilmente perduto l’essenza della famiglia? Ma perché il principio della famiglia è troppo elementare, troppo infimo, troppo animale in apparenza; e dunque vergognoso (non si parla forse di «parti vergognose» del corpo?). Voi avete compreso che il principio della famiglia è nel sesso. Anche quando si tratta di una famiglia adottiva, o nel caso di una famiglia spirituale, dove il padre è il padre abate e i fratelli sono i monaci, gli alti e puri termini di uso comune vengono presi primariamente dalla sessualità. I nomi padre e figli si enunciano a partire da questo fondamento sensibile, che è la nostra fecondità carnale.
È perché un uomo ha conosciuto una donna e dal loro abbraccio, per sovrabbondanza, sono nati dei bambini, che esistono i nomi di famiglia, padre, madre, figli, figlie, sorelle e fratelli. La parola «fraternità», che completa il motto repubblicano [«Liberté, Égalité, Fraternité», ndr], procede essa stessa dal sesso e dalla famiglia naturale. Quanto alla nota teoria del genere, che crede di poter affermare che la mascolinità e la femminilità non sono che delle costruzioni sociali, poggia anch’essa sulla differenza tra i sessi, senza cui l’idea stessa del maschile e del femminile non potrebbe concepirsi.
6. La famiglia è dunque il primo luogo dove si genera la differenza sessuale, la differenza generazionale e persino la differenza tra queste due differenze. La differenza tra i sessi, a partire dalla fecondità propria alla loro unione, crea la differenza generazionale, che non ha nulla d’analogo con quella sessuale. Il divieto fondamentale dell’incesto è un segnale, ma anche il fatto che quando l’uomo si unisce a sua moglie non cerca primariamente di avere un bambino: cerca prima di unirsi alla moglie e il bambino arriva, sopraggiunge.
La famiglia annoda così cinque tipi di legami: coniugale (dell’uomo e della donna), filiale (dai genitori ai figli), fraterno (tra i figli) - a cui s’aggiungono altri due, spesso ignorati, ma decisivi per situare la famiglia storicamente e già politicamente. Il quarto è il legame nonni-nipoti, che permette d’attenuare l’influenza dei genitori e d’aprire il tempo della famiglia a quello della tradizione[2]. C’è poi un quinto tipo di legame che tende a relativizzare l’ideale di coppia, pur di non trascurare la suocera. Voglio parlare della “grande famiglia” – ciò che potremmo chiamare la «teoria del genere». Attraverso questo legame l’alleanza coniugale si duplica in un’alleanza, per così dire, tribale e apre lo spazio della famiglia a quello della società.
Ora, la particolarità di questi legami familiari è che non si fondano primariamente su una decisione, ma su un desiderio. E non provengono da una convenzione preliminare, ma da uno slancio naturale. Ovviamente, il desiderio dev’essere assunto nella decisione (o piuttosto nel consenso) e la natura si sviluppa attraverso aspetti convenzionali. Ma prima ci sarà qualcosa che scorre attraverso di noi, un dono che viene dall’altro e torna all’altro e, quindi, supera i nostri calcoli. Questo ci porta oltre noi stessi, oltre i nostri progetti individuali (chi può programmare di avere una suocera?), poiché ci si apre al sesso opposto e a una nuova generazione. Così siamo interessati a un’epoca che non è più la nostra.
7. Diciamolo semplicemente: nessun calcolo può avere per risultato una nascita. Nessuno può dirsi onestamente: “Ecco, io sono pronto, sono maturo abbastanza, abbastanza competente per avere un figlio; so perfettamente come diventare un uomo completo; ho il diritto sovrano di portarlo al mondo e di essere il suo padrone”. Come dunque potremmo avere il diritto d’allevare un bambino, quando siamo noi per primi così bisognosi da non comprendere il mistero della vita?
Allora non si tratta di un diritto ma di un fatto. Il bambino sopraggiunge secondo un dono della natura, di cui non siamo mai degni realmente. Egli è il frutto di un amore sessuale e non il risultato di un proposito diretto, perché nessuna impudenza umana, tecnica o morale può legittimamente stare all’origine della sua venuta. Se la sua presenza rilevasse una nostra competenza, allora lo domineremmo assolutamente ed egli non sarebbe che un ingranaggio in un qualche dispositivo - una tappa in un percorso - e non l’avvenimento della vita, che comincia e ci oltrepassa sempre. Quando un bambino dice ai suoi genitori “non ho scelto io di nascere”, essi potrebbero rispondere: “nemmeno noi abbiamo scelto; ci sei stato donato e proveremo a cambiare la nostra sorpresa in gratitudine”.
8. Possiamo ora riprendere a parlare dei tre elementi di cui abbiamo parlato in precedenza - l’amore, l’educazione e la libertà - e vedere come questi si specificano in seno alla famiglia, a partire da questo dono che ci oltrepassa.
Prima specificità: l’amore familiare è essenzialmente un amore senza preferenze. Esso non guarda alla scelta né alla comparazione. Ciò è particolarmente vero per il rapporto tra genitori e figli. L’amore dei genitori e dei figli è fondato sulla filiazione medesima e non su delle affinità elettive. Lo si capisce molto bene quando il padre è un lettore di Tito Livio, mentre il figlio si dedica ai videogiochi. Mai si sarebbero sognati di trovarsi in un medesimo ambiente. Mai avrebbero formato un club insieme. Ma la famiglia è il contrario di un club elettivo o selettivo. I legami di sangue spezzano le catene del partito così come le catenelle del capriccio.
Il bimbo è sempre così come i genitori non lo avrebbero mai voluto, ma anche come a loro piace e, quindi, sono disposti ad accettarlo incondizionatamente. E i genitori sono sempre ciò che i bambini vorrebbero dagli eroi dei films - Charles Ingalls, per esempio, o Yoda - ma anche quelli che essi amano, nonostante tutto, di quest’amore costitutivo, che precede la coscienza propria di se stessi. I genitori sono dunque coloro che essi devono onorare senza condizioni.
La famiglia è ancora l’amore del vecchio “rinco” e del giovane abbrutito - ed è questo che la rende così meravigliosa e ne fa la scuola della carità. La carità è l’amore soprannaturale del prossimo, di colui che non abbiamo scelto o che ci è antipatico, in un primo momento. Tuttavia, i principali “prossimi” - che non siamo stati noi a scegliere e che spesso ci sono insopportabili - sono proprio i nostri parenti.
9. Seconda specificità: nella famiglia, il legame educativo si fonda su di un’autorità senza competenza. Non si aspetta d’essere un buon padre o una buona madre per avere un figlio. In caso contrario, saremmo sempre in attesa. La paternità vi cade addosso, poiché il desiderio si è rivolto verso una donna. Che rapporto c’è tra i due? La biologia vi vede una continuità. Ma la fenomenologia (diciamo la lettura dell’esperienza vissuta) mostra una sproporzione radicale, se non una rottura tra il desiderio erotico e l’accoglienza di un bambino. La paternità non è qualcosa che esiste anticipatamente. È la presenza del bambino che dona questa paternità: è lui che ci riveste all’improvviso come di un abito troppo grande.
Si può comprendere, nel caso, la reticenza del fabbricatore del «migliore dei mondi possibili» [cf la teodicea di G. Leibnitz, ndr]: “Come può avere il diritto di crescere un bambino chi si è semplicemente coricato con una donna? Come può concedere una qualunque competenza educativa la sua libido bestiale?” Tale riluttanza conduce fatalmente al regno dei precettori e dei pedagoghi e alla messa al bando dei genitori reali. Il padre è, allora, rimpiazzato dall’esperto e la famiglia dall’azienda professionale.
Ma, nella famiglia, non si tratta subito di progetto educativo, ma di realtà della filiazione. Non è la competenza che fonda l’autorità. È l’autorità ricevuta, nonostante le sue debolezze, che si mette alla ricerca di una certa competenza, senza dubbio, ma che possiede anche una propria efficienza, benché paradossale. L’autorità senza competenza ha un valore in se, inestimabile. Da una parte, il padre vi mostra che non è il Padre (con la maiuscola) e che lui stesso è un figlio - e dunque egli deve rivolgersi verso un’autorità più in alto della sua, assieme a suo figlio. D’altra parte, giacché la sua autorità non è solo una competenza, ma un dono, il padre non può fare del bambino la sua creatura, e cercare di formarlo sulla propria scala di valori: deve accoglierlo come un mistero. E in questo consiste l’autorità più profonda, che si distingue da tutte le competenze funzionali. Essa non istruisce il bambino in vista di tale o tale qualificazione particolare, ma gli manifesta il mistero dell’esistenza come dono ricevuto.
10. Infine, la terza specificità, che resta in linea con le precedenti: nella famiglia si esercita una libertà senza un diploma. Essa, l’avevamo già visto, non è la libertà d’indipendenza o la libertà puramente decisionale, ma una libertà di accogliere ciò che viene donato. Il progetto genitoriale è rapidamente infranto per l’avventura familiare, poiché si tratta davvero di un’avventura e non di una previsione. Tutte le antiche tragedie attestano sempre la messa in scena di storie familiari. Ma c’è anche un fatto ordinario, che appartiene piuttosto alla commedia secondo Molière: i figli o la figlia non hanno padri e madri se non per separarsene, fondare un’altra famiglia e sposare un buon partito, che di solito non è il migliore agli occhi dei genitori.
La famiglia è sempre in eccesso su se stessa, non soltanto per il dono della nascita, ma anche per le alleanze esteriori che produce e verso le quali si dirige. C’è la vostra suocera e quella dei figli: c’è questa estensione, da parente a parente che, secondo Aristotele, costituisce il villaggio e poi la Città.
Questa libertà senza diploma, che vi lancia in un’avventura e, allo stesso tempo, in un dramma, risponde a dei legami che non sono contrattuali. Sarebbe bello non vivere che di contratti e poter aggiustare i rapporti secondo convenienza, e fuggire non appena si avverte la crisi. In alternativa, è possibile cambiare partner, ma non si possono sostituire i bambini. E si può diventare amici di uno più vecchio, ma non si può, senza ipocrisia, diventare amici del proprio padre. Così come la differenza sessuale impedisce la fusione, anche la differenza generazionale blocca il livellamento. Il tutto avviene secondo un ordine causale, con una gerarchia offerta: un patrimonio ereditato, che invita la libertà ad aprirsi alle distinzioni della realtà e non a sprofondare nell’indifferenziazione di una presunta onnipotenza.
11. Possiamo ora approcciare la famiglia nel segreto della sua essenza. Essa non è una cosa tra le altre, ma il focolare. E non un “focolare chiuso”, ma un focolare radiante. Un punto focale, pittoricamente, non è un oggetto che appare in una prospettiva, ma il punto dal quale si genera la prospettiva. Un focolare è anche un fuoco, cioè luce e calore e, quindi, un qualcosa non illuminato da qualcos’altro, ma da se stesso e a se stesso manifestato. Voglio dire che la famiglia, prima di essere un oggetto di pensiero, è ciò a partire da cui abbiamo iniziato a pensare. Lo si dimentica spesso, come ci si dimentica il sole, come se non fosse chiaro ciò da cui siamo tenuti e per cui siamo spinti in avanti. Da questo oblio e dalla finzione individualista che ne segue, noi abbiamo la tendenza a dissociare la logica da ciò che è genealogico. Noi poniamo l’uomo come individuo dotato di ragione e rifiutiamo di riconoscerlo come figlio dei suoi padri. Tuttavia è entrambe le cose. La tradizione cristiana ce lo ricorda divinamente. Per essa, il Logos è il nome greco della ragione, ma è pure il nome evangelico del Figlio.
Che cos’è dunque una famiglia? Si può supporlo da ciò che abbiamo detto: la famiglia è il fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza. La differenza sessuale, generazionale e la differenza di entrambe c’insegna a guardare l’altro in quanto altro. È il luogo del dono e dell’accoglimento incalcolabile di una vita che si dispiega con noi - e anche malgrado noi - e ci getta sempre più profondamente nel mistero dell’esistenza.
12. È questo il primo luogo dell’esistenza, che è anche il luogo della resistenza. Resistenza all’ideologia, ai ben pensanti, alla programmazione. La famiglia è la comunità originale, offerta inizialmente dalla natura e non istituita soltanto per convenzione. Essa dunque dona sempre, per la sua connessione al sesso, un contrappunto all’artifizio e fornisce uno spazio per quella che può essere definita una verifica.
L’uomo pubblico può coltivare la sua immagine di facciata e mostrare il suo più bel profilo sociale, ma qual è il suo volto in privato, davanti alla moglie e ai figli? Il grande Ercole, che ha vinto i mostri, si ritrova patetico dinnanzi a Deianira. Il giovane genio, che ostenta sicurezza, si vergogna a farsi vedere con sua madre e suo padre, che ne attestano l’origine comune. La volontà di potenza è sempre un ostacolo alla prossimità familiare. Questo perché il totalitarismo, così come il liberalismo e l’impresa tecnologica, così come il fondamentalismo religioso, cominciano sempre con il porre la famiglia sotto tutela, prima di tentare di distruggerla.
Note al testo
[1] Rousseau scrive nell’introduzione del suo “Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini” (1754): «Cominciamo dunque col respingere tutti i fatti». Ma, all’inizio del “Contratto sociale” (I, 2), non può fare a meno di ammettere il fatto fondamentale: «La più antica di tutte le società e la sola naturale è quella della famiglia».
[2] Penso all’uso greco della papponimia: «Secondo un certo costume, il fatto che un uomo dia al figlio il nome del nonno [papponimia, appunto, ndr], conferma e suppone, ad un tempo, come tutti i genitori ritrovino i loro stessi genitori attraverso i figli. La permutazione simbolica implica come minimo la successione di tre generazioni per fabbricare l’istituto umano» (Pierre Legendre, “Filiation”, Lezione IV, Fayard, 1990, p. 62).