Africa, il peso delle religioni, di Maurice Borrmans

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /09 /2015 - 14:15 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 2/9/2015 un testo di Maurice Borrmans. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Storia e filosofia e Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (6/9/2015)

Un confronto tra le missioni

Inizia oggi alla Villa Cagnola di Gazzada (Va) la XXXVII Settimana di Storia religiosa euro-mediterranea intitolata a «La missioni in Africa: la sfida dell’inculturazione». Tra le prime relazioni quella su «Missioni cristiane e missioni islamiche in Africa: concetti, metodi, linguaggi, obiettivi. Saggio di missiologia comparata» di padre Maurice Borrmans, di cui diamo un estratto. Borrmans, missionario dei Padri Bianchi, è stato docente al Pontificio Istituto di Studi arabi e Islamistica (Pisai) di Roma e ha diretto per quasi 30 anni la rivista «Islamochristiana»; è considerato uno dei maggiori esperti cattolici del mondo musulmano. Il convegno proseguirà fino al 5 settembre con altri illustri relatori, tra cui Gianpaolo Romanato, Claude Prudhomme, Emmanuel Katongole, François Boespflug, Emanuela Fogliadini.

Africa, il peso delle religioni, di Maurice Borrmans

I popoli dell’Africa hanno una lunga storia, più o meno comune, con il cristianesimo e con l’islam e nessuno potrebbe negare che al loro interno la competizione tra il messaggio del Vangelo e il libro del Corano resta grande.

Le popolazioni musulmane in Africa si sono trovate ad essere amministrate fino alla soglia dell’indipendenza politica da potenze europee considerate cristiane. Ma l’islam è tradizionalmente unione di religione, società e Stato e da ciò sono derivate ovunque curiose alleanze tra le amministrazioni e gli amministrati, fatte di interessi reciproci e talvolta contraddittori.

Gli Stati storicamente strutturati e ora indipendenti affidarono la gestione del loro islam nazionale a differenti ministeri, soprattutto quelli degli affari religiosi islamici; di qui la trasmissione e la diffusione di un islam tradizionale un po’ ovunque.

Ma nel quadro degli sforzi riformisti di alcuni pensatori e di nuove istituzioni islamiche internazionali, alcune organizzazioni di da’wa («missione») musulmana si sono poi dedicate a contestare e a combattere ovunque le missioni cristiane, così come a rinnovare la presentazione e l’insegnamento dell’islam, oscillando tra riforma modernista o ripiegamento identitario, applicazione della shari’a o impegno nella jihad, spirituale e bellicoso.

La Lega del Mondo musulmano, fondata nel 1962, che ha sede alla Mecca ed è finanziata dall’Arabia Saudita, afferma un islam intransigente conforme alla scuola canonica chiamata wahabita e vuol sostenere le minoranze musulmane in tutto il mondo e aiutarle ad affermare e diffondere l’islam. Sono migliaia i borsisti musulmani dell’Africa nera che si recano a studiare l’islam alla Mecca e a Medina, al Cairo, a Tripoli, a Tunisi, a Rabat, diventando in Africa i messaggeri di un islam meno tradizionale e più ortodosso e facilitando una «wahabizzazione» generalizzata. (...) Dalle indipendenze nazionali in qui, il personale delle moschee – talvolta riunito in associazioni nazionali – assicura la trasmissione di un islam più fondamentalista. E ad imitazione delle missioni cristiane, nonché per contrastarne gli influssi, sono nati negli ultimi decenni alcuni organismi islamici di assistenza tecnica o di aiuto umanitario, con l’aiuto della manna petrolifera dei Paesi arabi. (...)

È evidente che tutte le missioni in Africa, islamiche e cristiane, hanno operato per la promozione delle persone, secondo lo spirito stesso del loro ideale religioso in materia di istituzioni giuridiche nazionali e di modernizzazione degli usi e dei costumi. Ma è altrettanto certo che la da’wa islamica resta ostaggio delle prescrizioni coraniche quanto alla condizione della donna e della famiglia: permesso di poligamia fino a 4 mogli, ripudio unilaterale esercitato dal marito, appartenenza dei figli al padre, discriminazione a favore degli eredi maschi, tutti elementi che tendono ad essere regolarizzati dai codici civili degli Stati e che corrispondono anche troppo bene a parecchie tradizioni delle società africane.

Invece le missioni cristiane hanno favorito ovunque la promozione della donna (matrimonio monogamico, divorzio sottoposto alla legge, uguaglianza di diritti e doveri, affermazione della coppia a cui solidarmente appartengono i figli) e nello stesso tempo hanno insistito sulla dignità individuale di ogni persona umana nel quadro rinnovato dello Stato di diritto. Bisogna riconoscere che l’obiettivo perseguito dalla da’wa islamica era ed è ancora una quasi-ricostituzione di una provincia dello Stato islamico nel quale la shari’a sarebbe una fonte del diritto o addirittura il suo unico riferimento, mentre lo Stato interferisce in materia religiosa (culto, insegnamento, mezzi di comunicazione) e la finanzia, soprattutto il pellegrinaggio alla Mecca.

Il «Seminario algerino del Pensiero islamico» del 1980 raccomandava di «conformare le energie politiche alle norme dell’islam e di assicurare un sistema di controllo che sorvegli minuziosamente la piena coerenza dell’apparato statale in vista di realizzare l’ideale islamico». Le missioni cristiane, al contrario, sia cattoliche che protestanti, hanno sempre incoraggiato le società civili degli Stati moderni a praticare, più o meno bene, l’autonomia dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), nel contesto di una distinzione più o meno netta tra politico e religioso.

Così, se le missioni islamiche si inseriscono sempre in un processo globale di islamizzazione della società, tentando di occupare molto in fretta il territorio con la moltiplicazione di moschee e privilegiando l’uso dell’arabo letterario (e non le lingue locali) anche nell’insegnamento, le missioni cristiane e le Chiese locali che le hanno sostituite preferiscono lavorare anzitutto per il regno di Dio dando «a Cesare quel che è di Cesare», ma osando anche talvolta ricordare alla politica le esigenze del bene comune e della giustizia per una migliore difesa dei diritti dell’uomo.

Durante il XIX e XX secolo, le missioni cristiane e islamiche in Africa hanno conosciuto differenti successi a seconda dell’evoluzione delle società africana cui si rivolgevano e della diversa maniera di accogliere le esigenze della modernità. Bisogna inoltre riconoscere che queste stesse missioni hanno conosciuto trasformazioni importanti per quanto riguarda le loro motivazioni, le strutture, i metodi, le espressioni, le realizzazioni e le testimonianze: il continente africano vede così l’islam e il cristianesimo considerare entrambi di trovarsi «a casa propria» in una situazione insieme di concorrenza e di dialogo.

Resta comunque vero che il futuro umano e spirituale del continente africano dipende, in gran parte, da ciò che cristiani e musulmani faranno del dialogo islamo-cristiano: sapranno superare le inimicizie e i pregiudizi che una troppo lunga storia di polemiche e conflitti hanno generato, come li incita a fare la dichiarazione conciliare Nostra Aetate «esortandoli tutti a dimenticare il passato e a sforzarsi sinceramente di comprendersi l’un l’altro, nonché a proteggere e promuovere insieme la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà per tutti gli uomini»? È anche ciò a cui invita il Corano. «Cercate di superarvi a vicenda nelle opere di bene».