Dante, o della memoria appassionata, della prof.ssa Lina Bolzoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /11 /2009 - 15:24 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo on-line la trascrizione della conferenza tenuta dalla prof.ssa Lina Bolzoni, docente di Letteratura italiana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, il 12 dicembre 2008 presso la parrocchia di S. Melania. L’incontro faceva parte del ciclo “Perché leggere i classici?”, organizzato dall’Associazione Guido Sacchi-Il piacere d’imparare (per informazioni sull’Associazione vedi il sito Il piacere d’imparare).
Il testo è stato trascritto dalla viva voce dell’autore e conserva, pertanto, i tratti tipici di una relazione orale. Sono stati omessi dal testo ufficiale presente sul sito dell’Associazione alcuni passaggi non comprensibili a chi non fosse stato presente all’incontro e sono state apportate alcune correzioni al testo per rendere più scorrevole il passaggio dal parlato allo scritto. Alcune delle immagini a cui il testo fa riferimento sono pubblicate in L. Bolzoni. La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Einaudi, Torino, 2002.
I titoli ed i neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line del testo. Per ulteriori testi del ciclo Perché leggere i classici?, vedi su questo stesso sito la sezione Letteratura ed, in particolare,

Su Dante, vedi su questo stesso sito:


Il Centro culturale Gli scritti (30/10/2009)

Danilo Sacchi, presidente dall’Associazione Guido Sacchi-Il piacere d’imparare
Stasera permettetemi un momento di commozione perché la prof.ssa Bolzoni, non è solo un’autorevole figura di livello internazionale nel mondo accademico, ma soprattutto è stata la prof.ssa di Guido, la sua referente. Con lei Guido ha discusso la tesi e lei gli è stata molto vicina, anche
in momenti per lui difficili. L’ha sempre guidato e incoraggiato e Guido aveva un grandissimo rispetto, anche se qualche volta dissentiva sul piano degli studi. Voglio ricordare questo: la nostra associazione è nata anche per il generoso appoggio e l’affetto della prof.ssa, perché quando
siamo andati a Pisa a chiederle consiglio, subito ci ha incoraggiato. L’affetto nei nostri confronti è dimostrato dal suo essere qui stasera, nell’aver trovato il tempo nel suo vai e vieni tra Pisa, New York, Londra, Parigi. Per questo voglio precisare che stasera, almeno per me, non è uno dei tanti incontri fatti, che pure sono stati importanti. Quindi, a nome di tutti noi, la ringrazio di essere qui.

Prof.ssa Lina Bolzoni
[...] Volevo dire che anch’io sono un po’ emozionata per essere qui con voi stasera. Vi ringrazio di essere venuti ed ho pensato che, in qualche modo, la mia presenza qui mi permette di continuare un dialogo con Guido che è stato uno di quegli studenti che mi hanno insegnato molto, mi ha dato anche una nuova fiducia nel mio mestiere. Il fatto stesso che lui venisse qui a parlare dei classici, a parlare di letteratura, è un segno che la cultura ha un senso e che ha senso il lavoro che anche io faccio.

E ho pensato che poteva essere bene parlare di questo tema, di “Dante, o della memoria appassionata”, perché sicuramente Guido era uno che aveva una grande passione per la letteratura e Dante era uno dei suoi autori. [...].

Il discorso che io volevo provare a farvi stasera è un po’ più di carattere generale. E innanzitutto vorrei partire proprio dal tema della “memoria”, cioè dallo statuto della memoria. C’è una battuta molto significativa di Paolo Rossi, che è un filosofo che si è molto occupato di queste questioni:
Molte cose abbiamo dimenticato della memoria”.

Noi viviamo cioè in un’epoca in cui abbiamo una serie di strumenti, come il computer, che ci permettono di conservare i nostri ricordi e quindi facciamo fatica anche solo ad immaginare un mondo in cui invece ricordare è assolutamente essenziale.

Pensate ad un mondo in cui non esistono libri stampati, in cui esistono solo manoscritti, o prima ancora, quando non esiste ancora la scrittura: ricordare è essenziale. Non solo, ma in un mondo come quello di Dante, la memoria ha un ruolo, un’importanza che per noi è veramente difficile anche solo immaginare. E perché questo? Perché la memoria innanzitutto si lega alla poesia, perché la poesia ha un ritmo che facilita il ricordo.

Non solo, ma la memoria crea delle immagini, basta pensare al brano della Divina Commedia che è stato appena recitato, quello di Paolo e Francesca. La memoria crea delle immagini che hanno la capacità di imprimersi nella mente. La mente, secondo la teoria di S. Agostino, è fatta sostanzialmente di tre facoltà: cioè dell’intelletto, della volontà e della memoria.

Quindi le immagini si imprimono nella mente, ci aiutano a conoscere, perché si imprimono nell’intelletto, si imprimono nella memoria, si imprimono nella volontà, nel senso che, secondo il pensiero medievale ci deve essere un legame tra ciò che conosciamo e l’etica, tra ciò che conosciamo e il modo in cui ci comportiamo.

Questo è un primo punto da cui volevo partire: cioè quando noi parliamo di memoria per Dante dobbiamo pensare che anche se usiamo la stessa parola, il significato è profondamente diverso. Oggi non si considera una gran qualità avere molta memoria, perché non ne abbiamo più bisogno, ma non era così nel Medio Evo. Non solo, ma abbiamo una serie di testimonianze sul fatto che Dante era dotato di una memoria straordinaria: Boccaccio, nella sua vita di Dante, sottolinea questo aspetto.

E nello stesso tempo è interessante vedere come questa dote della memoria non sia soltanto una dote del personaggio Dante, ma anche una dote del suo testo. C’è un grande studioso di cui probabilmente Guido vi avrà già parlato, Gianfranco Contini, il quale ha notato come in questo
poema immenso (migliaia e migliaia di versi, quindi pensate anche a quest’uomo in esilio che doveva padroneggiare quest’immenso poema) noi troviamo a distanza anche di migliaia di versi, non solo le stesse rime, ma a volte gli stessi ritmi, la stessa sequenza di parole. Quindi c’è una
specie di memoria interna alla Divina Commedia, una specie di rete che tiene insieme questo enorme testo.

Non solo, ma pensate al fatto che ci sono frasi della Divina Commedia che anche oggi sono rimaste nella nostra memoria collettiva, come “la bocca sollevò dal fiero pasto”, oppure “non ti curar di lor, ma guarda e passa”, ecc.

Questo è anche molto interessante: anche oggi in cui siamo così lontani dalla poesia delle origini possiamo vedere quale sia la forza di penetrazione di questo poema, di questo poema per tanti aspetti difficile che però fin dall’inizio, come ci dicono le novelle, entra nella memoria popolare. Entra nella memoria popolare e suggerisce delle frasi fatte, suggerisce dei proverbi, fornisce quasi un aiuto per affrontare i diversi problemi della vita. È, cioè, poesia altissima, colta, che però ha questa dote, forse unica nella nostra tradizione letteraria, di parlare a persone di tutti i livelli sociali e anche di vivere nel linguaggio, di vivere nella memoria collettiva.

Dante era persona, ci dice Boccaccio, dotata di memoria straordinaria ed è anche autore di un poema immenso in cui alcune soluzioni formali possono tornare a distanza anche di migliaia di versi, quasi a tenere insieme il poema, a renderlo memorabile. E ne abbiamo visto la capacità di penetrare nel linguaggio di tutti i giorni, attraverso delle sentenze, delle massime.

Poi c’è un’altra cosa che volevo ricordare a introduzione di questa lettura che vi propongo di Dante: se noi pensiamo al Medio Evo, ma se pensiamo anche ai periodi prima del Medio Evo, al mondo classico, addirittura più indietro al tempo in cui non si conosceva ancora la scrittura,
comprendiamo che la memoria è talmente importante che gli uomini si dotano ben presto di tecniche per ricordare.

Esiste una tradizione di “arte della memoria”, cioè di arte che non solo insegna a ricordare, ma insegna anche a ricordare che cosa e come? Nel mondo classico l’arte della memoria serve soprattutto all’oratore, a chi deve parlare in pubblico, quindi a qualcuno che deve ricordare un discorso da fare.

Ma la cosa interessante è vedere cosa succede quando queste tecniche della memoria passano al mondo cristiano, quando passano dal mondo classico al mondo cristiano. Queste tecniche - lo vedremo bene in Dante - assumono un significato nuovo: ad esempio S. Tommaso afferma che per ricordare cose invisibili si devono usare delle immagini sensibili, così come succede nel Vangelo, dove si raccontano delle parabole. Quindi l’idea è che io posso travestire le cose difficili e astruse da ricordare con delle immagini che mi aiutano a ricordarle.

Inoltre: la sapienza, la prudenza da che cosa nascono? E qui faccio vedere una prima immagine: vedete questo è un famoso quadro di Tiziano che ci rappresenta bene l’idea della funzione della memoria. Vedete che nella parte alta abbiamo tre facce che corrispondono a tre momenti della vita: la giovinezza, l’età matura e la vecchiaia e sotto abbiamo tre animali che corrispondono a queste tre diverse fasi della vita.

Tiziano, Le tre età (Londra, National Gallery)

Allora qual è l’idea? L’idea è che il giovane guarda verso il futuro, l’uomo di età media guarda verso il presente, il vecchio guarda verso il passato. La prudenza, la sapienza da cosa nascono? Nascono appunto dalla capacità di combinare insieme queste tre facce del tempo, nascono dalla capacità di ricordare il passato, traendo degli insegnamenti, di guardare in faccia il presente e quindi anche di saper prevedere in qualche modo il futuro, di sapersi dare delle regole per il futuro.

Voi capite che la memoria in questa ottica ha una grande importanza, fa parte della sapienza. La capacita di ricordare il passato è, cioè, assolutamente essenziale per potersi muovere nel presente, per poter avere un giusto atteggiamento per il futuro. Questo è un insegnamento che viene dal mondo classico, che viene, ad esempio, da Cicerone.

Ma nel momento in cui questa tradizione passa al cristianesimo è chiaro che la memoria acquista anche un significato nuovo, un significato religioso, perché come sapete il cristianesimo è una delle religioni del ricordo: ricordare la vita di Cristo, anche attraverso la liturgia, ricordare le verità essenziali della fede, ricordare i propri peccati, e anche “ricordare il futuro”, cioè pensare alla vita dell’al di là, tutto questo è assolutamente essenziale per la salvezza o per la perdizione.

Quindi la memoria così come arriva a Dante è una memoria imbevuta di tradizione classica, è la memoria appunto che Tiziano ci ha rappresentato in questo quadro molto enigmatico, ma allo stesso tempo è la memoria cristiana, è la memoria che gioca un ruolo essenziale per la salvezza.

Ma che tipo di memoria agisce nella Divina Commedia? Possiamo dire che la Divina Commedia è anche un grande sistema di classificazione dei vizi e delle virtù. In che senso? Nel senso che Dante, come sapete, nell’Inferno incontra via via i vari peccatori ed il loro peccati sono distribuiti nei vari gironi dell’Inferno, così come poi nel Purgatorio i vari peccati da scontare sono distribuiti nelle varie cornici e le virtù che vengono premiate sono collocate nei vari cerchi del Paradiso.

Domenico di Michelino, Dante, Firenze ed i tre regni della Divina Commedia (Basilica di Santa Maria del Fiore, Firenze)

Ho visto che avete messo un’illustrazione di questo genere nel libretto che avete preparato: tuttora noi abbiamo presente questo, cioè abbiamo presente che la Divina Commedia è molto strutturata: i vari luoghi del poema, il percorso che Dante fa, il viaggio straordinario di cui Dante ci parla è un viaggio che ha tutte le sue tappe, queste tappe sono molto precise, come vediamo in questo bellissimo disegno di Botticelli con Beatrice che indica i cieli.

Botticelli, Beatrice indica a Dante il Paradiso

In ciascuno di questi luoghi Dante incontra dei personaggi che gli raccontano la loro storia, dei personaggi che sono carichi di passione. [...] Paolo e Francesca sono loro, la loro storia, ma nello stesso tempo ci aiutano a capire, a ricordare i limiti dell’amore fisico, i limiti dell’amore-passione, i limiti dell’amore che non sa farsi regolare dalla ragione.

Questa è un’altra bellissima illustrazione di un’edizione cinquecentesca, dove appunto vediamo i vari gironi dell’Inferno e poi come Lucifero è piantato nel centro della Terra.

Qui invece volevo iniziare a mostrarvi alcune miniature del Medio Evo che ci aiutano a capire che già prima di Dante - questa ad esempio è una miniatura di metà duecento- c’era una tradizione che aiutava a classificare i vizi e le virtù, naturalmente in modo meno complesso, meno raffinato di quello utilizzato da Dante.

Qui vedete un cavaliere che rappresenta il cristiano, armato delle virtù, il quale ha sopra di sé un angelo che regge le beatitudini del Discorso della Montagna e dalla parte del cavaliere ci sono sette colombe che sono i doni dello Spirito Santo.

Dall’altra parte stanno questi diavoli che sono i sette peccati capitali e da ognuno di essi vediamo che nascono una serie di diavoli minori. Questa miniatura sta in un manoscritto di metà duecento e faceva parte di un manuale per predicatori. Vedete come c’è una classificazione dei vizi, delle virtù; è una specie di sistema di memoria di grossi libri in cui si spiegano quali sono i vizi principali, come si combattono e così via.

Questa è una miniatura che è ora custodita a Firenze, nella Biblioteca Laurenziana; vedete che abbiamo da un lato l’albero della virtù che nasce dall’umiltà e dall’altro l’albero dei vizi che nasce dalla superbia e vedete che i frutti dell’albero delle virtù vanno verso il cielo, mentre invece i frutti dell’albero dei vizi scendono in basso, verso la Terra.

Vi faccio vedere qualche altro esempio e poi torniamo a Dante: ecco questo è un altro esempio di albero delle virtù che nasce dall’umiltà, e alla base dell’albero c’è la scena dell’Annunciazione che evidentemente è un esempio di umiltà. Quindi già in questa tradizione abbiamo non solo tutto il sistema dei vizi e delle virtù, ma cominciano ad apparire anche delle immagini, per esempio qui l’immagine della Vergine, che aiutano a ricordare l’essenza della virtù, ad esempio in questo caso dell’umiltà.

Questa invece è la Torre della Sapienza ed ha uno schema che aiuta ad indicare un percorso interiore, di edificazione. Ancor oggi noi parliamo di edificazione, ma abbiamo dimenticato che edificazione viene appunto da edificio, perché c’è una vecchia tradizione che dice che tu devi edificare, ad esempio nella tua anima, appunto la Torre della Sapienza; la Torre della Sapienza si regge su quattro colonne, che sono le quattro virtù cardinali; poi c’è una scala a cui si ascende, che rappresenta le varie tappe della purificazione e poi vedete mattone per mattone ci sono delle scritte con dei precetti morali.

Qui vediamo un altro esempio di Torre della Sapienza e vedete che anche qui abbiamo gli schemi e in alto cominciamo a vedere dei personaggi, proprio come capita nella Divina Commedia, dove non solo abbiamo il Girone dei Lussuriosi, ma abbiamo dei personaggi che ci aiutano a ricordare quel vizio o quella virtù.

Questo è un altro esempio molto bello di Torre della Sapienza che ancora più di quello che abbiamo visto prima comincia a riempirsi di personaggi, di storie.

Questo è il Lignum vitae, il legno della vita, che è una guida per la meditazione dei vari momenti della Passione di Cristo: come nella Torre della Sapienza si sale a poco a poco, si sale dalla scala, si sale attraverso i vari piani della Torre della Sapienza, così questa è una specie di Via Crucis ante litteram: attraverso i vari rami dell’albero noi possiamo ricordare i vari momenti della Passione di Cristo.

E qui veniamo a Dante. Vi ho mostrato che già prima della Divina Commedia c’è una tradizione non solo di parole ma anche di immagini, di immagini che aiutavano appunto a ricordare i vizi, le virtù e anche a seguire un percorso interiore di edificazione, di conversione.

Dante fa dire a Cangrande (Dante, Divina Commedia, Paradiso, XVII, vv. 136-142):

Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l'anime che son di fama note,
che l'animo di quel ch'ode, non posa
né ferma fede per essempro ch'aia
la sua radice incognita e ascosa,
né per altro argomento che non paia.


Dante nel Paradiso - quindi verso la fine del suo percorso - ci dice che le anime che ha via via incontrato sono anime note (l’esempio più straordinario naturalmente è quello di Paolo e Francesca). Sono cioè delle anime che sono in grado di attirare la nostra attenzione, di attirare la
nostra memoria
. Quindi in Dante è molto chiara questa dimensione: il testo che lui ci presenta è un testo che noi dobbiamo ricordare.

Continuiamo a interrogare la Divina Commedia in questa ottica, di costruzione della memoria. Quali erano le regole fondamentali delle tecniche della memoria? Sono regole che tuttora si usano per ricordare: a volte ci sono dei corsi che insegnano a rafforzare la memoria. La cosa interessante è vedere come tutt’oggi le tecniche che si usano sono sempre quelle dell’antichità.

Ci vuole l’ordo, cioè l’ordine, la disposizione. Perché è chiaro che se io devo ricordare delle cose disordinate che non hanno nessun legame fra di loro, non riesco a ricordarle; se invece stabilisco un ordine riesco meglio a ricordarle.

Poi ci vogliono i loci, cioè i luoghi: l’idea è che io mi posso costruire nella mente un percorso di luoghi, ad esempio attraverso un edificio - abbiamo visto prima la Torre della Sapienza, oppure l’albero della vita. Quindi ci vogliono dei luoghi in cui io colloco quelle che loro chiamavano le imagines agentes, le immagini della memoria. In questi luoghi io colloco delle immagini che mi aiutano a ricordare. E vediamo come in Dante troviamo tutti questi elementi.

Primo punto, l’ordine. Abbiamo visto prima tutti gli schemi: certo che c’è un ordine nella Divina Commedia, c’è un ordine molto preciso che di volta in volta viene spiegato. Ad esempio subito all’inizio dell’Inferno troviamo punito l’amore che non ha saputo regolarsi, quindi c’è un ordine molto preciso, questo ordine nell’Inferno resterà tale per l’eternità, ma non è lo stesso nel Purgatorio.

Botticelli, L'Inferno

Le anime, come Dante le incontra, sono nella cornice che le caratterizza di più. Dante, ad esempio, dice: “io so che sarò punito per la mia superbia e quindi starò soprattutto nella cornice dei superbi, ma poi sarò punito anche per altri peccati in altre cornici”. Quindi lo spettacolo nel Purgatorio è uno spettacolo che sceglie di collocare le anime nella cornice che più le caratterizza, che le rende appunto più memorabili.

Diversa ancora è la situazione nel Paradiso in cui appunto come vedete da questi versi, Beatrice spiega che in realtà le anime non sono collocate nei diversi cieli, ma si mostrano a Dante collocate in diversi cieli, perché l’ingegno umano è debole. Quindi Dante, per capire la diversità della gioia che le anime del Paradiso godono in base a diverse virtù, le vede nel cielo della Luna, nel cielo di Mercurio e così via. Quindi è come se Dio fosse un grande regista, è come se Dio creasse per Dante questo spettacolo, questo spettacolo che viene incontro a che cosa? Al bisogno che Dante ha di capire e naturalmente anche di ricordare il percorso che sta facendo.

Quindi abbiamo visto che la Divina Commedia usa tutti gli strumenti dell’arte della memoria: è costruita in un modo tale da farsi ricordare, da farci ricordare appunto il percorso che il pellegrino segue.

Ma per farci ricordare come? E qui veniamo al punto veramente centrale della Divina Commedia: non so se ricordate ma nella cornice del Purgatorio dove vengono puniti i superbi Dante dice che Dio ha realizzato il “visibile parlare, cioè ha realizzato delle sculture così straordinarie che sembrano parlare e a lui sembra di sentire il rumore, a lui sembra di sentire l’incenso, fino ad una specie di spettacolo che lo prende, che prende i suoi sensi.

Ecco la Divina Commedia in realtà è “visibile parlare”. Uno dei motivi del fascino della Divina Commedia è proprio questa capacità di imprimere le immagini dei suoi personaggi nella nostra memoria; ma come funziona questo, come funzionano queste immagini memorabili?

Queste immagini memorabili funzionano soprattutto attraverso la tecnica del contrappasso. Vi faccio subito un esempio: uno dei personaggi più terribili dell’Inferno è Bertrand de Born che va in giro tenendo la sua testa in mano e proprio lui dice (Inferno, XXVIII, v. 142):

così s’ osserva in me lo contrapasso

cioè vedi in me la legge per cui ogni peccato è punito in modo adeguato alla sua natura.

Bertrand de Born è punito perché ha spinto il figlio a ribellarsi al padre, re d’Inghilterra. C’è qui la concezione per cui lo Stato è come un corpo, quindi spingere il figlio a ribellarsi al padre è come lacerare questo corpo, è come separare appunto la testa dal corpo. Voi capite che queste idee sono molto astratte - lo Stato è come un corpo, spingere il figlio a ribellarsi al padre re è come decapitarlo - tutto ciò è molto astratto e invece vediamo questo personaggio Bertrand de Born che è punito perché ha lacerato il corpo dello Stato, ha separato la testa dal corpo e allora regge in mano, come un terribile fantasma, la propria testa, reggendola per i capelli.

Cosa vuol dire? Vuol dire che questa immagine terribile ce la ricordiamo; ma perché ce la ricordiamo? Certo perché è orribile, ma anche perché ci fa capire il contrappasso, cioè ci mette sotto gli occhi la natura di quel peccato.

Così avviene nel caso di Paolo e Francesca: Paolo e Francesca sono stati travolti dalla passione; anche oggi diciamo “il vento della passione” e lì c’è un vento davvero, c’è la bufera infernale. Quindi vedete è bellissima l’operazione che fa Dante: egli veramente sa dare corpo alle idee più astratte e quindi ci fa vedere quello che non è visibile, dà forma a ciò che forma non ha e ci aiuta in questo modo a ricordare la natura del peccato.

D’altra parte abbiamo visto che il percorso che Dante fa non è un percorso qualsiasi, è il percorso attraverso il quale si gioca la salvezza, sua, ma anche di tutta l’umanità.

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura: ci racconta la sua vicenda ma ci invita a rispecchiarci in quella sua vicenda.

Quindi il cammino che Dante ci propone, il viaggio che lui ci propone non è un viaggio qualsiasi: è un viaggio che deve produrre in noi una trasformazione morale. Vi ricordate: parlavamo prima dell’idea di S. Agostino per cui volontà, intelletto, memoria devono essere profondamente legati; una modificazione nella conoscenza deve portare anche una trasformazione della volontà.

E allora diventa importante capire la funzione che la memoria ha in tutto questo. C’è un passo molto bello in cui Dante parla di “puntura della rimembranza” (Purgatorio, XII, v. 20), cioè il ricordare come qualcosa che ci punge. Non è qualcosa di astratto: il ricordare, in Dante, è qualcosa che ci prende nel profondo. Questa è la ragione appunto del titolo che ho messo a questo incontro. In Dante, la memoria è veramente “appassionata”.

In che senso la memoria è appassionata? Non solo nel senso indicato dalla voce di Francesca: “tu vuoi che io rinnovi un disperato dolore, non c’è niente di peggio che ricordare momenti di gioia quando si è infelici”. Non solo in quel senso bellissimo, molto profondo, molto vero, ma in un senso più ampio.

Cominciamo ad esempio dall’inizio del poema (Inferno, I, vv. 1-6):

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura;
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!


Vedete comincia col passato perché il passato è il momento del racconto, il momento in cui Dante racconta quello che ha visto: “mi ritrovai”, “era”. Però quando parla del ricordo il tempo diventa presente “che nel pensier rinova la paura”.

Potremmo vedere molti altri esempi simili. Vi ricorderò solo Casella all’inizio del Purgatorio (II, vv. 112-114):

‘Amor che nella mente mi ragiona’
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.


Cominciò”… “che la dolcezza ancor dentro mi suona”. La scrittura di Dante, la poesia di Dante, si muove tra questi due poli: il polo del ricordo e il polo del presente. Il polo del ricordo che è quello in cui il poeta pellegrino racconta il suo viaggio e poi il presente dello scrittore, il presente del poeta. Però vedete già da questi due esempi che vi ho dato come proprio la memoria, la qualità appassionata della memoria lega i due momenti, "che nel pensier rinnova la paura", "che la dolcezza ancor dentro mi suona".

Giustamente la critica ha sottolineato che nella Divina Commedia esiste il problema di chi dice “io”. L’io è nello stesso tempo l’io del pellegrino che è passato attraverso i vari luoghi dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso e poi è l’io del poeta.

Io credo proprio che questo gioco tra passato e presente è tenuto insieme dalla memoria, ma dalla memoria appassionata, cioè dalla memoria che trascina con sé la passione, come la paura, oppure la dolcezza o l’amore nel caso di Francesca.

Ecco, volevo poi farvi vedere come Dante lavora su questi due aspetti. Abbiamo detto prima del contrappasso, con l’esempio di Bertrand de Born che va in giro con la sua testa in mano; il contrappasso ci aiuta a capire la natura del peccato e a ricordarla. Dall’altro lato abbiamo detto che la memoria appassionata unisce il passato col presente e fa prolungare nel testo appunto la passione.

Vediamo come questi due aspetti si intrecciano. Leggiamo questi versi (Inferno, XXXII. vv. 70-72):

Poscia vid’io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
e verrà sempre, de’ gelati guazzi.


Questi versi sono tratti da uno degli ultimi canti dell’Inferno dove, nella Caina, sono immersi nel ghiaccio i traditori dei parenti.. Anche qui funziona il contrappasso perché chi ha tradito, uccidendo i propri fratelli, i propri parenti, voleva dire che era qualcuno insensibile al caldo dell’amore.

Vedete come appunto il contrappasso prende alla lettera la metafora, per cui il ghiaccio del cuore diventa il gelo in cui questi peccatori sono confitti. E cosa fa qui Dante? Dice “poscia vid’io”, nel passato - ricordiamo questo gioco fra passato e presente – “io vidi mille visi divenuti cagnazzi”, un’espressione fortissima, “pallidi”, “terribili per il freddo” e poi passa al presente per cui “mi viene ribrezzo e sempre verrà dei gelati guazzi”.

Non solo c’è questo gioco fra passato e presente, ma interviene anche il futuro: ogni volta che sulla terra io vedo dei gelati guazzi, cioè delle superfici d’acqua ghiacciate mi ricordo di questi che hanno ucciso i loro parenti e che sono confitti nel ghiaccio.

Ma per dire questo dice una cosa molto sensibile: non dice semplicemente “mi ricordo”, ma dice "sento il freddo", "sento dentro di me il freddo". In altri termini la memoria non solo è carica di passione, ma è una memoria che si imprime nel corpo. Quindi è una memoria che prende alla lettera le metafore e che si traduce in una sensazione fisica: io ho provato ribrezzo, mi sono sentito agghiacciare quando ho visto questi peccatori puniti in quel modo e adesso che son tornato sulla terra, ogni volta che vedo dell’acqua ghiacciata, sento ribrezzo.

Vedete è una catena che lui crea. E perché fa questo? Perché pensa a noi lettori: noi dobbiamo fare così, noi dobbiamo rispecchiarci in Dante. Quindi il poeta cerca di creare una catena di memoria, di memoria del peccato ed anche una memoria che per essere efficace si imprima nel corpo. In questo caso con questa sensazione di terribile freddo.

Volevo farvi vedere un altro esempio di questa dimensione: ho già ricordato prima che quando Dante vede i superbi nel Purgatorio si sente coinvolto perché a sua volta si sentiva partecipe di quella colpa di superbia; ricordate che i superbi camminano chinati sotto dei macigni terribili,
tanto è vero che Virgilio dice “disviticchia col viso quel che vien sotto a quei sassi” (Purgatorio, X, vv. 117-118), cioè cerca di tirar fuori la forma, perché non si riesce nemmeno a vedere la figura umana.

E Dante per un bel po’ cammina anche lui tutto piegato (Purgatorio XII, vv. 1-9):

Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m’andava io con quell’anima carca.


Cioè anch’io stavo tutto chinato come l’anima di questo peccatore caricato del macigno,

fin che, ’ l sofferse il dolce pedagogo - cioè fino a che Virgilio me lo permise.

Ma quando disse: “Lascia lui, e varca,
ché qui è buono con l’ali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca”,-
dritto sì come andar vuolsi, rife’mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.


Dante iscrive anche nel proprio corpo la punizione dei superbi; anche lui si china, fino a che Virgilio gli dice di alzarsi. Solo allora ubbidisce. Dice: “mi rifeci dritto col corpo, con la persona, ma i miei pensieri rimasero e chinati e scemi”.

Questo è il modo in cui Botticelli ha illustrato questo episodio: con l’intuito degli artisti ha saputo cogliere questa dimensione, perché ha rappresentato l’incontro di Virgilio e Dante con il superbo che è tutto chinato, sotto il peso, presentando sia Dante che Virgilio che cominciano a chinarsi per parlare con lui. Ed alla fine Dante che si è tutto chinato. Vedete che è proprio un percorso anche fisico. Cosa vuol dire che Dante è tutto chinato? Vuol dire che Dante imprime in sé la punizione del peccato: è una memoria che si imprime nel corpo.

Che cosa possiamo dire per cercare di trarre un po’ le conclusioni di questo nostro discorso? che la Divina Commedia è anche una grande opera di memoria dei vizi e delle virtù, che ha alle spalle tutta una tradizione, la tradizione usata dai predicatori, la tradizione dei grandi manuali di etica.

Dante cosa fa? Fa vivere questa tradizione con la sua poesia. Non solo, ma lavora sulla memoria, compie uno straordinario lavoro sulla memoria, in modo tale che il suo poema divenga “memorabile”, cioè che i vari luoghi che percorre, i vari personaggi che incontra, si trasformino in immagini memorabili, in immagini che devono restare in noi, che devono restare nella nostra memoria, addirittura nel nostro corpo, nella nostra reazione fisica.

Ma fin dove arriva questa memoria? Dante alla fine del Paradiso, nel XXXIII canto, davanti alla visione divina dice (Paradiso, XXXIII, vv. 55-57):

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar nostro, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.


Cioè nel momento di incontro col divino viene meno la capacità di dire e la capacità di ricordare; è talmente forte la visione di Dio che essa è un "oltraggio", cioè è troppo forte, è come un’offesa alla debolezza umana. Dante ha costruito tutto il suo percorso al divino attraverso le immagini, però l’incontro col divino fa esplodere queste immagini: è incapace di ricordare, cioè il limite è la memoria, il limite è il dicibile perché è il limite dell’umano. E subito dopo (Paradiso, XXXIII, vv. 61-63):

…quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.


È appunto la traccia ultima, definitiva, della memoria. Dante non ricorda cosa ha visto, non riesco a dire esattamente cosa ha visto: eppure "ancora mi distilla nel core il dolce che nacque da essa". La memoria non riesce più a esprimersi attraverso le immagini, ma gli ha lasciato nel
cuore una dolcezza, una traccia di dolcezza
.

E poi lo stesso concetto nei versi che seguono (Paradiso, XXXIII, vv. 91-93):

La forma universal di questo nodo
Credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’io godo.


È rimasta proprio la memoria appassionata: io credo, dice, di avere visto la forma universale di questo nodo, la forma divina che tiene insieme il mondo, non perché io mi ricordi esattamente, ma perché sento che io godo dicendo questo “più di largo”, ancora di più. Quindi, vedete, prima abbiamo le immagini, la memoria delle immagini, che costituiscono quasi tutto il poema, e poi la traccia che resta nel cuore, la dolcezza, la traccia della passione della memoria che resta nel cuore.

Io credo che, per concludere, possiamo provare ad interrogare questo straordinario poema che è la Divina Commedia anche nell’ottica della memoria: una memoria ben diversa dalla nostra, che forse ci aiuta a capire qualcosa di più di quel mondo di inesauribile ricchezza che è il mondo di Dante.


Domanda
Ancora oggi la Divina Commedia gioca questo ruolo di punto di riferimento per i vizi e le virtù? E quale importanza ha la Divina Commedia nella cultura del resto del mondo?

Prof.ssa Bolzoni
Comincerei dalla fine. Devo dire che stando spesso all’estero ci si rende conto di più di come Dante sia legato all’Italia. L’anno scorso ero ad Oxford ed ho visto una mostra di manoscritti e di libri illustrati di Dante, Petrarca e Boccaccio, alla Bodleian Library. Una mostra bellissima; c’è stata tantissima gente che andava a vederla. Stando lì, mi rendevo conto di una cosa che magari noi, per eccessiva abitudine a volte, oppure anche perché ci diamo l’aria di cinici, non consideriamo: cioè il fatto che tuttora negli altri paesi Dante, Petrarca e Boccaccio, ma soprattutto Dante, è l’Italia. Dante è percepito più di quanto noi immaginiamo come un aspetto di identità, di identità culturale.
La risposta alla sua prima domanda è molto più difficile ma è molto interessante vedere il successo che oggi hanno le letture di Dante, anche se naturalmente non sempre si può essere soddisfatti di come viene interpretato. Però sicuramente è un aspetto di grande vitalità il fatto che si legga Dante e che piaccia a migliaia di persone.
Dal punto di vista dei vizi e delle virtù io credo che forse sarebbe il caso di tornare a Dante per recuperare la dimensione di libertà morale, di libertà di denuncia, per rivendicare il diritto a non abituarsi al male del presente.

Prof.ssa Bolzoni
Voi ragazzi, in che modo lo studiate, forse in un modo un po’ diverso da questo - immagino - o come?

Una ragazza
Sì, la lezione comunque è una spiegazione, una parafrasi del testo.

Prof.ssa Bolzoni
Alcuni miei colleghi dicono che Dante non si può più leggere, che è troppo difficile, che dovrebbe essere tradotto: voi cosa ne pensate?

Una ragazza
I canti che sono più semplici hanno un linguaggio più comprensibile; comunque la parafrasi è utile perché ad un primo impatto non si capisce il significato. Poi andando più avanti, magari leggendo un paio di volte, già riesci ad entrare di più nel significato.

Prof.ssa Bolzoni
Quindi sì alla parafrasi, ma bisogna poi tornare al testo, altrimenti si perde la bellezza.

Domanda
Un dubbio: per certi versi ho inquadrato Dante come un creativo pazzesco, ma poi mi sono trovato spiazzato quando ho visto che compie una schematizzazione estremamente rigorosa. Allora non ho capito più nulla perché il creativo di solito non è così strutturato.

Prof.ssa Bolzoni
Io credo che lei abbia capito benissimo, perché non sono due aspetti in contraddizione. Questo interesse della critica dantesca per le immagini non c’è da moltissimo (ci sono delle ricerche molto belle su come la Divina Commedia viene illustrata): io credo che sia ancora più interessante vedere come Dante è un grande creatore di immagini, perché quando egli afferma che l’arte divina è il visibile parlare, sta parlando di se stesso; è lui in fondo che realizza questa arte divina del visibile parlare.
Oggi c’è tutto questo interesse per le immagini anche in Dante - chiaramente noi viviamo in un mondo dominato dalle immagini. Se noi ci interroghiamo sulla dimensione visionaria di Dante, anche da questo punto di vista veramente ci sorprende.
Nello stesso tempo sono immagini che stanno dentro una struttura ordinatissima. D’altra parte se non ci fosse stata questa struttura così rigorosa, lui non avrebbe potuto neanche tenere insieme questo poema e creare questa infinita ricchezza di immagini, di personaggi, di cose memorabili. Noi abbiamo il libro e per noi è stranissimo pensare che fosse essenziale la memoria. Oggi noi abbiamo il nostro libro, abbiamo la nostra edizione di Dante, la sfogliamo e la guardiamo.
Ma quest’uomo andava in esilio! Ad un certo punto pare che avesse perduto i primi canti dell’Inferno; dobbiamo immaginare una capacità mentale di ricordare che doveva essere straordinaria e che doveva avere una struttura perché altrimenti non avrebbe retto.
Ma la cosa straordinaria è che cerca di crearla in noi lettori. Quindi l’idea di uno spettacolo multimediale al quale tu devi partecipare, è molto moderna ma è anche in fondo fedele all’antico - io credo.
Non so se avete visto un bellissimo documentario fatto da Greenaway - prima che diventasse il regista famoso che è diventato - proprio sull’Inferno, dove usa anche la video arte. Utilizza, per rappresentare l’Inferno, una tecnologia moderna e il risultato è veramente incredibile; anche questa possibilità di reinterpretazioni con tecnologie moderne da parte di un artista creativo, credo che sia un’ulteriore riprova della validità di questo poema.

Domanda
Io volevo un suggerimento per riavvicinarsi a Dante da adulti. Stasera ho avuto proprio la netta sensazione che c’è un momento molto intenso che è il momento della scuola, in cui si ha la possibilità di approfondire, come diceva questa ragazza, chiaramente a seconda della fortuna di avere o meno qualcuno che come lei in maniera appassionata ti trasmette il significato, ti coinvolge. Poi, a meno che non ci sia un percorso professionale che ti fa continuare, lo abbandoni. Penso che tornare a casa e pensare di riprendere la Divina Commedia farebbe spavento a tutti. Come si potrebbe fare?

Prof.ssa Bolzoni
Cominciare dai canti più belli, non cominciare dai primi versi altrimenti uno si spaventa. Per esempio cominciare dal quinto canto, cominciare da un episodio molto famoso, molto bello, ed usare un buon commento. Io credo che si possano anche usare quegli strumenti come le letture di attori che la sanno interpretare. Un po’ alla volta, poi uno si fa prendere. C’è un mio collega inglese, grande studioso di Dante, il quale attualmente lo sa quasi a memoria; però ogni estate va a farsi un trekking in Cornovaglia e si porta in tasca un dantino e via via se lo rilegge - ma qui siamo a livelli un po’ romantici! In Toscana, tra le vecchie generazioni, tanta gente Dante lo sapeva a memoria!

Domanda
Intanto mi colpiva molto il discorso sull’ineffabilità, e poi leggere proprio la Divina Commedia come un serbatoio di memoria del canto poetico e anche poi …. nel Paradiso, quindi questo rapporto di memoria della musica intesa nel senso della poesia ma anche poi alla fine della sua forma più pura che è quella della musica celeste, è un serbatoio anche del canto poetico dall’inizio alla fine e anche dei personaggi di questo canto hanno un po’ ……

Prof.ssa Bolzoni
Assolutamente. Infatti c’è quel passo bellissimo che ricordavo, quando all’inizio del Purgatorio a proposito del canto di Casella, si esalta il fascino della musica, ma nello stesso tempo la musica appare ancora troppo legata alla dimensione terrena. C’è poi una dimensione della musica divina. Il tema dell’armonia, del ritmo, è molto importante proprio dal punto di vista del linguaggio poetico di Dante. Ricordavo all’inizio il lavoro che ha fatto Contini, che poi Beccaria ha ripreso, facendo vedere come a distanza anche di centinaia e centinaia di versi, non solo torna la stessa struttura sintattica, ma a volte torna semplicemente lo stesso ritmo.
Quindi, c’è anche una memoria musicale, non solo nel senso di una ascesa alla musica divina, ma anche proprio nella costruzione: fa parte della rete che tiene insieme il testo questa memoria ritmica, musicale. Il tema della musica è un tema molto ricco nella Commedia.

Domanda
Una domanda un po’ interessata. Che rapporto c’è tra la memoria e l’Eterno in Dante, visto che Dante da credente crede che in Cristo il passato è ancora presente ed il futuro è già presente? Che rapporto c’è tra la memoria e questo eterno presente?

Prof.ssa Bolzoni
Ci sono degli studi molto belli di Auerbach, su questo tema. Auerbach, partendo dall’esegesi biblica, legge il Vecchio Testamento in chiave figurale, come qualcosa che da un lato trova compimento dal Nuovo Testamento, ma a sua volta anche rinvia all’Eterno.
Quindi Auerbach ha quest’idea geniale che ha ispirato molti studi su Dante, dicendo che in fondo Dante nel suo poema cerca di costruire qualcosa di simile alla Bibbia, così come la Bibbia crea questa tensione figurale per cui si incontrano dei personaggi come Mosé, il passaggio del Mar Rosso, e così via, che sono figure di quello che poi avverrà nel Nuovo Testamento. Ma d’altra parte quello che avviene nel Nuovo Testamento troverà compimento definitivo solo con la fine dei tempi.
Così Dante cerca di giostrare questo rapporto tra il tempo e l’Eterno nel senso che i personaggi che lui incontra sono sì personaggi storici - anzi alcuni personaggi sono a volte noti alle cronache del suo tempo come nel caso di Paolo e Francesca - ma nello stesso tempo hanno in qualche modo in sé una dimensione di eternità perché il modo in cui sono rappresentati, li presenta attraverso il giudizio di Dio su di loro.
Quindi quello che nell’esegesi biblica era un modo di leggere il testo, qui si tramuta in poesia, si tramuta nel modo di giocare tra il caso singolo - l’individuo - e l’eternità. Abbiamo il personaggio singolo, storico, che spesso i lettori di Dante conoscevano, magari ricordavano, e nello stesso tempo
il modo in cui viene rappresentato, il luogo in cui quel personaggio sta, il modo in cui viene punito
o viene invece premiato, proiettano su quel personaggio la dimensione dell’Eterno, perché vi proietta il punto di vista di Dio.

RIPRENDIAMO DAL SITO DELL’ASSOCIAZIONE GUIDO SACCHI-IL PIACERE D’IMPARARE LA SCHEDA DI PRESENTAZIONE DELLA PROF.SSA LINA BOLZONI
Normalista, dal 1997 è docente di Letteratura italiana presso la Scuola Normale Superiore; dal 1998 al 2001 è stata Preside della Classe di Lettere e Filosofia. Ha insegnato all'università di Pisa, dove ha anche diretto l'Istituto di Letteratura italiana e il Dipartimento di Studi italianistici, è stata visiting professor in varie università fra cui Harvard, UCLA, New York University, il Collège de France; è stata visiting scholar al Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles (California) e al Christ Church College di Oxford. In Normale ha fondato e dirige il “Centro di Elaborazione informatica di testi e immagini nella Tradizione Letteraria"; dal 2008 è Presidente del Centro Edizioni. Nel 1989 ha curato la sezione introduttiva della mostra La fabbrica del pensiero. Dall'arte della memoria alle neuroscienze (Firenze, Forte Belvedere; 1990 Parigi, Cité des Sciences et de l'Industrie). La sua attività di ricerca ha riguardato i rapporti fra letteratura e filosofia fra Cinque e Seicento (con studi su Tommaso Campanella, Francesco Patrizi da Cherso e sulla letteratura utopica); l'oratoria sacra e profana; il poema cavalleresco; l'arte della memoria e i suoi rapporti con le pratiche letterarie e figurative; il ritratto nella tradizione lirica. Fra i suoi libri, si segnalano La stanza della memoria (Torino, Einaudi 1995), che è stato tradotto in diverse lingue; La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena (Torino, Einaudi, 2002), tradotto in inglese, vincitore del Premio Viareggo, del Premio Brancati-Zafferana Etnea e del Modern Language Association of America, Aldo and Jeanne Scaglione Prize for an Outstanding Scholarly Work in the Field of Italian Studies; Poesia e ritratto nel Rinascimento, (Bari, Laterza, 2008). È “honorary member” della Modern Language Association of America e nel 2007 è stata eletta membro della American Philosophical Society.