Ultime notizie dell’uomo, di Fabrice Hadjadj
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito la tradizione a cura di Ugo Moschella, con alcune nostre correzioni, della relazione tenuta da Fabrice Hadjadj in occasione del Symposium – Una cultura per un nuovo umanesimo, organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria di Roma, tenutosi a Roma, il 25 giugno 2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi di Fabrice Hadjadj, cfr. la sezione Storia e filosofia alla sotto-sezione Filosofia contemporanea.
Il Centro culturale Gli scritti (2/7/2015)
Auguste Rodin, La mano di Dio
1. Un’ammissione implicita.
L’appello per un nuovo umanesimo, sotto l’apparenza di speranza, contiene già l’ammissione di un fallimento. Ogni appello alla speranza presuppone in sé la constatazione di una certa situazione di disperazione. Ma questo appello confessa inoltre il fallimento dell'umanesimo antico. Iniziato con il Rinascimento e affermatosi specialmente con l’Illuminismo, quell’antico umanesimo è in verità l'umanesimo moderno. Esso si fondava innanzitutto sull'idea di progresso - e di conseguenza di rottura con la tradizione - e pensava di poter stabilire sulla terra un mondo migliore grazie a decisioni principalmente sociali o politiche, come ad esempio la democrazia, l'educazione istituzionale, lo sviluppo industriale, la creazione di organizzazioni internazionali, l'abolizione della proprietà privata o l’esaltazione del mercato liberale.
Quel progressismo è morto nel ventesimo secolo. È bastata la bomba atomica a farlo esplodere. Non soltanto perché essa ha marcato concretamente una finitezza nuova - la possibilità prossima dell’auto-distruzione dell'umanità - ma anche e soprattutto, perché ha spostato le questioni dall'ideologia verso la tecnologia. Ormai il progresso non è più pensato attraverso decisioni politico-sociali ma tramite soluzioni tecnico-spirituali, (l'accostamento di questi due termini, tecnico e spirituale, può sembrare strano ma risulterà chiaro nel seguito).
2. Il problema è l'umano.
Sulle rovine dell'umanesimo antico il nuovo umanesimo vorrebbe rispondere alla situazione nuova, senza precedenti, della nostra epoca. La novità è che il problema non è più l’inumano ma l'umano stesso. Come diceva nel 2002 - con quella ingenuità tipica degli ingegneri - il celebre rapporto della National Science Foundation sulla Convergenza delle Nuove Tecnologie (rapporto commissionato dallo stato americano): «Sullo scenario della guerra moderna, l'umano è diventato l'anello debole sia dal punto di vista fisiologico che da quello cognitivo». Qui si denuncia non la disumanità della guerra ma la debolezza costitutiva dell'umanità. Del resto, nel rapporto in questione, non si tratta solo della guerra che cerca di distruggere un nemico, ma anche della guerra che cerca di migliorare un amico: l'umano non è più adeguato al dispositivo tecnologico che lo circonda, deve essere upgradato. Questa aumentazione dell'umano è peraltro resa quasi inevitabile dall’habitat industriale: l'industria produce un inquinamento tale da causare la caduta della fertilità degli individui e bisognerà ricorrere alle provette per fabbricare un umano geneticamente modificato, capace di resistere alle condizioni ostili prodotte dalla tecnologia stessa.
Günther Anders lo faceva notare fin da 1956, nel sua opera principale L'obsolescenza dell'uomo: «Il nostro corpo di oggi è lo stesso di ieri, è lo stesso corpo dei nostri genitori, lo stesso dei nostri antenati; quello del costruttore di missili non si distingue da quello dell'uomo delle caverne. È stabile sul piano morfologico. Moralmente parlando, esso è rigido, recalcitrante, limitato; dal punto di vista degli strumenti: conservatore, imperfettibile, obsoleto - un peso morto nell'irresistibile ascesa degli strumenti… Oggi, non si imputerebbe la caduta di Icaro alla cera delle sue ali ma ad Icaro stesso. Se egli potesse gettarsi nel vuoto per alleggerirle del suo peso, quelle ali potrebbero conquistare il cielo».
Il nuovo umanesimo potrebbe confondersi molto bene con il "transumanismo" e cioè con l'idea di un umano potenziato dalle nuove tecnologie. Ma non sarebbe in verità che un androidismo o un cyborghismo. La novità starebbe nello sbarazzarci dell'umano come è stato tramandato dalla natura e dalla storia.
3. Triplicità.
Il transumanismo non è solo in lizza. Viene accompagnato dall'ecologismo e dallo spiritualismo, ai quali sembra opporsi. Il transumanista è un apostolo della Tecnica, l'ecologista radicale un adepto della Natura e lo spiritualista, come dice la parola, un uomo alla ricerca di una via spirituale che non ha niente in comune con l'apparente materialismo dei due precedenti. In verità, l'antagonismo di queste tre figure è solo superficiale. Si fanno eco l’un l'altra. Possono accordarsi anche profondamente. Per esempio l'ingegnere ideale che lavora da Google è un tecnocrate vegetariano praticante la meditazione trascendentale; e il businessman ideale del Qatar è un tecno-capitalista fondamentalista, che si dedica ad azioni "verdi" per fare notare meglio le sue imprese…
Queste tre figure postmoderne, il tecnologismo, l'ecologismo estremo e lo spiritualismo, sia buddisticheggiante che fondamentalista, si eccitano e si fanno appello a vicenda, per reazione e allo stesso tempo per connivenza. Il mondo iper-artificiale nel quale viviamo ci fa sognare per reazione una natura vergine ed immacolata dove tutti gli animali si tengono per la zampa (o per l'artiglio e lo zoccolo). Ci sono direttori commerciali che si dedicano al naturismo e si iscrivono a stage di sopravvivenza nelle foreste della Patagonia. O ancora, c’è Walt Disney che ci mostra una natura incantata grazie a immagini di sintesi. Allo stesso modo, il flusso di messaggi senza messaggio con cui Internet ci sommerge, provoca il desiderio di fare il vuoto, di passare dalle tecniche dell’informazione alle tecniche di meditazione. O ancora, la situazione di instabilità permanente prodotta dall'innovazione tecnologica mette voglia di trovare punti di riferimento stabili, chiari e netti, caduti del cielo, dettati da Dio, che si possano applicare come un manuale di istruzioni per la salvezza. Ecco perché l'islamismo e anche il buddismo all'occidentale sono tutt’altro che opposti al progressismo tecnologico, e anzi possono essere la compensazione che rinforza quel progressismo, e questo molto meglio del cristianesimo (giacché l'ultima enciclica del papa attacca direttamente il "paradigma tecnocratico").
4. Dalla morale alla metafisica.
In ogni caso, queste tre figure postmoderne prosperano sul cadavere dell'umanesimo moderno. Dopo il proprio fallimento, la causa politico-sociale si ricicla nella causa cibernetica, in quella animalista o nella causa di un divino disincarnato, attraverso la comune ignoranza della cultura e della storia. Cosicché, come abbiamo già detto, il problema non è più l’inumano ma l'umano stesso.
Lo sottolinea il filosofo francese Rémi Brague: «Ci si chiedeva una volta: come si può promuovere un umanesimo? Il che voleva dire: difenderlo da tutte le figure dell’inumano. Oggi, la domanda è piuttosto: bisogna veramente promuovere un umanesimo?». È con la sfida di questa domanda che deve confrontarsi ogni "nuovo umanesimo", nella misura in cui il fatto stesso di restare umani non è più cosi evidente. Perciò questo "nuovo umanesimo" non può ridursi a belle esortazioni che mirano a un soprassalto morale. La questione non è più solamente morale. È metafisica: perché continuare con l'umano? Perché restare all'uomo della cultura e della storia, che ha fatto il suo tempo e mostrato i suoi limiti, e non passare invece all'uomo dell'ingegneria e della disincarnazione?
5. Nuove questioni.
Comprendetemi bene. Sono questioni assolutamente nuove che si pongono, perché, sotto il "paradigma tecnocratico", ciò che ieri era necessario diventa ormai solo un'opzione.
— Volete fare crescere l'erba tirandola?
— Le vostre galline le desiderate con o senza denti? E le mucche le volete carnivore?
—Volete incontrare le persone andandoci in carne ed ossa, con tutti i rischi di contaminazione, di un ceffone, dell’alito cattivo e perfino della passione fisica, che tale prossimità comporta? Non è meglio incontrare le persone attraverso gli schermi, senza esserci, senza esporsi e potendo disconnettersi in ogni momento?
— E queste protesi non sono di fatto più efficienti delle vostre braccia e dei vostri corpi?
—Veramente vi basta il cervello di sapiens sapiens che avete? Non permetterete invece l’innesto di processori che vi renderanno più capaci di connettervi alla rete e gestire le vostre banche dati?
— Lei, signore, non vuole essere immortale? O preferisce forse il suicidio nello stato di benessere completo?
— E lei, signora, intende rimanere all'arcaismo di fare i bambini con la modalità del coito e portarli nel suo ventre? È un metodo che non permette alcun controllo sulla filiera di produzione. E le deformerà il corpo, impedendole la pelle liscia e il ventre piatto. Non sarebbe meglio affidarsi alla selezione delle nostre provette e alla liberazione della matrice elettronica?
6. L'imbarazzo del nuovo umanesimo.
Queste domande i nostri antenati non potevano porsele. Per essi l'erba era verde e sottomessa al ritmo della specie e delle stagioni: l'erba non poteva essere rosa e non poteva crescere in un batter d’occhio. Una persona era presente o assente, vicina o lontana: non poteva essere né vicina, né lontana, né presente, né assente, ma connessa nel luogo senza distanza delle telecomunicazioni. I nostri antenati infine non potevano non nascere dall'unione di un uomo e di una donna. E non potevano non invecchiare e non morire. E non potevano non soffrire. E non potevano non accontentarsi delle idee della loro testa o del lavoro delle loro mani.
Di fronte a simili questioni assolutamente nuove, il nuovo umanesimo che vorrebbe fermarsi all'umano dei tempi andati è in una situazione perlomeno imbarazzante. Da un lato, si trova a dover dimostrare cose che sono evidenti; dall'altro, deve fare l'elogio del male, o perlomeno di un certo male. Ora, come sapete, le evidenze non si possono dimostrare, perché balzano agli occhi: tentare di dimostrarle è come provare a far vedere un colore a un cieco. E l'elogio del male è perfettamente contraddittorio.
Così il nuovo umanesimo appare al tempo stesso ridicolo e crudele. Appare prima di tutto ridicolo per i suoi truismi. È ridicolo infatti ricordare che l'erba è verde, che le mucche non sono carnivore, che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, che una donna è una donna e un uomo un uomo; oppure che la notte è la notte e che il giorno è il giorno. I tecnocrati e i loro alleati non possono che ridere davanti a simili ingenuità.
Ma il nuovo umanesimo che vuole fermarsi all'umano dei tempi andati appare soprattutto di una crudeltà sconfinata. Perché dirà che è bene il nascere nella casualità dell'unione di un maschio e di una femmina, e dunque di potere essere handicappato o non selezionato; o anche che è bene invecchiare e soffrire piuttosto che essere soppresso con l’eutanasia; oppure che è bene vivere in questa carne sessuata e mortale, avere mani e piedi invece di tanti pseudopodi elettronici. Stavolta i tecnocrati e i loro alleati non ridono più, si scandalizzano, gridano contro una tale mancanza di compassione.
7. Il rimprovero di essere reazionario.
Al nuovo umanesimo verrà rimproverato anche di non essere abbastanza nuovo. Di fatto, se fosse troppo nuovo, se si concentrasse soltanto sulle sfide del nostro tempo, il suo successo sarebbe anche la sua compromissione e alla fine il suo disastro. Se il nostro nuovo umanesimo vantasse l'uomo del futuro e disprezzasse l'uomo del passato non potrebbe più essere veramente umano per la rottura che causerebbe con l'umanità storica. Caratteristica propria di un nuovo umanesimo è il poter trovare modelli tra gli Antichi, perché gli Antichi sono già umani. Per esso, l'avvenire di un uomo non consiste nel tendere verso un superman futuro, ma nell’avvicinarsi un po’ alla grandezza di Dante, di Tommaso d’Aquino, di Mozart, di Gandhi o di un pittore preistorico della grotta di Chauvet, ma anche alla grandezza semplice di tutti quei padri e quelle madri, tutti quei contadini e quegli artigiani che hanno versato il sudore della loro fronte per la generazione successiva ed erede, la quale avrebbe poi fatto lo stesso, con la stessa ardente pazienza.
Il nuovo umanesimo non sarebbe soltanto ridicolo e crudele. Sarebbe anche reazionario. Ora, a differenza delle bestie intrappolate nei cicli naturali, non siamo forse fatti per le novità? Non bisogna mettere il vino nuovo negli otri nuovi? Il Nuovo Testamento non ha superato il Vecchio? Ogni umanesimo è dunque vecchio prima ancora di nascere, e lo si accuserà di rinchiudere l'uomo negli stretti limiti di una natura che lo spinge indietro, verso l'eterno ritorno dell’uguale, verso la noiosa ripetizione degli antichi fallimenti…
8. L'innovazione è veramente nuova?
Conviene fermarsi sulla questione del nuovo che echeggia nell’appello per un "nuovo umanesimo" ma anche nell’appello per un "uomo nuovo" - appello che può provenire da un cristiano ma anche da un rivoluzionario ateo, da un lettore di san Paolo ma anche da un follower di Ray Kurzweil.
Questo ci suggerisce che la parola "nuovo" non viene interpretata nello stesso modo e dunque la domanda: Che cosa è veramente nuovo? Che cosa è davvero un avvenimento?
Il mondo tecno-liberale sembra avere la novità dalla sua parte. Da prova di sé attraverso l'innovazione, perfino quella che si chiama da qualche tempo la disruptive innovation. Si può credere che si tratti di un dinamismo dello spirito umano: andare sempre più lontano, oltrepassare i limiti, conquistare nuovi territori e creare nuovi mercati. Ma è prima di tutto un dinamismo del profitto finanziario: bisogna innovare per battere la concorrenza e guadagnare il più possibile. Presto, l'iPhone 7, di cui nessuno ha bisogno, ma che sarà presentato come un bisogno incosciente, inevitabile, - si chiamava fino ieri un must…
Perché, curiosamente, per giustificarsi, l'innovazione è obbligata a fingere di rispondere ad un'attesa profonda ed eterna della natura umana. E per questo essa è capace di riappropriarsi degli antichi miti fino al più perfetto controsenso. Il Prometeo incatenato diventa un'icona di liberazione. Il mito di Icaro, che condannava la dismisura del voler volare, diventa la prova che l'uomo ha sempre sognato di volare e oltrepassare le frontiere. Infine la torre di Babele è il segno che da sempre abbiamo voluto fabbricare grattacieli e missili, o una comunicazione globale ed efficiente. Malgrado questi tentativi di giustificazione che invece la tradiscono, l'innovazione pretende di essere prima di tutto rottura, l’inizio di qualcosa di assolutamente nuovo che ci spinge a disprezzare i nostri padri e ammirare i nostri esperti.
9. Due modelli: Innovazione e nascita.
Ma davvero l'assolutamente nuovo si trova dalle parti dell'innovazione? La corsa all'innovazione non è piuttosto la conseguenza dell'incapacità di meravigliarsi davanti al reale, e dunque di un'impotenza a vedere il nuovo, l'originale, l'incredibile, in ciò che già c’è? Papa Francesco lo nota nella sua ultima enciclica Laudato si’ , (n. 113): «L’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie in un’unica direzione. […] La permanente novità dei prodotti si unisce a una pesante noia». Questa novità procede dalla perdita della contemplazione testimoniata dal poverello di Assisi.
Nel seguito dell’enciclica il Santo Padre, in opposizione alla novità dell'innovazione, rievoca la novità della nascita, novità perlomeno paradossale perché niente è più ordinario del fatto di nascere – infatti, tutti noi presenti in questa sala, ma non per molto tempo ancora, siamo nati. E però è la nascita ad essere chiamata da tutti il "lieto evento" e a consacrare il mistero del Natale. Ecco ciò che dice Francesco citando Benedetto XVI (n. 120): «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono». E subito dopo questa citazione della Caritas in Veritate il papa parla di una «nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli» e riafferma «l’eterna novità» del cristianesimo – il che significa che il principio di ogni avvenire autentico è l'accoglienza della nascita o della natività e non la promozione dell'innovazione.
Ci sono dunque due modelli di novità: il modello dell'innovazione e il modello della nascita, e tutti e due contengono un paradosso. La nascita, che genera un neonato, è allo stesso tempo un fatto banalissimo. L'innovazione, che fabbrica un nuovo prodotto, condanna i suoi prodotti precedenti all'obsolescenza. Niente è più ordinario dell’essere nato. Niente somiglia più rapidamente a un dinosauro di un gadget all’ultimo grido.
10. Il superuomo come uomo-scarto.
Quale di questi due modelli ci apre di più alla novità? Quale è più rivolto verso l'avvenire? Il vicario di Cristo dichiara che è la nascita e che l'innovazione deve essere subordinata a questo fatto banale o tradizionale. Il pioniere della tecnologia calcola che è l'innovazione e che, di conseguenza, la nascita è obsoleta. Seguiamo questo pioniere nella sua realizzazione meravigliosa, quella di un superuomo, e vediamo cosa succede.
Il superuomo sarà stato programmato per questa o quella performance. Sarà dunque più un super-attrezzo che un superuomo e non avrà niente di veramente nuovo. Il suo ideatore lo ha fabbricato perché non ha saputo meravigliarsi davanti al viso di un bambino ordinario e possiamo immaginare che sia anche assolutamente privo di profondità. Probabilmente non morirà mai, ma si guasterà. E se non si guasta, si suiciderà, perché non troverà niente per cui valga la pena di dare la vita. E se non si suicida, sarà in ogni modo reso obsoleto dai prodotti della generazione seguente, perché, quando si regola la generazione umana sulla generazione di prodotti, è inevitabile che tale generazione sovrumana diventi una generazione usa e getta. L'abbiamo già detto: la moda passa, l'innovazione distrugge, ciò che si compra è fatto per non durare perché il venditore può sopravvivere solamente se domani vende qualcos’altro. L'innovazione tecno-liberale fa crescere soprattutto la frustrazione e gli scarti. Il culto del superuomo è necessariamente il culto dell'uomo-scarto, cioè del performante che non sarà più tanto performante tra alcuni mesi. È quello che papa Francesco chiama la "cultura dello scarto" ed è l'altra faccia della «disruptive innovation».
11. Il neonato come inviato degli dei.
E il neonato? Innanzitutto, là dove l'innovazione tecnologica propone solamente qualcosa di nuovo, la nascita ci presenta qualcuno di nuovo. C'è qui un cambiamento di ordine, e occorre ammettere, comparando l'incomparabile, che anche la persona più vecchia sarà sempre più nuova del più recente dei prodotti: un soggetto è sempre più sorprendente di un oggetto; del resto, solo un soggetto può sorprenderci, perché ci guarda; un oggetto può stupirci, ma, siccome non c'è in esso niente di simile all'effrazione viva dello sguardo o del viso di un altro, un oggetto non sorprende.
Se l'ultima performance tecnologica ci appare a buon diritto come una conquista dell’uomo, il neonato ci appare ad ancora miglior diritto come un inviato degli dei, e perfino come la prova più alta della nostra umanità, quella prova che si chiama paternità o maternità. La nascita è avvenimento vero mentre l'innovazione è solamente il risultato di un progetto. Non soltanto perché il neonato, sorto dall'unione sessuale, sfugge alla pianificazione degli esperti. E neppure perché, diventato adolescente, vi spinge a chiedervi come sia possibile che quel giovane debosciato sia carne della vostra carne mentre con almeno altrettanta forza lui si chiede come sia potuto sortire da un tale vecchio rincoglionito. Il fatto è che la nascita è un avvenimento di vita, un avvenimento tocca il soggetto nelle profondità del suo essere, e non la semplice innovazione di un oggetto che ne agita la superficie.
L'innovazione di un oggetto sta là, tutti possono constatarla, trovare che il nuovo iPad è veramente fantastico. Ma bisogna avere un figlio per poter percepire l'avvenimento sconvolgente di questo fatto. Visto dall’esterno, il nuovo gadget pare straordinario; ma vissuto dell'interno, con il tempo, è meno che banale, è appena un miserabile sforzo per distrarsi della noia. Al contrario, visto dell'esterno, è molto banale essere padre; ma vissuta dell'interno, con il tempo che passa, si rivela l'avventura più esorbitante, la più drammatica, la più eroica, la più originale, poiché si è all'origine di qualcuno e non di qualcosa, ed ecco perché si ha paura di tali novità e responsabilità radicali e si fugge per distrarsi verso la frequentazione delle macchine.
12. L'uomo aumentato, fantasma dell'uomo diminuito dall'economia industriale.
Fortunatamente devo giungere a una conclusione. Cosa ho cercato di dire? Che l'uomo aumentato è solamente un fantasma dell'uomo diminuito. Il mondo tecno-industriale ci ha privato dei nostri poteri più propri e allora fantastichiamo su un possibile miglioramento vendutoci da quello stesso mondo che ci ha depredati. Il poeta sa vedere nel più piccolo fiore qualcosa di nuovo. Ma ci impediscono di essere poeti, perché essere poeta sarebbe essere sognatore. L'artigiano conosce la gioia di realizzare un bel mobile con le sue mani. Ma ci impediscono di lavorare con le nostre mani, perché si può guadagnare più denaro premendo dei pulsanti, e poi con quel denaro acquistare mobili all’IKEA.
Ivan Illich lo ha scritto implacabilmente: «Fino ai nostri giorni, lo sviluppo economico ha sempre significato che le persone, invece di fare una cosa, diventano in grado di acquistarla. I valori di uso fuori-mercato sono sostituiti dalle merci. Lo sviluppo economico significa anche che, col passare del tempo, le persone devono necessariamente acquistare la merce, perché le condizioni che permettevano loro di vivere altrimenti sono sparite dal loro ambiente naturale, fisico, sociale o culturale». Oggi, ci si spinge fino a dover acquistare un bambino, un nuovo corpo o una morte dolce, e il superuomo è innanzitutto un uomo-merce. E questo ci rivela che le nuove domande a cui abbiamo fatto cenno prima - Desiderate una gallina con i denti? - Non preferite un bimbo perfetto fabbricato in laboratorio? - tutte quelle domande nuove non sono tanto domande ma proposte, commerciali.
13. Il vero Uomo Nuovo.
Allora un nuovo umanesimo non può che essere un umanesimo che rigetta il «paradigma tecno-economico» prevalente a partire dal diciannovesimo secolo. Non si tratta di rifiutare la tecnologia in quanto tale, ma di subordinarla all'arte e all'artigianato: tenere a mente che fare qualcosa con le proprie mani è più umano e più originale di lanciare un software premendo un pulsante; ricordarsi che la cultura è più nuova dell'ingegneria, perché la cultura, accompagnando le forme date dalla natura, accompagna forme che provengono da un'intelligenza più grande della nostra; affermare che un tavolo familiare è un oggetto tecnico molto superiore a una tavoletta elettronica, e che un letto coniugale conduce più lontano di una navetta spaziale…
So che dicendo queste cose davanti alle forze del progresso, corro il rischio di sembrare ridicolo, crudele e reazionario. Ma bisogna rendersi conto della condizione nuova dell'umanità che adesso, prima ancora di diventare migliore, deve sforzarsi di restare umana. In questo contesto, il mistero cristiano dell'Incarnazione sembra sempre più imprescindibile. La sua lettura ne esce perfino approfondita. Perché, adesso, non si può più soltanto dire: «Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventi Dio», ma si deve anche aggiungere che «Dio si è fatto uomo affinché l'uomo resti umano». Il mistero dell'incarnazione si oppone sia allo spiritualismo che al materialismo tecnocratico e alla loro complicità per svilire il corpo umano come ci è dato. Esso afferma una divinizzazione che non è una disumanizzazione, una trascendenza che ci conferma nei nostri limiti, perché il limite, impedendo una crescita indefinita sulla stessa linea di immanenza, ci invita a un cambiamento di ordine, all'autentica Singolarità.
L'uomo Nuovo per eccellenza non è un cyborg super-performante, ma un carpentiere, nato da una donna in un modo ancora più oscuro, ancor meno pianificato del coito, uno che ha dato infine la sua vita, ha dato la Vita, tra i supplizi più dolorosi, e che, quando risuscita, quando è nella gloria, fa cose troppo ordinarie per essere ammissibili nel campus di Google: Egli cammina coi suoi discepoli, commenta per essi le Scritture, li incoraggia a pescare il pesce, fa un fuoco e perfino cucina sul bordo del lago, come se lavorare con le sue mani, mangiare, parlare, cantare e pregare insieme fosse il luogo della novità eterna, perché luogo della comunione. Se un nuovo umanesimo c’è, non può che essere quello di quest’Uomo Nuovo, sempre nuovo, mai antiquato, perché è l'uomo eterno, più giovane del tempo.