Gender & neuroscienze: la differenza esiste, di Alberto Oliverio
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Riprendiamo da Avvenire del 24/6/2015 un articolo di Alberto Oliverio, Professore emerito di Psicobiologia alla Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di neuroetica. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2015)
Le polemiche sul “gender”, che vede schierati da un lato quanti sostengono che le differenze tra i due sessi dipendono dalla natura e, dall’altro, chi sostiene che le differenze tra i due sessi sono fondamentalmente dipendenti da fattori culturali, sono spesso viziate da salti logici o verità incomplete.
Per fare chiarezza, cominciamo dalle ovvie diversità di natura biologica che fanno parte del cosiddetto dimorfismo sessuale. Le caratteristiche dei due sessi dipendono da fattori genetici e cromosomici e non interessano soltanto gli organi genitali ma anche la struttura del corpo e del cervello. Per quanto riguarda il sistema nervoso esiste un dimorfismo (diversità tra i sessi) che riguarda sia le strutture, sia alcuni aspetti delle funzioni cerebrali. Vi sono caratteristiche delle emozioni, dei comportamenti aggressivi, delle capacità spaziali eccetera che sono diverse nei due sessi sia in quanto esistono differenze a livello cerebrale, sia in quanto gli ormoni, maschili e femminili, agiscono sul nostro comportamento.
È ben noto che gli androgeni, (gli ormoni sessuali maschili) potenziano l’aggressività e fanno sì che, in genere, i ragazzi siano più violenti delle ragazze. Queste differenze non sono omogenee, come ogni aspetto della biologia: esistono forti differenze individuali che possono essere potenziate o indebolite dalla cultura ma è semplicistico negare che esse siano inizialmente un fatto biologico.
Così come esistono differenze cerebrali e comportamentali tra i due sessi ve ne sono tra i cervelli degli eterosessuali, degli omosessuali e dei transgender? Le impostazioni delle ricerche in questo campo sono spesso viziate dall’atteggiamento dei ricercatori o dalla loro appartenenza a uno schieramento piuttosto che a un altro. Ad esempio, una delle ricerche che aveva avuto maggiore penetrazione mediatica era stata svolta da un ricercatore dichiaratemene gay e fautore della naturalità dei comportamenti omosessuali su cervelli di persone morte per Aids e quindi probabilmente modificati da questa malattia.
In seguito, gran parte delle ricerche sono state concentrate sull’ipotalamo, un nucleo nervoso che regola, tra l’altro, la produzione di ormoni e che, negli animali, è soggetto a nette differenze tra maschi e femmine. Negli esseri umani l’area preottica dell’ipotalamo contiene un nucleo – INAH-3 – che è più grande negli uomini che nelle donne ed è anche più grande negli uomini eterosessuali che negli uomini omosessuali. Tuttavia non è detto che queste differenze siano necessariamente primarie, potrebbero anche dipendere da esperienze e fattori ambientali. Gli psicobiologi sanno infatti che l’esperienza precoce può alterare la struttura del cervello e avere un’influenza sul comportamento successivo. Insomma, è possibile che le esperienze sociali influiscano sullo sviluppo dell’INAH-3 per determinare più tardi l’orientamento sessuale.
Al momento, è azzardato, anche a mio parere, attribuire l’omosessualità a fattori biologici, anche se molto spesso può manifestarsi molto precocemente. Per compiutezza, vale la pena di notare che questa precocità è al centro di ipotesi sulle cause dell’orientamento omosessuale: una delle più accreditate è l’ipotesi immunologica secondo cui vi sarebbe una reazione della madre nei confronti di antigeni presenti nei feti di sesso maschile. Secondo questa ipotesi la memoria immunologica accentuerebbe la reazione dopo ogni gravidanza maschile, riducendo il processo di mascolinizzazione cerebrale nel feto durante la fase critica dello sviluppo. Di conseguenza, l’ipotesi prevede che gli omossessuali possiedano un numero di fratelli maschi maggiori superiori alla media degli eterosessuali.
Per quanto riguarda i transessuali (le persone che si sentono a disagio nel proprio corpo e nel proprio genere biologico) i risultati di diversi studi sono più a favore di fattori biologici che culturali. Il particolare, nei trans maschi (che si sentono femmine) esiste una dissociazione tra il differenziamento dei genitali e quello cerebrale: i caratteri sessuali e corporei sono di tipo prevalentemente maschile, quelli cerebrali sono ambigui o di tipo femminile. Nei trans, le differenze che esistono tra i cervelli di tipo maschile e quelli di tipo femminile non sono infatti evidenti in un nucleo nervoso implicato nella sessualità, l’ipotalamo, che è di tipo femminile anziché maschile. Questa viene considerata come una prova neurobiologica dell’alterazione di genere. Inoltre, il DNA dei transessuali presenta variazioni genetiche che rendono meno forti i segnali esercitati sul cervello dagli ormoni maschili.
In conclusione, le diversità tra i due sessi esistono anche a livello cerebrale e comportano differenze comportamentali e della personalità che non sono dettate soltanto dal modo in cui siamo allevati. Ciò non implica che le differenze di genere siano incompatibili con la parità tra i due sessi: la parità è un fatto essenzialmente culturale, anche se nel passato le differenze sessuali sono state all’origine di disuguaglianze e lo sono tuttora in molte culture. Ma imboccare la strada secondo cui la parità sarebbe negata dal riconoscere che esistono differenze biologiche, come sostengono numerosi fautori delle teorie del “gender”, è un corto circuito che va evitato. Educare alla parità non implica necessariamente negare le differenze.