La relazione del Cardinale Vicario Agostino Vallini al termine del Convegno pastorale diocesano Noi genitori testimoni della bellezza della vita. “Vi trasmettiamo quello che abbiamo ricevuto” (1 Cor 15,3) (Basilica San Giovanni, 14 settembre 2015)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /09 /2015 - 14:54 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito la relazione  del Cardinale Vicario Agostino Vallini al termine del Convegno pastorale diocesano Noi genitori testimoni della bellezza della vita. “Vi trasmettiamo quello che abbiamo ricevuto” (1 Cor 15,3), tenuta presso la Basilica San Giovanni, il 14 settembre 2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Per gli altri documenti del Convegno diocesano, vedi:

A questo link il Sussidio INIZIARE A CELEBRARE: LA MESSA DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA. Sussidio per la formazione ed il coinvolgimento dei genitori a cura dell’Ufficio catechistico diocesano e dell’Ufficio liturgico diocesano per vivere insieme il Convegno pastorale 2015 “Noi genitori testimoni della bellezza della vita. Vi trasmettiamo quello che abbiamo ricevuto (cfr. 1 Cor 15,3)” e la scheda Perché avete fatto bene ad accompagnare i vostri figli in parrocchia? Traccia per un I incontro con i genitori dell’Iniziazione cristiana (a cura di d. Andrea Lonardo per l’Ufficio catechistico della diocesi di Roma).

Il Centro culturale Gli scritti (14/9/2015)

Carissimi!

1. Un cordiale saluto a tutti e grazie per la vostra presenza. Viviamo oggi la seconda tappa del Convegno diocesano 2015, iniziato nel giugno scorso con tre giornate di ascolto e di dialogo. Un grazie particolare diciamo ancora una volta al Santo Padre che, il 14 giugno, con il suo discorso introduttivo in Piazza San Pietro ha orientato il nostro lavoro. Ringrazio poi i relatori, i moderatori dei laboratori, la segreteria organizzativa e tutti i partecipanti, anche quest’anno molto numerosi.

2. Le relazioni dei laboratori hanno raccolto tante proposte e suggerimenti interessanti. Sono rimasto consolato, perché molti orientamenti e scelte pastorali, che in questi anni abbiamo elaborato nei convegni diocesani, ritornano come convinzioni acquisite ed esperienze realizzate e cominciano a rinnovare la pastorale rendendola più missionaria. Proverò a raccogliere i suggerimenti più significativi.

In questi anni abbiamo ripetuto più volte che l’iniziazione cristiana non è la preparazione ai sacramenti, ma è cominciare - “iniziare” appunto - a vivere da cristiani attraverso la grazia dei sacramenti. In questa iniziazione il coinvolgimento dei genitori dei fanciulli e dei ragazzi è essenziale, ma è l’anello debole della nostra pastorale. La maggioranza dei genitori infatti è poco partecipe ai cammini di fede dei figli, una intesa educativa continua con la parrocchia non c’è, e senza la cooperazione della famiglia anche gli sforzi più generosi dei sacerdoti e dei catechisti sono poco fruttuosi.

Dunque, il focus del nostro Convegno è stato l’attenzione e la cura dei genitori. Cosa fare? Non si tratta di inventare strategie organizzative, ma di porci noi in modo nuovo verso i genitori. In genere si ragiona così: dobbiamo formare i ragazzi, dunque è importante che i genitori collaborino. Mi sembra che non sia questa la strada; almeno non è sufficiente. La prospettiva deve essere un’altra: come avviare un processo educativo che ponga al centro con i figli anche i genitori? Tutti i laboratori hanno affermato: la centralità dei genitori è la carta vincente. C’è dunque una conversione pastorale da fare.

3. In premessa, vorrei fare alcune riflessioni. Lo sappiamo tutti, la vita delle famiglie è affaticata e molte di esse sono più fragili che in passato. La dott.ssa Manna, nel riferirci dell’indagine del Censis, parlava dei profondi cambiamenti intervenuti nelle “dinamiche e nelle atmosfere della famiglia di oggi”, rese pesanti da tante difficoltà che i genitori sperimentano e dalle quali tutto è reso più fluido e incerto, soprattutto per effetto di due fenomeni: la “crescita della condizione sociale della donna” e la “crisi della figura paterna”.

 Sociologi e antropologi[1] ci dicono poi che assistiamo ad un “appiattimento generazionale”, per effetto del quale gli adulti tendono ad assimilarsi ai ragazzi e ai giovani negli stessi interessi: dal modo di vestire, di parlare, di comportarsi, alle relazioni e agli affetti, sull’onda di un esasperato giovanilismo individualista, per cui risulta difficile comprendere chi e quando si è veramente adulti. L’immaturità è la malattia del nostro tempo. Gli adulti fanno fatica ad assumere responsabilità educative, a generare figli. La figura del padre sembra “evaporata”, nel senso che molti papà rifiutano di sentirsi costituiti educatori dei figli e promotori del loro inserimento nel mondo. Il motivo è da ricercare nel fatto che la cultura individualista allontana dal vivere nella logica del dono e della generatività.

Se poi guardiamo ai genitori come educatori alla fede dei figli, la questione è altrettanto complessa. Nella cultura dominante ogni persona si fa misura di tutte le cose (soggettivismo aggressivo), ogni verità è considerata relativa (relativismo imperante), e la vita religiosa, salvo minoranze lodevoli, è generalmente piuttosto anemica sia quanto a formazione e contenuti (analfabetismo religioso) e sia nella pratica. Pertanto molti genitori cattolici (30 %) non ritengono di dover trasmettere la fede ai figli, seppure per essi chiedono il battesimo e danno una certa importanza agli altri sacramenti, ma delegano la formazione cristiana alla parrocchia. Si potrebbe dire che la vita cristiana è vissuta “per appuntamenti”, in determinati momenti tradizionali, che rimangono a sé stanti, sono poco incidenti, voluti per compiere un dovere, ma poi la vita è orientata e vissuta “a prescindere” dall’appartenenza ecclesiale. Nondimeno l’indagine Censis ha evidenziato delle aperture, delle attese, anche tra coloro che si dichiarano non-cattolici, le quali sono altrettante porte aperte che possiamo attraversate per iniziare con le famiglie un nuovo cammino cristiano.

4. Il Papa, con il prossimo Sinodo, ci dice chiaramente che occuparsi della famiglia vuol dire essere una ”Chiesa in uscita”; incoraggiare i giovani a sposarsi e diventare genitori significa occuparsi dell’uomo; accogliere con amore le famiglie ferite vuol dire andare verso le periferie. Anche dinanzi al dramma dell’immigrazione ci accorgiamo sempre più che accogliere i migranti vuol dire accogliere famiglie. In presenza di una cultura che snobba il matrimonio e divenire genitori, è centrale far riscoprire la bellezza del matrimonio. Dunque occuparsi della famiglia manifesta che abbiamo a cuore non soltanto le famiglie di oggi, ma anche quelle di domani. Papa Francesco ha detto: «La famiglia è il motore del mondo e della storia. [...] La ‘buona notizia’ della famiglia è una parte molto importante dell’evangelizzazione, che i cristiani possono comunicare a tutti, con la testimonianza della vita […]. Proponiamo dunque a tutti… la bellezza del matrimonio e della famiglia illuminati dal Vangelo!»[2].

È proprio così. Tanti laboratori hanno evidenziato che gli anni dell’iniziazione cristiana sono anni nei quali molti genitori si riavvicinano alla Chiesa e - se trovano una comunità viva - riprendono il cammino della fede e sentono che il Vangelo è prezioso per loro e per i figli.

5. C’è un altro aspetto generale che desidero richiamare. La nostra conversione pastorale deve mirare a far comprendere che essere genitori è il “mestiere” più importante e più bello che esiste ed è un’arte attraverso la quale si esercita la misericordia. Nei diversi gruppi è emersa la necessità che le comunità parrocchiali facciano sentire ai genitori che li stimiamo, perché donandosi ai figli, essi vivono il Vangelo. Gesù ha detto: «Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici». Che cosa fanno i genitori se non dare la vita per i figli? In una cultura che non apprezza la paternità e la maternità, che di fatto la ostacola, perché non c’è una politica che la sostenga, che deride chi si sposa, i genitori devono sentire con forza con gesti e segni che la comunità ecclesiale è dalla loro parte, che la proposta cristiana ha una sua originalità e bellezza. Vogliamo dire che essere genitori ed educatori dei figli è carità, è misericordia. Dio ha chiamato i genitori ad essere educatori dei loro figli. I figli si fidano di loro, perché sanno di essere amati. Noi dunque dobbiamo fare un patto, un’alleanza educativa con i genitori.

 6. Un terzo aspetto generale riguarda noi. Dobbiamo maturare nella consapevolezza che accompagnare i genitori nel cammino della fede è un’opera di misericordia. Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti: non sono parole, ma vuol dire coinvolgere i genitori e i figli in un’esperienza viva. Questa è iniziazione cristiana. Noi siamo strumenti nelle mani di Dio per trasmettere la fede, la speranza e la carità, come vera opera di misericordia.

7. Col nostro convegno dunque ci ripromettiamo di accompagnare i genitori ad essere “testimoni della bellezza della vita”, accogliendo o riscoprendo loro per primi la fede da trasmettere ai figli. Allora ci domandiamo: quale percorso possiamo fare? Vi chiedo un pò di pazienza, ma mi sembra rispettoso del prezioso lavoro fatto nei laboratori, toccare – anche se brevemente - tutti gli aspetti trattati.

È parere unanime di tutti i laboratori, che la scintilla che può accendere il fuoco è la capacità della parrocchia di accogliere e far sentire ai genitori “un’aria di casa”. Ne abbiamo parlato già nei convegni degli anni scorsi[3], ma è stato ribadito da tutti con forza: non sia un’accoglienza fredda e burocratica, ma piena di calore e incoraggiante; è necessario avere un atteggiamento aperto all’ascolto, spesso trascurato per mancanza di tempo, e improntato alla fiducia che viene incontro alle persone. Con i genitori bisogna superare resistenze, atteggiamenti distaccati e refrattari: non sappiamo che cosa ciascuno si porta nel cuore, magari qualche esperienza negativa passata. Papa Francesco nel recente viaggio in Paraguay ha detto: Quante volte pensiamo la missione sulla base di progetti o di programmi…. immaginiamo l’evangelizzazione [con] strategie, tattiche, manovre,… cercando di convertire le persone con le nostre argomentazioni… Nella logica del Vangelo non si convince con… le strategie,… ma semplicemente imparando ad accogliere, a ospitare. La Chiesa è madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa, come la voleva Gesù, è la casa dell’ospitalità. E quanto bene possiamo fare se ci incoraggiamo ad imparare questo linguaggio dell’ospitalità, questo linguaggio del ricevere, dell’accogliere! Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto! Per questo bisogna tenere le porte aperte, soprattutto le porte del cuore… Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta, e magari per colpa nostra… Ospitalità con le culture diverse… Ospitalità con il peccatore, perché ognuno di noi pure lo è” [4].

8. Se il primo passo è accogliere, il secondo è accompagnare. Un laboratorio, il quarto, ha trattato questo argomento: l’arte di accompagnare i genitori. Tutti i partecipanti hanno riconosciuto che, sebbene in questi anni si siano fatti passi avanti (catechesi post-battesimale, iniziative nell’ambito della pastorale familiare e delle tappe dell’iniziazione cristiana), nondimeno accompagnare i genitori nei cammini di fede è un’arte difficile. Non dobbiamo dimenticare che tanti genitori arrivano in parrocchia per chiedere i sacramenti per i figli, cioè “servizi religiosi” (!), che spesso non toccano più di tanto la loro vita personale. Dovremmo essere tanto bravi da trovare noi un collegamento tra i cammini sacramentali dei figli e le loro persone. Inoltre, nella vita convulsa della città, molti si giustificano dicendo di non trovare il tempo; la verità è che sono poco interessati a mettersi in discussione e ad affrontare le grandi domande della vita. D’altra parte il nostro è anche un tempo in cui cresce il numero di persone, anche cattoliche, che si indirizzano verso altre esperienze religiose: buddismo, mistiche orientali, new age, scuole di meditazione profonda, ecc. Questo ci dice che in fondo c’è una domanda, almeno implicita. Dunque può esserci un’esigenza di accompagnamento spirituale, insieme a difficoltà, vere o fittizie, che si frappongono.

Scrive un laboratorio: “L’atteggiamento nostro di fondo nei confronti dei genitori è ancora superficiale; … essi partecipano poco e con fatica e noi abbiamo verso di essi giudizi affrettati. Occorre metterci in discussione: se i genitori partecipano poco, forse siamo anche noi operatori a sottovalutare qualcosa ed è necessario che il cambiamento parta da noi”.

La via maestra è facilitare da subito un buon rapporto, che favorisca l’apertura e arrivi ad intercettare le esigenze più profonde. Bisogna innalzare pian piano il livello di confidenza tra catechisti e genitori, facendo capire che viviamo le stesse fatiche e problemi, ma il Signore è luce e forza, la Chiesa è la casa di tutti: una buona relazione testimonia la bellezza della fede vissuta e - speriamo - la voglia di conoscere e di sperimentare. Il contatto è più facile con i genitori dei bambini della Prima Comunione, meno con quelli della Cresima. E’ un cammino in salita, reso più facile quando il rapporto con la parrocchia è cominciato con la preparazione al battesimo del primo bambino.

Un aspetto importante dell’accompagnamento sono i contenuti della nostra proposta. Non deve essere qualcosa di preconfezionato per tutti, ma da mediare ai singoli attraverso relazioni personali. I genitori prima di ascoltare, vogliono essere ascoltati. Solo quando un clima di confidenza e di fiducia si sarà instaurato, allora sono disposti ad aprirsi e a partecipare. Il bisogno di senso della vita e di speranza, che tanti si portano nel cuore, deve essere soddisfatto con argomenti intelligenti e chiari, offerti da persone spirituali ed entusiaste. Captare queste attese, è una grazia e un’arte. Non pochi genitori gradiscono anche figure di riferimento, padri spirituali, che possano accompagnarli con incontri personali periodici. Certo, questo è compito primario del parroco e dei sacerdoti, ma in certo modo anche dei catechisti.

So bene di ripetere una cosa di difficile realizzazione: disporre di catechisti capaci e preparati. Catechisti capaci di accogliere, di percepire le diverse sensibilità, in grado di stabilire relazioni e pronti a dare risposte di vita a genitori e non solo ai figli, meglio se sono coppie di sposi, perché possano più facilmente stabilire un rapporto che apra all’amicizia: grazie a Dio ne abbiamo, anche se in numero insufficiente. Mi permetto di dire che la scelta e la preparazione dei catechisti deve restare uno dei chiodi fissi di ogni parroco, insieme all’impegno del Vicariato di aiutare ogni parrocchia. Nell’anno passato la formazione dei catechisti è stata realizzata in 16 prefetture. Continuiamo alacremente. Invito i Prefetti a promuoverla in tutte le prefetture.

Ecco alcuni suggerimenti emersi nei laboratori: aggregare i genitori, favorire il loro stare insieme, offrire spazi gratuiti di amicizia, rete di relazioni, aiuto concreto nei bisogni. Le modalità sono diverse: itinerari formativi su tematiche di comune interesse, percorsi di primo annuncio e di catechesi, visite periodiche alle famiglie, coinvolgimento nell’itinerario formativo dei figli in oratorio, partecipazione attiva alla vita parrocchiale, collaborazione alle attività caritative (banco alimentare, gruppi di sostegno a famiglie in difficoltà, “banca del tempo”, vale a dire disporre di persone pronte a sostenere le famiglie nelle loro necessità pratiche, ad es. con servizio di babysitter per i più piccoli, sostegno a domicilio in situazioni di bisogno, ecc.). In particolare, si abbia attenzione nel venire incontro alle esigenze dei genitori quanto agli orari degli incontri.

Segnalo infine alcune esperienze che sono risultate molto positive: invitare i genitori a partecipare ai primi incontri di catechesi insieme con i figli; coinvolgerli in qualche modo nelle liturgie; prevedere incontri conviviali, campi scuola per genitori e figli, vacanze comunitarie; essere presenti nei momenti di gioia e di lutto delle famiglie, visitarle, organizzare i concorsi dei presepi; invitare i genitori a piccoli pellegrinaggi o gite; favorire la nascita di gruppi-famiglia, trattenendosi con essi dopo la Messa domenicale per prendere un caffè o un aperitivo; vivere qualche pomeriggio insieme; intervenire con delicatezza in casi di necessità, offrendo aiuti economici in momenti di vero bisogno, ecc. In un laboratorio è stata raccontata questa esperienza: dopo la festa che dà inizio al cammino di prima Comunione, si fa una gita di una giornata con i genitori perché si conoscano. È nato così un gruppo di famiglie che si sono incontrate una volta al mese, dopo la Messa domenicale, per trattare insieme argomenti di loro interesse, che si conclude con il pranzo a cui tutti portano qualcosa da condividere. I frutti sono stati promettenti, il gruppo è rimasto anche dopo la celebrazione dei sacramenti.

In conclusione, resto convinto – lo dicevo già lo scorso anno - che “qualsiasi attività offerta alle famiglie non deve essere misurata sui tempi dell’iniziazione cristiana dei figli, ma piuttosto nella visione di una semina, che sfugge ad ogni determinazione temporale e la cui efficacia dipenderà dalla capacità di farla percepire come un piacere da concedersi… Il Vangelo entra nei cuori per attrazione, non per dovere e secondo le scadenze di un calendario”. È arrivato il tempo di mettere a tema una seria pastorale degli adulti.

9. Se dai genitori in genere lo sguardo si concentra su quelli che vivono particolari “ferite familiari” (è il caso dei genitori separati, divorziati risposati, soli, accompagnati oppure in altri tipi di relazioni), è emerso con unanime consenso che si debba avere verso questi fratelli e sorelle una particolare cura e attenzione, esprimendo loro misericordia. Papa Francesco ci chiede di non tenerli distanti dalla vita cristiana[5]; al contrario, dobbiamo avere verso di loro “una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità” e “raccomandare a questi genitori di fare il possibile per educare i loro figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata”[6].

L’inizio del cammino di preparazione alla prima Eucarestia dei figli è un momento privilegiato, in cui mostrare il volto - è stato detto - “catturante” della Chiesa. Oggi da parte di queste persone c’è meno ritrosia a far conoscere la loro condizione e ciò facilita la conoscenza e il dialogo nel desiderio di procurare un bene ai figli.

In qualche parrocchia il parroco ha utilizzato i tempi di attesa dei genitori che accompagnano i figli alla catechesi per entrare in confidenza e ascoltare storie spesso molto dolorose, in vista anche di un aiuto – quando è possibile – per verificare la possibilità di un processo di nullità matrimoniale. Non di rado si è giunti ad inserire fruttuosamente queste coppie nei gruppi di pastorale familiare. Per l’estensione del fenomeno sarebbe auspicabile un “servizio di ascolto” con la presenza di esperti (consulenti familiari o mediatori familiari) che aiutino le persone con percorsi di sostegno a prendere coscienza delle ragioni che hanno condotto al naufragio del matrimonio. Non poche volte questo aiuto ha portato alla riconciliazione.

Naturalmente è importante offrire loro cammini di fede insieme alle altre famiglie, meglio in piccoli gruppi, impegnandoli nelle forme possibili in esperienze di carità verso i poveri, facendo così sperimentare la gioia di donarsi che faccia superare l’esperienza del fallimento del proprio matrimonio. Molto proficua è stata la creazione di reti di relazioni tra famiglie.

 Si invitino questi genitori a compiere nella liturgia quei gesti che ne valorizzano la loro testimonianza di credenti e che non sono loro preclusi, come proporre preghiere dei fedeli, portare i doni all’altare, partecipare al coro parrocchiale. Si faccia il possibile per far sentire loro quanto il Signore li ami e quanto la Chiesa riconosca la bellezza della loro partecipazione, pur nella consapevolezza del dolore che vive chi non riceve l’Eucarestia.

Così pure li si aiutino con delicatezza, quando sono in lite, per amore dei figli, a trattarsi con rispetto. Se anche ci fossero motivi molto gravi di disaccordo, è bene aiutarli a vivere momenti di “tregua”, ad esempio, nel giorno della Prima Comunione del figlio, per testimoniargli un amore che sa mettere da parte le proprie rivendicazioni in nome di un bene più grande. La preghiera comune per il figlio potrà giovare anche a considerare da un punto di vista nuovo il dolore ricevuto dal coniuge.

Certamente dobbiamo lavorare ancora molto per superare i nostri pregiudizi nei confronti di queste persone e i loro pregiudizi e chiusure verso la Chiesa, da cui spesso si sentono lontane.

Ma vi sono anche altre ferite che non dobbiamo dimenticare e che rendono sofferta la vita di tante famiglie: disabilità e dipendenze (droga, prostituzione, alcool, gioco d’azzardo), come pure la condizione di mamme singles. Anche questi genitori ci appartengono, sono Chiesa come noi, sorelle e fratelli nostri, parte di noi, provati dalla vita; a loro dobbiamo particolare affetto e misericordia.

10. Nostro obiettivo è annunciare la fede ai genitori. Su questo aspetto si è concentrato il quinto laboratorio. Credo si debba partire ricordando una verità imprescindibile: aprire il cuore a Dio e vivere la fede è un mistero in cui si incontrano la grazia divina e la libertà personale. Nostro compito è spianare la strada, seminare la Parola: raccogliere i frutti non spetta a noi.

Precisato ciò, l’annuncio della fede si giova grandemente della testimonianza gioiosa di chi vive e proclama il kerigma. L’opera di Dio comincia dallo stupore che si è capaci di suscitare. Non pochi genitori hanno bisogno di ricominciare daccapo: della fede non hanno che uno scialbo ricordo degli anni di catechismo della loro fanciullezza; e crescono sempre di più coloro che non hanno mai frequentato la Chiesa. Le modalità, le forme e le esperienze sono tante: dalla narrazione della propria storia di fede, alla lettura e al commento del Vangelo, dall’incontro con un testimone ad una preghiera in un particolare contesto, dall’esperienza di piccoli gruppi nelle case aperta all’ultimo arrivato ad un colloquio chiarificatore sulla vita ecclesiale che squarcia i pregiudizi e apre all’ascolto. Il linguaggio semplice, spontaneo, coinvolgente, narrativo del proprio vissuto è la chiave d’ingresso. L’importante è non abbassare la proposta della fede: sia una proposta credibile, che sfida le coscienze e presenta la santità come misura alta della vita.

In secondo luogo: si adotti sempre un linguaggio adatto e comprensibile. Categorie teologiche come “grazia”, “salvezza”, “peccato” vanno sciolte in storie di vita attraenti e contagiose.

È stato poi detto: “È la comunità che evangelizza, non l’individuo da solo”. È vero. C’è un grande bisogno di comunità, in una città per tanti aspetti anonima. È importante far sentire la parrocchia come casa comune, per cui l’invito: “Vieni e vedi”, può essere accolto. Solo quando il cuore è stato “trafitto” (cfr. At 2,37) è possibile convenire su un percorso di conoscenza e di catechesi che motiva e arricchisce, insieme a esperienze di preghiera, nelle quali il Signore trasforma i cuori.

Da più laboratori è stato raccontato il proprio percorso: è frequente che le famiglie si incontrino la domenica dopo la Messa, in un cammino parallelo a quello dei figli. La proposta di un itinerario biblico spesso ha avuto risposte sorprendenti, tanto da essere considerato una vera scuola di formazione. Il dialogo e le risonanze tra i presenti sono fondamentali per aiutare ciascuno a leggere l’intervento di Dio nel proprio vissuto e darne testimonianza. In questo modo cresce il coraggio di prendere la parola e di raccontarsi. Anche Incontri conviviali e al termine del percorso una gita o un pellegrinaggio di due o tre giorni hanno molto giovato per formare una piccola comunità di genitori.

 In una parola, condizione indispensabile è farsi compagni di strada, amici, colmare le distanze, dire parole che tocchino dentro, mostrare il volto umano e materno della Chiesa, allora si accende o si rinnova la fiducia, e un nuovo amore per il Signore e per la vita suscita domande e si è disposti a aprire il cuore. A ben vedere, questo è stato il modo con cui Gesù si è comportato negli anni della vita pubblica: è vissuto a stretto contatto con la gente di Nazareth, ha usato il loro linguaggio, ha compiuto gesti di vicinanza. In questo modo matura nei genitori la coscienza di essere padri e madri amati da Dio, l’ambizione e la bellezza di educare e di trasmettere ai figli la gioia della vita.

11. Rendere i genitori protagonisti nella trasmissione della fede ai figli, per la loro reciproca felicità umana ed eterna: a questo dobbiamo tendere. In questa opera educativa la grande leva è la testimonianza di vita degli stessi genitori: la fede si trasmette anzitutto perché la si vive. Tanti di noi possono testimoniare che i nostri genitori ci hanno fatto respirare la fede vivendola e l’abbiamo vissuta con loro fin da piccolissimi. I discorsi in casa, l’abitudine delle preghiere quotidiane, l’invito a comportarci da cristiani sempre, l’esempio di bontà e di carità verso i poveri, ci hanno fatto cristiani. E poi le tradizioni religiose, attese e conservate: il presepe, la settimana santa, la partecipazione alle feste religiose, le visite annuali al cimitero, ecc. Non devo spendere molte parole al riguardo. Ma noi oggi viviamo in un clima molto diverso, secolarizzato; dobbiamo risalire una china, perché molte famiglie hanno bisogno di sostegno.

In questi casi, è importante il rapporto dei genitori con i catechisti dei figli. Non sia come da apprendisti a professionisti, ma alla pari, amichevole, anzi cordiale, di ascolto reciproco, di collaborazione incoraggiante. In una riunione iniziale venga presentato ai genitori il percorso formativo dei figli, aggiornandolo con periodiche informazioni, usando anche le moderne tecnologie, che ne illustrino i progressi e l’importanza del loro coinvolgimento, così da sviluppare in loro, con discrezione e incoraggiamento, un’alleanza educativa e la loro responsabilità conseguente.

È auspicabile che gradualmente i genitori siano disposti a partecipare all’attività formativa assumendo piccoli incarichi, così che emerga che, in fondo, i veri formatori sono loro. Se ciò avverrà, è probabile che maturi anche nei genitori il desiderio di una loro formazione personale, che può portare buoni frutti. Ma – ripeto ciò che ho già detto – è necessaria la pazienza del seminatore che sa attendere la maturazione dei frutti.

Un’influenza non secondaria la eserciterà la gioia dei figli nel loro itinerario cristiano: se sono contenti i figli, lo diventano anche i genitori. Per questo è importante che il cammino formativo dei ragazzi sia di valore, attragga, appassioni. Una sfida, certo, ma che dobbiamo affrontare nella piena fiducia della vittoria. Naturalmente possono essere utili anche altri suggerimenti pratici: ad es. proporre ai ragazzi attività che coinvolgano i genitori (visite culturali a catacombe, basiliche, musei; attività caritative; partecipazione alla vita dell’oratorio, ecc.).

12. Grande importanza dobbiamo dare alla domenica. E’ la grande opportunità che ci è data di far crescere la fede e l’appartenenza alla famiglia di Dio. In un laboratorio è stata citata la Nota della CEI, Il giorno del Signore (1984), nella quale si legge: “Perché la domenica torni ad essere [il giorno del Signore] saranno necessari molto tempo e molto lavoro. […] Perché questo avvenga, dovremo essere capaci di restituirgli il suo carattere più vero, più proprio: il volto gioioso della festa. […] È necessario tornare a far festa. E festa è letizia, volontà di stare insieme, gioia di parlarsi e di prolungare l’incontro, è convivialità, è riposo, è anche sano divertimento. Tutto ciò è autentico quando si radica nella gioia cristiana; nessuna festa è vera, se non si esprime nella letizia che viene dalla comunione con Dio, che edifica e sorregge la comunità cristiana, che è segno di speranza da dare al mondo”[7].

Come dunque far gustare il giorno del Signore? : questa la domanda che ci poniamo. È stato giustamente sottolineato che “la festa del giorno del Signore inizia a casa”. Bisogna aiutare le famiglie a salvare la domenica come il giorno della famiglia, della tavola ben preparata e di un buon pranzo, della cura dell’abbigliamento, distinguendo la domenica dai giorni feriali. Sia poi molto curata la celebrazione: sia bella, bene animata, coinvolgente. I genitori siano chiamati, come coppia, al servizio liturgico (letture, offertorio, colletta) e a vivere qualche opera di misericordia verso i poveri. Far passare il messaggio che la domenica è necessaria per la crescita personale e la vita buona della famiglia.

Una Messa ben celebrata e che attira può aiutare a superare l’abitudine di arrivare in ritardo, ad occupare gli ultimi posti, ad essere semplici spettatori, a uscire come si è entrati, facendo scoprire gradualmente l’appartenenza ad un corpo vivo. Molti laboratori hanno sottolineato che è apprezzato il saluto del parroco che accoglie sul sagrato i fedeli che entrano in chiesa, oppure il saluto al termine della celebrazione.

L’Ufficio Catechistico e l’Ufficio Liturgico hanno preparato un sussidio - disponibile on-line - che accompagna i genitori domenica per domenica. Si intitola: "Iniziare a celebrare: La Messa dell’Iniziazione Cristiana", e sottolinea le tante opportunità offerte dall’Eucarestia domenicale e dall’Anno liturgico per coinvolgere i genitori dell’Iniziazione cristiana con i loro figli, avendo attenzione anche al prossimo Giubileo della Misericordia. 

13. Un ambito importante, nel quale molta strada resta da fare (anche alla luce della riflessione dei laboratori che si è rivelata poco spedita) riguarda la vita affettiva dei ragazzi nella quale generalmente i genitori fanno fatica e la parrocchia, attraverso gli educatori, dovrebbe interagire e diventare ponte tra i genitori e i ragazzi, soprattutto nel tempo dell’adolescenza.

Ci si è domandato se riusciamo ad alimentare nei ragazzi una visione serena della propria vita donata da Dio. Rispondo che se questa sfida educativa è di per sé sempre difficile, lo è molto di più nel contesto familiare di oggi, in cui i disagi, le difficoltà, le crisi, rendono più arduo il raggiungimento di questo obiettivo, perché le ferite inferte ai figli vengono rimarginate con più difficoltà.

Pertanto, la parrocchia che si offre come ambiente sereno e accogliente e la presenza di testimoni trascinatori che manifestano l’amore di Dio per ogni persona, riescono ad instaurare rapporti educativi di accompagnamento e di fiducia. Talvolta la cosa più difficile è ricostruire nei genitori la speranza di poter accompagnare i figli in una crescita affettiva positiva. Possono aiutare percorsi di educazione all’affettività guidati da esperti insieme con i catechisti sulle problematiche più ricorrenti nel rapporto tra genitori e figli, soprattutto adolescenti. L’alleanza, di cui parlavo all’inizio, con i genitori che si sentono soli di fronte alle difficoltà di questa età, è un percorso prezioso.

Domandiamoci ancora: come, in concreto aiutare i genitori a svolgere il loro compito educativo con l’aiuto della parrocchia? Ecco alcune possibilità segnalate nel laboratorio: offrire ai ragazzi esperienze formative, attraverso la vita di gruppo, come luogo di incontro, di condivisione, di amicizia e di affettività; sviluppare le relazioni, facendo attenzione ad ogni persona; proporre percorsi sulla stima di sé; coinvolgere i genitori in iniziative di servizio e di carità. Sono altamente educative anche le esperienze in cui i ragazzi attraverso il servizio entrano in empatia con situazioni difficili della vita (anziani, poveri, bambini in difficoltà, ecc.). Il loro coinvolgimento diretto apre loro gli occhi e il cuore suscitando attenzione alla verità cruda della vita e a sentimenti di misericordia. Rendere partecipi i genitori, li avvicina e li interessa positivamente a ciò che vivono i figli.

Come ho ripetuto più volte, il primo aiuto che possiamo offrire ai genitori è quello di essere loro vicini, creando spazi di interesse e di coinvolgimento su ciò che loro sentono come importante per i figli. Possono giovare anche incontri formativi e laboratori di dialogo con esperti espressamente dedicati al tema dell’affettività dei loro ragazzi

È stato osservato che i maggiori frutti si sono visti quando si parte da un accompagnamento precoce (dai tre anni) con esperienze collaudate, come le catechesi del Buon Pastore, che instaura molto presto un rapporto di fiducia tra catechisti e genitori, entrambi impegnati nella crescita affettiva dei bambini.

Su questi temi è stato chiesto che il Vicariato offra itinerari formativi per catechisti, animatori, formatori, possibilmente a livello di prefettura. Ci impegniamo a organizzarli.

14. Un altro aspetto importante è l’impegno dei genitori ad educare i figli ad una vita di carità. È una dimensione essenziale della formazione cristiana, da non banalizzare a qualche piccolo gesto caritatevole. In una “cultura dello scarto” – come ci richiama sovente il Papa – che sembra diventare sempre più dominante per la poca considerazione che si ha della vita umana, di grandi egoismi e di indifferenza, educare alla carità significa anzitutto riconoscere che “Dio è amore” e in lui ogni uomo è un dono. Far comprendere che la più grande carità che possiamo scambiarci è l’ incontro con Gesù Cristo per scoprire nel suo volto quello dei poveri e trasmettere il rispetto per la dignità verso ogni vita umana, è compito i genitori che adempiranno se loro stessi avranno una mentalità di carità.

La carità ha come primo principio il riconoscimento dell’altro, ancor prima del suo bisogno. Secondo, la carità è relazione, vale a dire entrare in contatto con le persone senza pregiudizi e riserve. Terzo, la carità è responsabilità, che apre all’azione non soltanto per colmare i bisogni, quanto per accogliere l’altro e i suoi bisogni con la capacità di chi risponde facendosene carico con amore. Questa è la conversione pastorale necessaria.

Converrete con me che educare ad una vita di carità può avvenire se i tre ambiti essenziali della pastorale: catechesi, liturgia e carità, lavorano insieme. Dunque, i catechisti, gli animatori della liturgia e gli operatori della carità devono operare insieme.

Inoltre formare alla carità significa non soltanto avere attenzione ai poveri, ma lasciarsi evangelizzare dai poveri (EG 198), che diventano nostri maestri, per cui il rapporto con i poveri è un dono reciproco. Chi di noi lo ha praticato, sa quanto ha imparato dai poveri. Al riguardo dobbiamo fare un grande passo avanti: dal “fare qualcosa per i poveri”, ad “accogliere”, “condividere”.

È un processo educativo che dobbiamo aiutare i genitori a compiere attraverso tante vie ed esperienze: dal presentare e discutere con loro questa visione della vita e della carità a renderli partecipi e protagonisti di carità; invitare a partecipare a ritiri sui temi della carità; promuovere momenti culturali di conoscenza delle povertà; tessere con i figli relazioni con le famiglie povere (superando l’idea che la carità in parrocchia la fanno le signore della Caritas); incontrare i poveri; visitare la Cittadella diocesana della carità; organizzare momenti conviviali con i poveri così da favorire conoscenze e amicizie; sottoscrivere adozioni a distanza; organizzare incontri di preghiera con i poveri; promuovere l’accoglienza dei poveri in casa; programmare servizi di assistenza ad anziani soli, ad immigrati. Grazie a Dio, nella nostra diocesi queste e altre iniziative vengono praticate e portano grandi frutti.

Metteremo in rete, sul sito della Caritas diocesana, tutte le proposte che sono state indicate durante il convegno, perché siano conosciute e – come è stato detto in un laboratorio – possano “innescare una reazione a catena: la carità porta carità”.

15. Infine, un altro aspetto in cui il coinvolgimento dei genitori sarebbe un vero beneficio, ma dove nella maggioranza dei casi è ampiamente praticata la delega. Riguarda il rapporto tra famiglia, scuola e iniziazione cristiana. Se da parte della parrocchia, segnatamente il parroco, si fa fatica a collegarsi con il mondo della scuola, e spesso le scuole tendono a tenere a distanza la parrocchia per una malintesa laicità, i genitori generalmente “si autoesiliano” dalla vita della scuola (consigli di classe e di istituto), dove invece potrebbero incidere molto nelle scelte formative. Dunque è una sfida impegnativa, dove anche esperienze positive il più delle volte non hanno continuità.

Salvo lodevoli eccezioni, l’insegnante di Religione sembra essere l’ultimo baluardo, ma di fatto è spesso poco incidente, se non perdente, anche se non è da sottovalutare la sua opera attraverso lo strumento del “ricevimento pomeridiano” dei genitori, con i quali è possibile creare buoni rapporti e canalizzare idee verso qualche progetto. Sarebbe importante stimolare i genitori a diventare più propositivi, facendo prendere coscienza di essere loro i responsabili ultimi della formazione dei figli.

È stata auspicata la creazione di una qualche struttura a livello di quartiere, che in un unico contesto territoriale faccia operare insieme le parrocchie e le scuole per creare qualche iniziativa che riunisca genitori e insegnanti ed elaborare proposte culturali da sottoporre alle scuole nella stesura del “Piano di offerta formativa”. Al riguardo le tematiche, ad esempio, che offre l’arte cristiana della nostra città, attraverso itinerari artistico culturali, oppure tematiche legate al volontariato caritativo, possono essere di aiuto.

Nelle scuole paritarie cattoliche la proposta formativa può trovare più facile accoglienza. Anche gli insegnanti cattolici, riconoscibili per la loro testimonianza e professionalità, potrebbero collaborare insieme. Si auspica qualche iniziativa promossa e sostenuta dal Vicariato, che riunisca sacerdoti impegnati nella scuola, insegnanti di Religione, insegnanti cattolici di varie discipline che possano essere coordinati e, anche con l’utilizzo della rete, favorire scambi di esperienze da trasformare in buone pratiche.

Conclusione

16. Mi rendo conto che il nostro cammino pastorale è ambizioso e impegnativo, che richiede idee chiare, pazienza e tanti collaboratori, preparati e disponibili. Che – come ho detto - non sempre ci sono. È vero. Ma questi orientamenti e proposte sono maturati nei laboratori del convegno. Ne benedico il Signore e dico a tutti che non dobbiamo cedere alla rassegnazione; al contrario, la Chiesa di Roma accetta la sfida, punta in alto, crede che pian piano possiamo raggiungere mete ambiziose. Non perdiamoci d’animo. Se il Signore ci affida questa missione, non ci farà mancare la grazia necessaria.

+Agostino Card. Vallini

Note al testo

[1] Cfr. A. Matteo, Adulti e comunità, in La Rivista del Clero Italiano 95 (2014), 727-728.

[2] Discorso al Pontificio Consiglio per la Famiglia, 25 ottobre 2013.

[3] L’anno scorso il Papa ci aveva detto: “La gente che viene sa… che la Chiesa custodisce il tesoro dello sguardo di Gesù. E noi dobbiamo offrirlo a tutti. Quando arrivano in parrocchia… quale atteggiamento dobbiamo avere? Dobbiamo accogliere sempre tutti con cuore grande, come in famiglia, chiedendo al Signore di farci capaci di partecipare alle difficoltà e ai problemi che spesso i ragazzi e i giovani incontrano nella loro vita.[…] E’ la Chiesa madre, come una madre che carezza i suoi figli con la compassione. Una Chiesa che abbia un cuore senza confini, ma non solo il cuore: anche lo sguardo, la dolcezza dello sguardo di Gesù, che spesso è molto più eloquente di tante parole. Le persone si aspettano di trovare in noi lo sguardo di Gesù, a volte senza nemmeno saperlo, quello sguardo sereno, felice che entra nel cuore. Ma …deve essere tutta la parrocchia ad essere una comunità accogliente, non solo i sacerdoti e i catechisti. Tutta la parrocchia! Accogliere…”.

[4] Omelia S. Messa Asuncion (Paraguay), 12 luglio 2015.

[5] “Le persone che hanno cominciato una nuova unione dopo lo scacco del loro matrimonio sacramentale non sono assolutamente scomunicate, e non devono assolutamente essere trattate come tali: fanno sempre parte della Chiesa”: Udienza generale, 5 agosto 2015.

[6] L.c.

[7] CEI, Il giorno del Signore (1984), nn. 39-40.