1/ Fabrice Hadjadj: per la sua ecologia integrale, Laudato Si’ segnerà una svolta. Un’intervista di Antoine Pasquier a Fabrice Hadjadj 2/ Laudato si': papa Francesco sulla cura della casa comune, di Luigi Alici
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1/ Fabrice Hadjadj: per la sua ecologia integrale, Laudato Si’ segnerà una svolta. Un’intervista di Antoine Pasquier a Fabrice Hadjadj
Riprendiamo sul nostro sito una traduzione curata da Benedetta Scotti di un’intervista a Fabrice Hadjadj di Antoine Pasquier apparsa sul sito della rivista Famille chrétienne e pubblicato il 2/6/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/6/2015)
Per il filosofo Fabrice Hadjadj, l’enciclica Laudato Si’ spezza il legame aberrante tra i cattolici e il mondo tecnoliberale della crescita illimitata.
In cosa questa enciclica si distingue come testo epocale, come lo fu al suo tempo la Rerum Novarum?
Epocale è ciò che è allo stesso tempo la manifestazione di un’epoca e il suo superamento, un po’ come il sorgere di un sole che, levandosi in alto, svela il paesaggio.
È esattamente ciò che accade con questo testo: manifesta quanto vi è di più specifico del nostro tempo - il paradigma tecnocratico - e lo fa a partire dai misteri più grandi ma anche più semplici – la comunione trinitaria e la comunione di tutte le creature, ciò su cui riflettono i più grandi teologi e ciò che prova in prima persona l’ultimo degli innamorati. È come se, nell’estremo pericolo in cui ci troviamo, la cattolicità fosse divenuta un fatto fisico. Se la Pacem in terris si rivolgeva a “tutti gli uomini di buona volontà”, la Laudato Si’ si rivolge, semplicemente, a tutti gli uomini. La coscienza ecologica ci porta a riconoscere che abitiamo una “casa comune” e che questa casa comune presume, come ogni casa, un Padre comune.
Il rispetto della natura passa, secondo il Papa, per la meraviglia di fronte alla Creazione. Perché gli uomini si limitano a una visione materialista? Sono degli esseri contemplativi senza saperlo?
All’inizio siamo tutti contemplativi. È la risorsa dell’infanzia. Un giovane è spinto ad intraprendere degli studi scientifici in primo luogo dalla meraviglia che prova di fronte ai fenomeni della natura. Solo l’ammirazione e l’amore possono metterci in movimento. Ma questo movimento è spesso deviato da una volontà di potenza che manca di gratitudine. Così, nella scuola d’ingegneria dove entrerà il nostro giovane, si trascurerà ciò che i fenomeni hanno di “fenomenale”, si passerà dalla meraviglia al calcolo, alla manipolazione, all’utilitarismo che ignora l’impulso iniziale del desiderio di conoscenza. È perché siamo stati bambini sulle ginocchia di nostra madre con un padre che ci mostrava la bellezza di una margherita che desideriamo comprendere il mondo il maniera intelligente. Ma ecco che presto ci si mette a voler fabbricare dei piccoli uomini senza né padre né madre e ad accanirci contro la margherita per ridurla alla sua utilità o alle sue funzioni… E così facendo tradiamo non solo la Creazione, ma anche noi stessi.
Il Papa va molto lontano nella sua critica al sistema economico e finanziario. Per lui, il consumismo si traduce in una crescita senza limiti. Perché tale mania di consumo è pericolosa e perché è necessaria porvi dei limiti?
Per giustificare i limiti, si insiste molto sull’esaurimento delle risorse naturali. E va bene. Ma non è abbastanza, perché si perde di vista il carattere positivo del limite. Il limite non è una rinuncia, ma un’affermazione. Per gli Antichi, ciò che ha un limite è ciò che ha una forma, mentre ciò che è illimitato è l’imperfetto, l’informe, il “senza contorni”. Limitare i propri mezzi permette di imparare a fare le cose da sé (per esempio, anche solo con una penna e un foglio potete scrivere delle poesie). E limitare il consumo di prodotti permette di aprirsi alla comunione delle persone. Tommaso d’Aquino dice che “l’austerità [o la sobrietà], in quanto virtù, non esclude i piaceri ma solamente quelli che sono superflui e disordinati, ed è per questo motivo che apre all’affabilità, all’amicizia e alla gioia”. La sovrabbondanza delle merci non impedisce la disperazione. Ma laddove una persona fa esperienza della comunione e dell’appartenenza “qualsiasi luogo cessa di essere un inferno e diventa il quadro di una vita degna” (§ 148).
Il Papa ripete che “tutto è connesso” (Dio, l’uomo e la terra). Come interpretate questa espressione che alcuni tentano di minimizzare?
È il motivo conduttore dell’enclica. Mi sembra sia necessario interpretarlo pensando a tre cerchi concentrici.
Il primo è quello dell’ecologia in senso stretto: il proprio di questa disciplina è l’osservazione dell’equilibrio degli ecosistemi e dunque il riconoscere che tutto è legato nella natura, che ciò che tocca l’acqua o il fiore può avere delle ripercussioni incalcolabili sugli altri esseri viventi.
Il secondo cerchio è quello del legame tra l’ordine materiale e l’ordine spirituale, tenendo a mente che la crisi ecologica è anche una crisi mistica: “I deserti esteriori si moltiplicano nel nostro mondo perché i deserti interiori sono divenuti così grandi” (§ 217).
Infine, il terzo cerchio trascende e comprende quelli precedenti. È quello del mistero trinitario, come viene mirabilmente descritto nel seguente passaggio: “Le Persone divine sono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente” (§ 240).
Nel primo capitolo, Francesco segue questo approccio mistico e parla in particolare della necessità dell’Eucaristia che “abbraccia e penetra la Creazione”. Qual è il rapporto tra economia della salvezza e la salvaguardia del pianeta?
I sacramenti si oppongono alla tentazione dello spiritualismo, ovvero ad una relazione con Dio che non passa per la materia, il corpo, i gesti sensibili. La cattedrale incarna la creazione intera. Paul Claudel lo ricordava con forza: “La chiave di volta [della cattedrale] venne a catturare la foresta pagana”. Ne La Scarpina di Raso, critica coloro che vogliono “ridurre la chimica della salvezza ad una transazione individuale e clandestina nella ristrettezza di un ufficio”. Poi dichiara: “È con la Sua opera intera che pregheremo Dio! Niente di ciò che ha fatto è vano, niente è estraneo alla nostra salveza. È la Sua creazione, senza scordarsi di alcuna sua parte, che eleveremo nelle nostri mani riconoscenti e umili”.
Così “l’Eucaristia è in sé un atto di amore cosmico” (§ 236). Essa consacra divinamente “il frutto della terra e del lavoro degli uomini”. Se ci pensiamo un poco, ciò implica una trasfigurazione dell’economia: il pane che arriva sulla tavola, che deve essere di puro frumento, non può essere mischiato a pesticidi, non deve essere stato prodotto in condizioni inique, altrimenti la nostra offerta sarebbe un’offesa! Per non parlare delle condizioni necessarie per produrre un “buon” vino per la messa. A partire da questa semplice esigenza (presentare delle offerte degne all’altare), tutta l’economia può essere rimessa in questione.
Si può parlare di un peccato ecologico o sarebbe più giusto parlare di strutture di peccato?
L’espressione “peccato ecologico” non si trova nell’enciclica. Sembra che sia stata usata il giorno successivo alla sua apparizione ufficiale dal metropolita ortodosso Giovanni Zizioulas di Pergamo. Il Santo Padre, dal canto suo, quando cita il patriarca Bartolomeno, parla di “peccati contro la creazione”. Ciò che è certo è che, come mostra il filosofo Hans Jonas in “I principi della responsabilità”, la “civiltà tecnologica” trasforma ‘l’etica tradizionale’ su almeno due punti:
-L’etica tradizionale è un’etica della prossimita: oggi, data la globalizazzione tecnoindustriale, possiamo offendere delle persone dall’altra parte del mondo o che non sono ancora nate (le generazioni future).
-Inoltre, l’etica tradizionale vedeva la natura come qualcosa di stabile, d’inesauribile o d’invulnerabile; al contrario, la nostra azione può ormai ferire e persino devastare la “casa comune”. Ecco perché il nostro senso del peccato è da intendersi in ragione di questo contesto inedito.
Questa enciclica può smuovere le file sia tra i cattolici sia tra gli ecologisti tout court?
Per dei motivi storici, tra cui in particolare il comunismo, molti cattolici hanno avuto la tendenza ad allearsi con il mondo tecnoliberale della crescita illimitata.
Questa enciclica spezza questo aberrante legame. Francesco osa parlare del “mito del progresso” e arriva al punto di domandare di “accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”.
Afferma anche che le nuove tecnologie non sono neutre, ma che contengono in se stesse un progetto o un paradigma pericoloso, il che è un rovesciamento rispetto alla concezione puramente strumentale della tecnica che ha spesso prevalso in seno alla Chiesa. Per quanto riguarda gli ecologisti, il Papa li chiama alla coerenza di un’ecologia “integrale” e “umana”.
Da una parte, non si può difendere la natura disprezzando l’uomo e il suo essere coronamento: dire che l’uomo è un animale tra gli altri rende impossibile l’ecologia, perché è necessario che l’uomo abbia una dignità speciale per essere considerato come custode responsabile della creazione.
Dall’altra parte, riconoscere che la natura non è una riserva di energia e di materiali disponibili bensì un ordine donato che si deve rispettare, accompagnare e preservare, significa presupporre la provvidenza di un Creatore generoso...
Infine, contro ogni concezione individualistica della salvezza, è bene ricordarsi di Noè. Per salvare questo solo uomo giusto, è stata necessaria l’Arca, e quindi salvare anche la sua famiglia, e con la sua famiglia tutte le altre specie, pure e impure…
2/ Laudato si': papa Francesco sulla cura della casa comune, di Luigi Alici
Riprendiamo sul nostro sito un articolo apparso sul sito Dialogando, il blog di Luigi Alici, e pubblicato il 19/6/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/6/2015)
L'enciclica di papa Francesco è un documento molto ampio e impegnativo, che merita di essere letto più volte in modo attento e cordiale, evitando - come purtroppo sta accadendo anche questa volta - di usarlo unicamente per cercarvi una conferma ai propri pregiudizi.
Provo a condividere solo una prima impressione, a cominciare da un particolare apprezzamento per la felice scelta del titolo: la citazione di Francesco d'Assisi (Laudato si') contiene l'invito ad assumere uno «sguardo diverso» (111) sul creato, centrato sugli atteggiamenti positivi dello stupore e della lode, della gratitudine e della gratuità: «Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (12). Il sottotitolo contiene quindi alcune parole-chiave per la comprensione del testo: il riconoscimento della «casa comune», che «è anche come una sorella, con la quale condividiamo l'esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (1), si collega all'idea di «una cura generosa e piena di tenerezza» (222).
«Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli» (53): questo giudizio severo costituisce la premessa fondamentale del testo; bisogna ammettere che siamo di fronte a una sfida epocale, che non è lecito ignorare o minimizzare. Questo punto di partenza spiega anche la natura in certo senso anomala dell'enciclica, che non si rivolge soltanto al mondo cattolico e agli "uomini di buona volontà" (secondo la formula di papa Giovanni), ma «a ogni persona che abita questo pianeta» (3).
Dinanzi alla gravità di questa sfida, papa Francesco non esita ad «assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» per «dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue» (15). Quest'approccio collega il dato della gravità a un principio di fondo, che può considerarsi - a mio avviso - la chiave interpretativa dell'intera enciclica: «Tutto è connesso» (117, 138). Sviluppando a un livello diverso l'idea di ecosistema, tale tema ricorre continuamente, anzitutto per collegare in modo esplicito e insistito l'approccio ecologico e quello sociale (49,93,139); quindi per motivare l'appello a una «solidarietà universale» (14), evocando temi particolarmente cari a san Giovanni Paolo II (molto citato): «L'interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (164). Per il cristiano tale appello si traduce nell'invito a riscoprire il dinamismo trinitario della creazione: «Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità» (240).
C'è dunque una solidarietà nel bene e nel male; rispetto a quella, stupenda e magnifica, che scaturisce dal disegno della creazione, il nostro tempo ce ne offre una controfigura inquietante: «quello che sta accadendo alla nostra casa» intreccia insieme deterioramento della qualità della vita e degradazione sociale; esiste infatti un'«intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta». Il primo capitolo ne offre una panoramica ampia e informata. Dinanzi a questi scenari «nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa» (63).
Nel secondo capitolo tali dinamiche sono rilette alla luce della fede e se ne ricava un insegnamento fondamentale: «la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall'amore che ci convoca ad una comunione universale» (76). Proprio in nome di una vera comunione universale, si guarda al messaggio francescano che proclama l'armonia di tutto il creato: «Suolo, acque, montagne, tutto è carezza di Dio» (84). La conseguenza è immediata e vincolante: «L'ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l'umanità e responsabilità di tutti» (95).
Non è possibile, dunque, ignorare «la radice umana della crisi ecologica» (terzo capitolo): fare i conti a viso aperto con «la globalizzazione del paradigma tecnocratico» significa misurarsi con la crisi dell'antropocentrismo moderno, e in modo particolare con la tentazione del relativismo pratico, quindi riconoscere la necessità di difendere il lavoro, e interrogarsi intorno al rapporto tra ricerca biologica e implicazioni etiche.
Per guardare oltre la crisi abbiamo bisogno, secondo papa Francesco, di «un'ecologia integrale» (quarto capitolo), che possa fare sintesi fra tutte le sue dimensioni (ambientale, economica, sociale, culturale…), senza dimenticare la vita quotidiana e mettendo al primo posto «il principio del bene comune» e della «giustizia tra le generazioni».
Il quinto capitolo, che suggerisce «alcune linee di orientamento e di azione», fa il punto della situazione in merito al dialogo sull'ambiente, a livello di politiche internazionali, nazionali e locali, invocando altresì un dialogo tra politica ed economia e quindi tra scienze e religioni.
L'ultimo capitolo («Educazione e spiritualità ecologica») invoca infine una vera e propria «conversione ecologica», aprendo la fede cristiana alla prospettiva di un'alleanza tra umanità e ambiente, e quindi di un'autentica «fraternità universale» (228). L'idea di base si può riassumere così: «L'ideale non è solo passare dall'esteriorità all'interiorità per scoprire l'azione di Dio nell'anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le cose, come insegnava san Bonaventura» (233).
A una prima lettura, tre aspetti in particolare rendono questa enciclica, a mio giudizio, meritevole di profonda attenzione:
a) l'organicità della tesi di fondo: rispetto al dibattito attuale sui temi ecologici, da anni bloccato tra una difesa a oltranza dell'antropocentrismo (e quindi della tecnologia) e un estremismo biocentrico (quasi sempre anti-tecnologico), papa Francesco afferma con forza: «Non c'è ecologia senza un'adeguata antropologia» (118). L'unitarietà dell'approccio integra il piano scientifico, filosofico, sociale e ultimamente mistico: «Infatti non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi» (216). Per questo motivo, fra l'altro, «non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell'aborto» (120). Da questo punto di vista, divinizzazione della terra e mito del progresso illimitato sono due facce della medesima medaglia; com'è possibile combattere la violenza contro l'ambiente e chiudere gli occhi sulla violenza dell'uomo contro l'uomo?
b) il radicalismo della proposta: papa Francesco non esita a levare alta la sua voce contro ogni tentativo di insabbiare o dissimulare il problema. «Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro» (194). Questo radicalismo sfida in modo aperto e politically incorrect gli stereotipi culturali, le abitudini di consumo individuale, le disattenzioni evasive della religione, il potere pervasivo della finanza e della tecnocrazia. Lo stesso appello a rallentare i consumi e ad «accettare una certa decrescita» (193)
s'inquadra in un principio radicale e semplicissimo, di cui siamo invitati a scoprire le potenzialità straordinarie: «meno è di più» (222);
c) la coerenza del metodo: in un testo come questo, che affronta questioni complesse, in larga misura dipendenti da informazioni empiriche, papa Francesco scrive un'enciclica in un certo senso anomala: per un verso, pienamente inserita nella tradizione cristiana (come documentano le citazioni, da san Tommaso a san Bonaventura, oltre a san Francesco) e molto attenta al magistero dei pontefici che lo hanno preceduto, oltre che a vari documenti - molto belli - di episcopati nazionali (assente la Conferenza episcopale italiana, come in EG); per altro verso, il papa si mette umilmente in ascolto della scienza senza esserne schiavo, nomina filosofi contemporanei (come Ricoeur e più volte Guardini), si mostra consapevole della posta in gioco, accettando di affidarci un testo composito, ampio e impegnativo, dal quale non era possibile attenderci l'afflato unitario e intimamente "bergogliano" di Evangelium vitae. Grazie a questo metodo, viene messo in pratica concretamente un dialogo esemplare tra fede e ragione, arrivando persino a proporre due splendide preghiere finali, con due destinazioni diverse.
Ne risulta un approccio profetico e di grande realismo; dominato dalla speranza, preoccupato continuamente di censire e valorizzare esperienze esemplari e alternative - soprattutto nel micro - che meritano di essere incoraggiate, ma consapevole che abbiamo bisogno di un nuovo sguardo e di nuova sintesi, che interpella tutti noi, nessuno escluso, a fare un passo in avanti: «L'autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa» (112).