Un respiro antico e nuovo. Migranti, il risveglio civile e cristiano dell'Europa, di Marina Corradi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /09 /2015 - 13:49 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire dell’8/9/2015 un articolo di Marina Corradi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (13/9/2015)

C'è qualcosa che rimane addosso, guardando le foto delle stazioni di Vienna e di Monaco, con i bambini che scendono dai treni e avvolti in coperte azzurre stellate sorridono, ancora increduli di essere in un posto in cui li accolgano, in pace. Quel qualcosa è stupore per la brusca e per una volta benigna svolta che in pochi giorni ha ribaltato le drammatiche cronache dai Balcani; e, insieme, una quasi indicibile commozione, perché è da tanto tempo che quasi avevamo smesso di sperare, nel sentire pronunciare la parola "Europa".

È da anni ormai che in questa nostra Unione vediamo poco più di una polverosa congerie di norme e vincoli, dimentica degli ideali per cui, dopo una guerra terribile e milioni di morti, era nata. Quasi sola era la voce del Papa che esortava all’accoglienza, come di nuovo, con forza, domenica all’Angelus; esortazione subito abbracciata dalla Chiesa italiana, che già all’emergenza migrazione da anni instancabilmente lavora. E anche l’Italia, e il suo soccorso generoso prima in mare, e poi a terra, era guardato da molti come un vano buonismo.

Oggi la gente in fuga che approda dalla Turchia in Grecia grida "Europa!". Per la rotta dei Balcani arrivano a Vienna, e alzano due dita nella "v" di vittoria. Hanno perso ogni cosa, gli restano solo i figli: eppure esultano, perché otterranno asilo in Europa. In un mondo, con tutti i suoi affanni, in pace: dove le case sventrate di Aleppo torneranno solo la notte, negli incubi, e poi, al mattino, col sole si dissolveranno.

Certo, dicono, la Germania ha bisogno di braccia, se vuole sostenere la sua crescita, e aprendo ai siriani – i più colti, e i più assimilabili, con i loro tratti occidentali – ha fatto i suoi conti; ma è mai esistita una migrazione che non avesse, per il Paese che spalancava le sue porte, un tornaconto economico? E che cos’altro potrebbe rimediare, in un’Europa sempre più canuta e senza figli, al vuoto demografico, se non l’arrivo di nuove genti, profughe, o migranti? Finora era stata soprattutto l’Italia, con tutti i suoi difetti ma anche la generosità della sua gente, a soccorrere. Ora ciò che vediamo sotto ai nostri occhi, nella brusca svolta impressa da Angela Merkel, è in fondo la riedizione moderna di quei movimenti che nei secoli hanno colmato le regioni d’Europa, quando per carestia, o epidemie, si creavano dei vuoti.

Nuove popolazioni, più o meno pacificamente, subentravano, e si amalgamavano a chi c’era prima. Recavano con sé la voglia di vivere e la tenacia di chi aveva lasciato la sua terra; quella forza, era ciò che portavano in dono alla patria nuova. E non stiamo noi, oggi, a guardare sbalorditi questi siriani che con i bambini in braccio hanno camminato per centinaia di chilometri, superato i muri di filo spinato, dormito per strada, sofferto la fame, eppure ce l’hanno fatta e sono qui, vivi? C’è un frammento di storia remota, in quei treni che arrivano alla Westbahnhof di Vienna, così come nelle preghiere di ringraziamento di quelli che sbarcano a Lampedusa.

Quanto al vuoto che questa gente va a colmare, non è stata carestia, né guerra: solo le culle vuote di un Occidente forse sazio, forse sfibrato. Dove gli ideali ereditati dai padri fondatori hanno lasciato il posto all’abitudine, dove la democrazia è data per scontata, e ciò che tiene forzatamente insieme sembra l’euro, più di ogni altra cosa.

E invece per la gente di Aleppo e Kobane, quella bandiera azzurra con le stelle è bella, anzi, meravigliosa. Ci fasciano i loro figli, perché in Europa potranno diventare grandi. Non come i mille Aylan di cui non sapremo il nome, perduti in fondo al mare, o sotto alle macerie. No, questi figli vivranno; perciò per quei padri e quelle madri l’Europa è una cosa grande. E forse, grazie a loro, potremmo tornare a credere un po’ di più anche noi, in questa Europa. Senza avere paura, come dice qualcuno, di una "invasione", e per di più di islamici: giacché sbarrare le nostre porte a quella gente, come grida il Papa, sarebbe stata la negazione stessa delle nostre radici cristiane.

Perché il cristianesimo non è bandiera su una rocca, ma vive nelle facce di chi lo testimonia: e a Lampedusa, o a Vienna, o nei mille luoghi in cui chi arriva è accolto, si tramanda questa testimonianza. A volte perfino immemore, magari come habitus "naturalmente" cristiano, ereditato in volti laici. In fondo, è questo il fiato dell’Europa che oggi ci commuove, alle stazioni di Vienna e Monaco, o sulle motovedette italiane nel Canale di Sicilia. Come l’eco di un respiro largo, e molto antico.