Linee per un’accoglienza dei rifugiati nelle parrocchie. Una prima riflessione, di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (13/9/2015)
Il denaro per l’accoglienza è meglio sia donato dalla comunità parrocchiale: non dobbiamo prendere i fondi che lo Stato mette a disposizione delle organizzazioni che si occupano dei profughi. Noi siamo la comunità cristiana ed il nostro compito è un altro: l’accoglienza deve essere gratuita. Questo è quanto raccolgo da dialoghi con laici e preti di diverse diocesi d’Italia.
L’orientamento è quello di non chiedere soldi allo Stato, perché la Chiesa deve fare altro. Tutti - laici e preti - affermano di non volere i contributi previsti dalla legislazione. Si sente, invece, l’esigenza di alcune chiare disposizioni legislative della Prefettura.
Ad esempio, che essa conceda una residenza temporanea presso le parrocchie in maniera da rendere temporanea la presenza di una famiglia (da 3 a 6 mesi) per poterne poi accoglierne una nuova successivamente, dato che l’ondata non sembra destinata a terminare nel breve tempo.
Sarebbe bene anche che la Prefettura disponesse dinanzi all’emergenza una deroga alle disposizioni sulla sicurezza (porte anti-panico, scale di sicurezza, ecc. ecc.) perché se gli edifici di pertinenza delle parrocchia messi a disposizione dovessero ottemperare a tali disposizioni ci potrebbero volere mesi e mesi per questo, oltre ad un enorme dispendio di energie umane e soldi che verrebbero sottratti all’accoglienza. Si deve poter accogliere negli edifici così come sono, siano essi le case dove vivono i preti o i religiosi - se hanno, ad esempio, delle zone riservate -, siano le case delle famiglie, siano le stanze utilizzate abitualmente dalla parrocchia per gli incontri.
Allo stesso modo appare decisivo che la Prefettura - o chi per lei - garantisca l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale dei rifugiati e l’inserimento nelle normali classi scolastiche dei figli con i nostro coetanei.
Ovviamente questione decisiva è quella del proseguimento del viaggio dei profughi - la maggioranza non vuole restare in Italia, ma vuole proseguire per il nord Europa o per gli USA e il Canada. Laici e preti sentono che su questo tema bisogna fare pressioni politiche, perché sia chiaro quale sarà la politica del nostro paese.
Nelle diverse diocesi le Caritas diocesane si stanno organizzando perché, una volta data la disponibilità di una comunità parrocchiale ad accogliere un certo numero di persone, siano le Prefetture a fare l’assegnazione.
Allo stesso tempo, dove c’è una conoscenza diretta - ad esempio tramite le cappellanie dei migranti, oppure tramite un’amicizia personale con preti siriani o eritrei o irakeni, ecc. ecc. , oppure dove esiste un’amicizia con i francescani della Custodia di Terra Santa, o ancora con i preti e le suore salesiane o altri religiosi delle nazioni da cui provengono i profughi - è bene accogliere le famiglie che a loro si sono rivolti, perché l’accoglienza sia più fruttuosa per i profughi stessi.
Dappertutto si sente l’esigenza di una formazione specifica, ma semplice, della comunità, perché tutti partecipino e divengano protagonisti dell’accoglienza. L’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, ad esempio, sta diffondendo alcuni video. Alcuni di essi sono pensati direttamente per i bambini dell’Iniziazione cristiana, per coinvolgere tutti, a partire dall’educazione.
Alcuni video mostrano come la situazione dei profughi che bussano alle porte dell’Europa sia ben diversa da quella degli emigranti del passato. La maggioranza dei profughi odierni scappa da regioni nelle quali l’Islamic State sta annientando ogni altra presenza. Diverse personalità del mondo arabo e turco si sono espresse perché sia manifesta una chiara assunzione di responsabilità nella crisi attuale da parte dei propri leader politici e religiosi perché si produca quella che l’imam di al-Azhar, la regina Ranja di Giordania e il presidente d’Egitto al-Sisi hanno definito una “rivoluzione culturale” del sistema educativo islamico, ma il processo deve ancora iniziare e sarà ovviamente lungo.
Anche la presentazione di articoli sulla distruzione dei siti archeologici con disprezzo verso l’uomo e verso tutto il portato della storia passata potrebbe essere utile per mostrare ai bambini la realtà dei fatti, senza dover ricorrere ad immagini di cadaveri (cfr. ad esempio, Iraq, il volto di Mosul sfregiato dall’Is, di Camille Eid [Mosul, l'antica Ninive, la città di Giona profeta]).
D’altro canto il presidente degli USA Obama e quello francese Hollande stanno facendo una politica sconsiderata, solo perché la Siria è da sempre alleata della Russia, oggi guidata da Putin.
Quasi assente è l’iniziativa politica nei confronti dei paesi attraversati dai profughi che provengono dal Corno d’Africa (fra i paesi che dovrebbero essere interessati vi sono la Somalia, l’Eritrea, l’Etiopia, il Sud Sudan, il Sudan, l’Egitto, la Libia).
Da parte di molti si ritiene che non si debba, giustamente, prendere posizione su tutte queste questioni, ma nemmeno essere ingenui abboccando a quelle facili posizioni giornalistiche che, secondo clichés datati, vorrebbero leggere l’esodo secondo gli schemi nord-sud del mondo, paesi ricchi-paesi poveri, paesi commercianti di armi-paesi vittime di tale commercio. Oggi tutti questi schemi stanno saltando e chi se ne avvale non riesce a comprendere niente della novità di ciò che sta accadendo.
Basta solo l’intervista fatta in Turchia, subito dopo il funerale della moglie e dei suoi due figli, di Abdullah Kurdi, il papà di Aylan, ritrovato morto sulle spiagge di Bodrum, a mostrare la complessità del problema: «Vorrei che i governi arabi, non i paesi europei, vedano cosa è successo ai miei figli e per questo aiutino i profughi siriani».
Molti sottolineano che, mentre si accoglie in Europa, bisogna anche aiutare i profughi che non vogliono scappare - ecco una grande differenza dai profughi del passato. Io stesso mi sto adoperando con aiuti ai profughi che si trovano nel Kurdistan irakeno o nelle zone della Siria che sono sotto attacco dell’Islamic State, che vuole distruggere la vita delle popolazioni civili, oltre che trionfare militarmente.
I preti ed i laici con cui sto dialogando insistono tutti sul fatto che deve apparire evidente che mentre la comunità cristiana si apre ai profughi non dimentica la povertà degli italiani. Anzi, deve essere un momento nel quale ricordare quanti nostri connazionali vengono aiutati non solo dalle Caritas parrocchiali, ma anche dalla silenziosa ed efficace vicinanza “materiale” di preti e laici.
Dei segni creativi di un’attenzione alla povertà crescente degli italiani aiuterebbero ancor più a coinvolgere tutti nell’accoglienza dei profughi.
Molto importante appare a tutti coinvolgere anche le giovani famiglie ed i genitori dell’Iniziazione cristiana, anche quelle lontane dalla fede, perché tutti insieme possiamo servire non solo a parole.
L’accoglienza dovrà mettere in gioco non solo le questioni relative all’alloggio e al vitto, ma contemporaneamente, le questioni relative all’integrazione. Importantissimo sarà non solo l’attenzione all’insegnamento della lingua italiana, ma l’integrazione nella nostra cultura italiana, dove un’alleanza fra scuola e Chiesa sarà molto preziosa.