Elogio del rutto, di Fabrice Hadjadj
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Riprendiamo da Avvenire del 14/9/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, oltre a cliccare sul tag fabrice_hadjadj, cfr. la sotto-sezione Filosofia contemporanea nella sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (16/9/2015)
È concepibile che un certo declino dell’uomo – e dunque un passaggio importante verso la sua sparizione programmata – sia avvenuto nel momento topico in cui egli ha cominciato ad aver vergogna di ruttare forte alla fine di un buon pranzo, in segno di gratitudine e soddisfazione.
Certo, render grazie denota un’evoluzione apprezzabile rispetto al semplice rutto, grazie al Signore e anche complimenti articolati alla padrona di casa. Ma io mantengo un grande rispetto per quell’emissione sonora con la quale la beatitudine del ventre si manifesta spontaneamente sulle nostre labbra, come parola anteriore alla parola, respiro prima dello spirito, ma che sta già nella dimensione ultima dello spirito e della parola: la dimensione della lode.
La madre del lattante ne sa qualcosa. Lei aspetta, lei spera, lei accompagna il ruttino del piccolino cullandolo con colpetti sulla sua schiena. E la felicità fa sì che l’avvenimento del rutto risuoni alle sue orecchie come nota purissima dell’armonia creata.
Ma ci si è messi ad averne vergogna, e adesso qualcuno vorrebbe fabbricare un uomo senza stomaco né intestino e senza neppure il retto quando quest’organo porta il nome stesso della rettitudine. I transumanisti, che uno potrebbe immaginare come sensibili a tutte le forme del trans, sono nemici assoluti del transito intestinale. Essi sognano – insieme a Ray Kurzweil – di innestare le nostre coscienze su “supporti non-biologici”.
Addio alla digestione e a tutto ciò che ne deriva! Per loro quelle sono cose dell’immondo “sacco di carne” che bisogna sostituire con un immacolato involucro per microprocessori, spolverabile e adattabile ad ogni necessità. Ritorneremo ancora sul principio generale dalla «Contro-Annunciazione postmoderna»: il frutto del seno deve essere sostituito dal prodotto industriale che possiede l’innegabile vantaggio di poter essere brevettato e trasformato in moneta sonante.
Questo principio si applica in modo speciale alla procreazione, certo. Ma vale già per la digestione, che bisogna assolutamente mettere a tacere, di cui bisogna assolutamente sbarazzarsi come di un serpente disgustoso che infesti la nostra interiora.
Perché tale disgusto? Perché è in programma l’eviscerazione? Perché la digestione è un mistero. Il rutto ci rimette ad una riconoscenza (una riconoscenza letteralmente viscerale) che rammenta al sedicente soggetto autonomo che egli è invece un essere dipendente e che la sua libertà si inserisce in un ordine provvidenziale e generoso.
È meraviglioso l’adattamento con il quale, venendo al mondo, vi troviamo cose commestibili e che portiamo a compimento l’operazione della nutrizione capace di far sì che una pizza ai quattro formaggi si trasformi nelle curve di una splendida ragazza o nei concetti di un vecchio filosofo.
Ma c’è anche qualcos’altro, che la scienza più recente ci ha fatto scoprire: se riusciamo a digerire è grazie agli organismi che ci colonizzano. I batteri nel nostro ventre sono infatti cento volte più numerosi che le cellule del nostro corpo. Li nutriamo e ci aiutano a nutrirci. Si tratta di una simbiosi incalcolabile, a tal punto che si può dire che la nostra pancia contiene “l’ecosistema più denso del pianeta” e dunque, probabilmente, l’ecosistema più denso dell’universo.
Così l’ecologia integrale è già in noi. Il rutto ne è testimone. Prima ancora di elevarsi fino al mistero trinitario, basta avere in testa lo stomaco – ma non il pelo sullo stomaco! – per rendersi conto che siamo esseri comunionali. È questa probabilmente una delle ragioni per cui Cristo risuscitato ha voluto mangiare ancora con i suoi discepoli. Voleva manifestare la nostra gloria intestina.