Perché dobbiamo reintrodurre la retorica a scuola? Perché è alla base di tutte le discipline, di Giovanni Fighera
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Riprendiamo dal sito scuolachesterton2008 un articolo di Giovanni Fighera pubblicato il 25/11/2014, ripreso a sua volta dalla rivista Tempi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e scuola nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (19/7/2015)
Uno dei primi consigli che si offrono ai neofiti nei corsi di scrittura è quello di scegliere soggetti e argomenti ben conosciuti per i propri romanzi e racconti. Il precetto non fa altro che ribadire quanto sostenevano gli antichi retori. Risale a Catone il Censore il detto «rem tene, verba sequentur», ovvero «possiedi gli argomenti, le parole seguiranno».
Oggi pullulano i corsi di comunicazione e di scrittura, sintomo dell’esigenza sentita e comune di acquisire maggiori competenze nell’eloquio scritto e orale, nell’arte della persuasione e nella chiarezza espositiva. Molti sono convinti che vengano offerte nuove abilità, sconosciute alle altre epoche. In realtà, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, nulla che non sia una semplificazione o una pallida effigie della maestosa madre di tutte le discipline, ovvero la Retorica.
Fino al Cinquecento e al Seicento la Retorica era alla base della formazione culturale di un politico come Machiavelli (1469-1527) o di uno scienziato come Galilei (1564-1642). L’apprendimento teorico e pratico della disciplina nell’antichità o nel Medioevo avveniva durante l’arco di interi anni, fornendo una preparazione fondamentale per l’esercizio dell’attività politica, giudiziaria, letteraria.
Di essa si avvalevano tutti gli studiosi, non solo i poeti e i letterati, ma anche gli storiografi e gli scienziati. Solo così si può comprendere come un’opera politica come Il principe di Machiavelli (1513) o dei trattati scientifici come Il saggiatore(1623) o Il dialogo sopra i due massimi sistemi (1532) di Galileo Galilei siano a buon diritto diventati due classici della letteratura italiana.
Solo nei secoli successivi le discipline si sarebbero affrancate dalla grande madre Retorica. Oggi giorno un saggio scientifico non è anche un testo letterario, perché non è elaborato secondo le norme dei generi letterari e della classificazione degli stili. Seguirà evidentemente le norme della correttezza linguistica e della precisione e scientificità del lessico, ma in nessuna antologia letteraria compariranno, però, libri storici o scientifici contemporanee. Se fino al Seicento si assisteva al dominio incontrastato della retorica, propedeutica ad ogni sapere, oggi al contrario si assiste alla trasformazione in scienza di ogni disciplina. Ne sono prova le espressioni «scienze umane», «scienze religiose», «scienze letterarie», «scienze filosofiche», «scienze della comunicazione».
Nella scuola di un tempo, invece, per anni si apprendevano le cinque fasi della retorica, l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la memoria e l’actio, fasi che ancor oggi noi possiamo apprendere attraverso la lettura del De oratore di Cicerone o dell’Institutio oratoria di Quintiliano o del più recente Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli. Ma nel percorso di studio obbligatorio fino a diciotto anni (tredici anni per chi termina una scuola superiore) chi ha studiato Retorica? Molti ragazzi non avranno nemmeno sentito nominare il nome delle sue fasi. E ancora, ci chiediamo: chi studia Retorica all’università, anche nei corsi di laurea di Lettere? Lascio la risposta al lettore.
Un tempo, le arti liberali, cioè le discipline degne di un uomo libero, contrapposte alle arti meccaniche, si componevano del Trivio e del Quadrivio. Il Trivio, dedicato alle discipline umanistiche, era costituito da Grammatica (cioè il Latino), Retorica e Dialettica.
Oggi, nella scuola, quella che un tempo era l’arte del ben parlare e del ben scrivere, l’arte del persuadere, è ridotta allo studio delle figure retoriche, a quella che è una componente dell’elocutio, ovvero l’ornatus, un solo pezzo di quel gigantesco puzzle che è la Retorica. L’elocutio che insegnava a scrivere bene comprendeva anche l’elegantia (scelta accurata delle parole), il cursus ovvero l’andamento ritmico del periodo, la correttezza (puritas) e la chiarezza espositiva (perspicuitas).
E ancora, chi studia le tecniche di mnemonica a scuola? Non solo non si studiano, ma sempre più si ritiene inutile far apprendere a memoria poesie e versi. Lo studente si iscriverà più tardi ad uno dei tanti corsi che promettono di far acquisire memorie prodigiose. Chiunque insegni o svolga attività in cui è centrale il rapporto con un uditorio sa bene quanto sia incisiva l’esposizione degli argomenti senza consultare appunti o libri. Chi parla deve possedere una memoria che gli permetta di esporre senza far riferimento al testo scritto o alla scaletta.
Ritengo giusto dirlo, non come provocazione, ma perché ne sono profondamente convinto: propongo al prossimo Ministro della Pubblica istruzione di riformare la scuola ritornando alla vera formazione e alla cultura. Ritorniamo ad una scuola seria, che formi, che dia cultura, che educhi! Invece di continuare a togliere ore all’Italiano, al Latino, alla Storia nella convinzione che gli studenti italiani non conoscano la Matematica e la Fisica per il numero limitato di ore (è un’ingenuità pensarlo, le ragioni sono ben diverse e più complesse), si dovrebbe introdurre nuovamente la disciplina della Retorica in qualsiasi scuola superiore e anche all’università. Non è una disciplina nuova, ma una delle più antiche, che è stata eliminata dal percorso di studio e non comprendo quali siano le ragioni. Tutti gli insegnanti (senza distinzione di disciplina), in qualsiasi ordine di scuola, dovrebbero avere competenze retoriche e non soltanto specifiche inerenti la loro materia. Forse sono secondarie la capacità comunicativa e la chiarezza espositiva nell’insegnamento?
La Retorica non può essere sostituita dalla Storia letteraria del triennio né tantomeno dall’abbuffato quanto indigesto studio dei generi letterari del biennio che spesso sgretola le opere e le utilizza per far acquisire competenze, ma spesso crea disaffezione nei ragazzi per la letteratura e l’arte. Raramente ho sentito studenti del triennio che mi dicessero che al biennio avevano letto bei libri o apprezzato un capolavoro come I promessi sposi.
Ma se la scuola non forma, non fa apprezzare la bellezza, non fa appassionare alla lettura, alla scrittura, all’arte della parola, al senso della scoperta, storica o scientifica che sia, a che serve? Può essere ridotta ad un parcheggio per genitori che tornano tardi dal lavoro? Come genitore, posso capire le esigenze degli adulti, ma per le mie figlie desidero ben di più.
Destinatario dell’articolo non sono solo tutti i genitori che sono già andati a scuola, ma il prossimo Ministro della Pubblica Istruzione.