L’emergere della Repubblica marinara di Amalfi nell’alto medioevo dinanzi all’avanzata arabo-musulmana(da G. Gargano)
Riprendiamo un brano da Gargano G., L'Arsenale di Amalfi. Il cantiere navale della Repubblica Marinara, Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Amalfi 2010, pp. 8-12. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sugli attacchi arabi in Italia prima dell'anno 1000, cfr. la sezione Alto Medioevo.
Il Centro culturale Gli scritti (12/7/2015)
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L'esordio sul mare avvenne nell'812, quando, a fianco delle navi di Gaeta, la flotta di Amalfi si batté vittoriosamente alle Egadi per frenare un tentativo arabo d'invasione della Sicilia, esaudendo in tal modo la richiesta di Carlo Magno e di Michele I di Costantinopoli. Così ricevevano il battesimo del fuoco i venti dromoni che due anni prima gli amalfitani avevano costruito per ordine dello stesso imperatore d'Oriente.
Negli anni ‘40 di quel secolo la flotta della repubblica marinara partecipò, in maniera ancor più determinata, ad altri scontri navali in funzione antiaraba.
Alcune navi saracene sbarcarono nell'846 sull'isola di Ponza, mentre altre occuparono Licosa. Una spedizione navale, formata da navi amalfitane, napoletane, gaetane e sorrentine, costrinse i saraceni ad abbandonare le postazioni stabilite.
Tre anni dopo un nuovo e più tremendo pericolo stava per abbattersi sulla Città Eterna: una potente flotta araba si dirigeva alla volta di Roma, fermamente decisa ad annientare il principale centro della cristianità. Prima dell'arrivo dei saraceni giunse nel porto di Ostia la flotta campana, composta di unità navali di Napoli, Amalfi e Gaeta, al comando del console Cesario, figlio del duca napoletano. Dopo aver partecipato alla solenne messa celebrata dal papa Leone IV, la flotta alleata affrontò i nemici davanti al porto romano. Le sorti della battaglia furono favorevoli ai cristiani, in soccorso dei quali sopraggiunse una "tempesta miracolosa".
Così la sede del successore del "maggior Piero" era salva e con questa impresa encomiabile Amalfi festeggiava il suo primo decennio d'indipendenza.
L'eco di tale gloriosa vittoria marinara fu raccolta nel Rinascimento da Raffaello Sanzio, che ne immortalò la memoria, affrescando l'episodio nelle Stanze Vaticane su invito di Leone X, il quale era stato in precedenza arcivescovo di Amalfi.
I successi militari anti-arabi e in difesa della cristianità valsero alla città marinara il celebre elogio umanistico del Tortelli: «Contra hostes fidei semper pugnavit Amalphis».
Nell'870 venti sagene amalfitane (piccole e veloci navi da blitz), per ordine dell'imperatore germanico Ludovico, liberarono dall'isola del Salvatore il vescovo Atanasio di Napoli, che il nipote duca Sergio II aveva ivi rinchiuso, poiché il presule si opponeva alle sue relazioni con gli arabi. Inseguiti da una più numerosa flotta napoletano-saracena, gli amalfitani riuscirono a sbaragliarla e a condurre in salvo il vescovo. L'imperatore, grato, donò loro l'Isola di Capri, che tolse al duca di Napoli.
Ancora una volta, dieci anni più tardi, il pontefice Giovanni VIII affidava al prefetto Pulcari di Amalfi e alla sua flotta il compito di sorvegliare il litorale da Traetto a Centocelle, per impedire incursioni saraceniche.
Navi da guerra, con truppe da sbarco e da combattimento terrestre, furono inviate da Amalfi nel secolo successivo a sostegno di progetti di affermazione o di riappropriazione territoriale nell'ambito del Mediterraneo. Pertanto, il duca di Amalfi Mansone I appoggiava, tra il 968 e il 971, come conferma Liutprando da Cremona, insieme ai gaetani, la riconquista della Siria da parte dell'imperatore di Bisanzio. Fu allora che lo stesso basileus d'Oriente gli conferì, per gratitudine, l'aulico titolo di imperialis patricius, mentre assegnava ai comandanti della flotta amalfitana, Niceta e Sergio, quello di imperialis protospatharius.
Nel 969 un'altra flotta di Amalfi era impegnata più ad occidente: essa appoggiava la vincente ascesa al califfato d'Egitto da parte della potente famiglia dei Fatimidi, che soppiantava quella degli Abassidi. I vincitori ripagavano gli amalfitani con la franchigia nei porti egiziani e con l'autorizzazione a coniare propri tarì d'oro, utilizzando il metallo prezioso proveniente dalle miniere del Sudan in cambio della legna portata dai boschi del ducato di Amalfi.
La fama che la flotta amalfitana si era guadagnata, grazie ai molteplici successi conseguiti sui mari, la fece diventare, come afferma lo storico rumeno Michele Berza (1938), "la più potente del Tirreno".
Amalfi, in virtù della sua temuta flotta di sagene, di liburne e di galee, incuteva ossequio e rispetto nei confinanti ducati romanico-bizantini di Napoli e di Sorrento e nel principato longobardo di Salerno: nel 973, 981, 1052 e 1076 gli amalfitani, sbarcati dalle loro navi, espugnarono ed occuparono quest'ultima città, nel 1078 con i loro legni bloccarono il porto partenopeo.
Questo primato amalfitano cominciò ad incrinarsi quando maggior consistenti armate navali provenienti dall'Africa e comandate dai corsari kelbiti attaccarono a più riprese i litorali dell'Italia meridionale, occupandone alcuni tratti o imponendo alle città marittime sotto tiro il pagamento di tributi.
Nel 991 si presentarono davanti alle coste del ducato di Amalfi: il duca Mansone I allora inviò loro un proclama, mediante il quale non nascondeva i timori del popolo, ma nello stesso tempo affermava che esso era in armi, con abile diplomazia egli consentì ai saraceni di sbarcare a Minori e a Maiori, assicurando loro le vettovaglie. Ma questi ultimi violarono i luoghi sacri e saccheggiarono i due centri abitati che, comunque, per tempo erano stati evacuati dalla popolazione. A quel punto gli amalfitani volevano insorgere contro gli invasori, ma il loro duca ancora una volta temporeggiò, soltanto i massi scagliati dai fieri abitanti del villaggio di Laurito presso Positano ed una provvidenziale tempesta, attribuita al protettore di Capri, S. Costanzo, liberarono il territorio amalfitano dalla fastidiosa minaccia.
Nel luglio del 1002 la strategia di Mansone seguì un corso differente: egli decise di affrontare i saraceni in mare aperto, purtroppo fu catturato insieme al figlio e al nipote suoi correggenti. Furono riscattati in seguito tramite il pagamento di una forte somma di denaro.
Una flotta di razziatori africani di quell'epoca era formata in genere da 17 qatā'i (galee pesanti da guerra), numero di natanti alla portata della difesa navale amalfitana, però in alcuni casi esso poteva raggiungere le 40 unità, per cui il confronto diventava di certo più arduo.
Questi due episodi provano il mutamento delle condizioni marinare nell'Occidente mediterraneo: la potenza di Amalfi sul mare cedeva il passo a quella araba e non solo. Una nuova realtà marittima si presentava alla ribalta in quelle acque, a colpi di vittoriose battaglie e cospicue conquiste: si trattava della città di Pisa.
Dal 1005 al 1071 le agguerrite flotte pisane ingaggiarono battaglie e scontri navali sia con i saraceni di Sicilia che con gli arabi di Spagna, approfittando del fatto che queste popolazioni musulmane erano tra loro ostili, in quanto si disputavano il dominio del Mediterraneo occidentale. Così i pisani liberarono Reggio Calabria, appoggiarono la conquista normanna della Sicilia, occuparono la Sardegna. Pisa era diventata ormai la maggior potenza navale del Tirreno, seguita immediatamente da Genova, che a sua volta aveva liberato la Corsica, ponendola sotto il suo dominio.
Al fianco delle flotte pisane e genovesi le navi private del nobile mercante amalfitano Pantaleone de Comite Maurone parteciparono nel 1087 alla distruzione del terribile covo piratico di Al Madhia sulle coste dell'Algeria. Il valido contributo fornito per l'occasione dall'amalfitano, che conosceva molto bene la topografia di quel centro commerciale africano, fu immortalato nel Carme Pisano composto in quella circostanza per celebrare la fausta vicenda: «Et refulsit inter istos cum parte exercitus/ Pantaleo malfitanus inter Graecos sipantus».
Questa fu la prova generale per la I Crociata, che consacrò ufficialmente il dominio dei mari da parte di genovesi, veneziani e pisani, nonché il sorpasso netto e definitivo subìto dalle potenzialità amalfitane. Ma fu anche uno degli ultimi bagliori gloriosi della marineria amalfitana, confermato ancora una volta dalla vittoria conseguita sui saraceni nelle acque di Paestum nel 1113 insieme a salernitani e napoletani.
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