La perdita del centro psichico. Così l'Io è diventato liquido, di Massimo Recalcati
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Riprendiamo da La Repubblica del 13/10/2015 un articolo scritto da Massimo Recalcati. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli dell'autore, vedi il tag massimo_recalcati.
Il Centro culturale Gli scritti (1/11/2015)
Il nostro tempo sembra vivere, come ha mostrato anche Bauman, l'esasperazione del carattere liquido dell'identità: cambiamento di sesso, di pelle, di razza, di religione, di partito, di professione, di immagine. Anche il New York Times recentemente si pone la domanda: «Chi crediamo di essere?». L'identità vacilla, barcolla, diventa un concetto sempre più mobile, borderline .
Mentre l'età moderna aveva sempre ricercato una identità (anima, spirito, cogito, ragione, Io) che avesse, come scrisse Descartes, la stessa solidità della roccia sotto la sabbia, nel tempo ipermoderno, quale è il nostro, l'identità si pare dissolversi in un camaleontismo permanente. Anche il contributo della psicoanalisi, almeno per un verso, sospinge in questa direzione: la malattia psichica non deriva tanto da una liquefazione dell'identità, ma da un suo rafforzamento. Non è il deficit dell'Io a causare la sofferenza mentale, ma una sua amplificazione ipertrofica. Lacan scherniva la supponenza identitaria dell'Io quando ci ricordava che se un pazzo che crede di essere Napoleone è chiaramente un pazzo, ma non lo è affatto di meno un re che crede di essere un re.
Freud si era una volta paragonato a Copernico e a Darwin come fustigatore del narcisismo umano. Copernico aveva inferto il primo colpo mostrando che la terra non è il centro dell'universo; Darwin il secondo affermando la nostra derivazione dai primati. Ma il passo più scabroso e decisivo, nel limitare le ambizioni narcisistiche dell'Io, fu quello di Freud che ha evidenziato come l'Io non sia «padrone nemmeno in casa propria». L'identità dell'Io non è un centro statico dal quale si irradia la personalità; essa assomiglia piuttosto ad un arlecchino servitore di tre padroni: tirato dall'Es, dal Super-Io e dalla realtà esterna in direzioni differenti e spesso inconciliabili. Su queste orme Lacan concepirà l'Io non come il custode del nocciolo duro della nostra identità, ma come una cipolla: composto da una stratificazione di piccole foglie (le identificazioni che lo hanno costituito) senza alcun cuore solido. Per questa ragione egli riteneva che la «follia più grande» dell'uomo è quella di «credersi davvero un Io».
Se però l'Io non è più il centro permanente della nostra vita psichica tutto appare più libero, senza confini e delimitazioni rigide. L'Anti-Edipo di Deleuze e Guattari è probabilmente l'elogio filosoficamente più alto di questa nuova prospettiva: l'identità concepita come una sostanza permanente viene abbandonata come un residuo autoritario e disciplinare dell'età moderna e della sua paranoia costitutiva per lasciare il posto ad una idea nomadica, anarchica, rizomatica, senza Legge, della vita. Anziché vivere con angoscia la perdita di centro essa viene salutata come una grande possibilità di apertura e di liberazione.
Nondimeno, come il rovescio di una stessa medaglia, questa evaporazione dell'Io innesca — come esito di un movimento reattivo che Bauman non ha colto sufficientemente — l'esigenza di trovare una identità solida. Il vento del fondamentalismo spira chiaramente in questa direzione: il dubbio, la scomposizione della personalità psichica, il superamento dei confini identitari lasciano il posto alla rivendicazione di una certezza che non deve conoscere incrinature.
Noi siamo quello che pensiamo di essere, punto. L'Io torna ad essere padrone più che mai non solo in casa propria, ma anche in quella degli altri. Si riabilita così una concezione paranoica dell'identità fondata sull'esistenza, altrettanto solida, dei suoi "nemici" più irriducibili. Si tratta di una riabilitazione che può risultare altamente attrattiva anche per un Occidente che ha perduto il suo centro identitario.
Nietzsche ci aveva ammoniti: verrà un tempo dopo la morte di Dio — dopo la perdita irreversibile del "centro" — dove gli uomini adoreranno la sua ombra in lugubri caverne afflitti dalla nostalgia di un mondo che non esiste più. Anziché vivere le turbolenze del mare aperto essi cercheranno porti sicuri per le loro barche.
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