Dinanzi al dramma di chi fugge e attraversa il mare, un progetto culturale e politico italiano di lungo periodo. Piccola nota di Giovanni Amico
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (12/8/2015)
Una mappa dei migranti verso l'Europa al 2013,
quando ancora era debole la migrazione di persone
dai luoghi poi devastati dall'Islamic State e da Boko Haram
Dinanzi ai tanti che fuggono dai loro paesi, vuoi per regimi socialisti (Eritrea), vuoi per regimi islamici dittatoriali (Somalia, zone della Siria controllate dall’Islamic State), vuoi per il sotto-sviluppo e la fame (Etiopia) dobbiamo riuscire a mantenere in equilibrio l’aiuto immediato e l’elaborazione di una visione di lungo periodo che vada alle radici del problema, per non scadere in un facule moralismo.
Da un lato, non c’è dubbio che si debba aiutare immediatamente e senza riserve chi rischia di morire. È l’antico precetto dell’aiuto dato a prescindere dall’affrontare la complessità della situazione, è l’aiuto del buon samaritano, è l’osservanza dell’“elemosina” - troppo svilita nel tempo e che ha, invece, un valore altissimo. Carità è proprio carità, non giustizia. Ognuno è tenuto a dare quel che può dare, anche se non riesce ad affrontare alla radice le cause del malessere.
Ma, dall’altro lato, proprio la riflessione moderna sulla carità ha fatto emergere che non esiste carità che non si curi anche di lavorare sui motivi della povertà, altrimenti l’aiuto, in realtà, non raggiunge il suo scopo, anzi la situazione delle popolazioni in difficoltà si aggrava. Alla carità si deve affiancare la giustizia.
Ecco, allora, che mentre si aiuta chi attraversa il Mediterraneo sui barconi, serve una lungimirante iniziative politica – che la Chiesa deve sostenere ed illuminare – tesa:
- a lavorare per eliminare i motivi per i quali si fugge
- a coinvolgere l’Europa e gli altri paesi per sopportare insieme il peso dell’accoglienza
- ad elaborare una chiara idea di integrazione
Qualche breve cenno su questi tre punti.
a/ Lavorare per eliminare i motivi per i quali si fugge
Dinanzi a noi c’è innanzitutto la Libia. L’unico periodo nel quale è stato ridotto il numero dei morti in mare si è avuto quando è stato stipulato un accordo con la Libia perché fossero i libici a fermare i trafficanti. Il Ministero degli Interni ha molto chiaro il problema e cerca collaborazione con gli altri organismi dello Stato. La situazione è oggi aggravata dalla situazione di guerra civile presente in Libia.
Si noti che i trafficanti, non solo rubano ogni risorsa ai profughi, ma violentano le loro donne, commettono soprusi indicibili per ragioni religiose, discriminando ad esempio i cristiani ortodossi, organizzano prestiti di modo che le donne, giunte in Italia, siano poi costrette alla prostituzione e così via.
Non solo. I profughi si imbarcano in Libia, ma vi giungono da precise e ben determinate nazioni africane. Fuggono perché perseguitati da regimi islamici in Somalia, Sudan o nelle zone a dominio islamista della Siria o dell’Iraq, oppure fuggono dalla persecuzione di regimi socialisti come l’Eritrea, oppure ancora fuggono da paesi, come la Nigeria, dove la corruzione di governi locali fa sì che talvolta le molte risorse vengano utilizzate a beneficio di pochi, oltre che per la pressione di Boko Haram.
Qui si tratta non solo di “fare la carità” a chi attraversa il mare, ma di avere una chiara politica estera italiana ed europea per chiedere ai paesi da cui provengono i profughi una chiara svolta politica.
Ebbene, mentre l’Italia si sforza di salvare gente in mare, qual è la sua politica estera dinanzi alla Libia, all’Eritrea, alla Siria, alla Nigeria, ecc. ecc.?
Senza una chiara politica estera nei confronti di questi paesi, non solo si corre il rischio di fomentare le paure degli italiani, ma, al contempo, si resta in un tunnel senza via d’uscita che farà sì che il numero dei morti resterà costante nel tempo o addirittura, senza un ‘intervento giusto alla radice del male, aumenterà ancora.
(cfr. su questo:
- 1/ «L’Eritrea è un inferno, l’Onu è inutile e non ci aiuta. I trafficanti sono la nostra unica possibilità», di Leone Grotti 2/ Miserere, storie di cristiani perseguitati. Basta avere una Bibbia per finire torturati nel lager di Sawa, di Franco Molon
- Lampedusa e le altre tragedie nel Mediterraneo: approfondimenti. 1/ Eritrea Paese prigione. Nel mirino anche la Chiesa, di Paolo Lambruschi 2/ «I soldi, le violenze, gli scafisti. Vi racconto i viaggi della speranza dei miei connazionali eritrei». Intervista a una mediatrice culturale del ministero. «Pagano 2600 dollari per il viaggio, spesso vengono arrestati. Solo i più “fortunati” riescono a salire sui barconi», di Chiara Rizzo 3/ «È facile in questi momenti cercare di puntare il dito. Io piuttosto che puntare il dito, direi abbracciamoci, perché abbiamo bisogno l’uno accanto all’altro di sostenerci per non sentirci soli specialmente nel momento del dolore. Chi ha la ricetta in mano per la soluzione di tutto? Voi l’avete? Non mi pare!». Un’intervista al parroco di Lampedusa 4/ Chi sta dietro allo sporco traffico, di Paolo Lambruschi
)
b/ Coinvolgere l’Europa e gli altri paesi per sopportare insieme il peso dell’accoglienza
I profughi giungono in Italia, perché è la nazione più vicina, ma, in maggioranza, non vogliono fermarsi nel nostro paese. Vogliono raggiungere i paesi ricchi del nord d’Europa (Svezia, Danimarca, Olanda, Gran Bretagna), oppure imbarcarsi per il Canada o gli USA, oppure ancora stabilirsi in Francia o in Germania.
Non basta la carità immediata sul mare, che è necessaria, ma serve un accordo con le nazioni nelle quali i profughi intendono stabilirsi.
Qual è la politica estera del nostro paese nei confronti di queste nazioni in materia di immigrazione?
Senza una chiara collaborazione con esse, non solo si inacerbisce l’atteggiamento degli italiani, ma più ancora, non si offre un concreto aiuto di lungo periodo, al di là della carità immediata che è dovuta.
(cfr. su questo:
)
c/ Elaborare una chiara idea di integrazione
Una consistente minoranza di profughi intende rimanere in Italia. Più l’Italia saprà manifestare immediatamente ai profughi, insieme all’accoglienza, lo stile di vita, di rispetto della legalità e di libertà religiosa, che emerge dal dettato costituzionale, più agevole sarà l’integrazione.
Recentemente un opinionista sottolineava che dinanzi ad episodi di microcriminalità sarebbe preziosa una legge che chiedesse la condanna a servizi sociali. Altri esperti sottolineavano come la legge dovrebbe favorire quegli organismi che mentre offrono una prima accoglienza ai migranti li impegnino in cambio in un servizio/lavoro di pubblica utilità permesso ed anzi incoraggiato dalla legislazione, superando l’estrema cavillosità dei regolamenti in merito, perché si sentano non ospiti non mal sopportati, bensì utili - insomma, fornire sussidi in cambio di un lavoro fattivo a servizio di altri.
La popolazione invoca giustamente che le forze dell’ordine non solo non chiudano un occhio dinanzi a situazioni di degrado che si verificano nelle stazioni o nei loro pressi o in altri luoghi pubblici come nei posteggi, nelle spiagge o nei luoghi di turismo dove viene venduta ogni genere di merce senza rispetto del fisco, ma anzi intervengano con tempestività, secondo la teoria detta delle finestre rotte.
Gli esperti fanno notare anche come la nostra legislazione sia impreparata dinanzi al fenomeno del fondamentalismo e come molti musulmani “moderati” diventino integralisti una volta emigrati in Europa, perché nei loro paesi d’origine non avevano potuto conoscere il fondamentalismo perché esso è tenuto sotto controllo e non ha diffusione pubblica nelle moschee, dato che fuori d’Europa ovunque i sermoni degli imam sono controllati, mentre il nostro sistema garantista non contempla un controllo di questo tipo - l’esperienza di questi anni dimostra, invece, che un intervento dello Stato è necessario anche da noi.
Lo stesso atteggiamento non remissivo, ma anzi di chiara proposta deve essere espresso nella scuola, con l’obbligo non solo di inserire i propri figli, ma anche di impegnarsi a conoscere la storia specifica del nostro paese, nel rispetto dei suoi valori. Qui anche l’atteggiamento della scuola nei confronti della religione cattolica ha un ruolo fondamentale, perché si tratta di far conoscere un mondo, quello della storia del cristianesimo, che molti profughi non conoscono perché è stato spesso vietato loro nei paesi d’origine. Si tratta allora di far percepire loro che esiste un diverso modo di coniugare la fede e la vita sociale che nasce proprio dalla specifica fede che ha animato la storia dell’Italia, generando così un certo modo di vedere la libertà religiosa, di affermare il valore della ragione, di sostenere la dignità della donna, di modificare il rapporto genitori-figli, di giungere ad una cultura figurativa, ecc. ecc.
Anche qui una chiara politica su questi temi farebbe sì che la difesa dell’identità nazionale non divenga patrimonio solo di qualche gruppo politico, ma in più, cosa ancora più importante, si indicherebbe una via specificamente italiana per un chiaro modello di integrazione, dinanzi al fondamentalismo che si presenta sempre più non come emergenza occasionale, bensì come uno dei grandi scogli su cui misurarsi, già in chiave educativa, per evitare che l’immigrazione si incanali in forme fra qualche tempo non più governabili, con la creazione di ghetti e la generazione di violenze che debbono, invece, essere prevenute con lungimiranza.
(cfr. su questo:
- Immigrazione e cittadinanza: quale modello per l'integrazione?, di Fabio Macioce
- 1/ La tratta delle donne in arrivo dalla Libia, di Ilaria Solaini 2/ Sui migranti non servono sermoni. I timori dei cittadini, di Ernesto Galli della Loggia
)
In conclusione
In conclusione quello che ci sembra manchi nell’accompagnare il doverosa e lodevole intervento di salvataggio in mare è una visione d’insieme che appassioni gli italiani in un progetto di lungo periodo che li coinvolga. Vogliamo invece lavorare perché l’Italia si proponga come una protagonista di cambiamento, non solo non disprezzando i sentimenti della nazione, ma anzi coinvolgendo gli italiani nello scoprire che proprio la cultura di cui sono eredi e portatori è adatta ad elaborare una visione di vita che aiuti le altre nazioni ed i loro abitanti ed emigranti a maturare nella carità, nella giustizia e nella libertà.