Le tasse non pagate (IMU compresa) dai Centri sociali: una posizione diversa. Non vogliamo fare polemica, vogliamo piuttosto che smettano di fare polemiche loro con chi ha gli stessi sgravi fiscali di cui assicurano di avere diritto. Breve nota di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Solidarietà e sussidiarietà.
Il Centro culturale Gli scritti (14/6/2015)
Come è noto, la maggior parte dei Centri sociali non paga l’IMU, ma nemmeno hanno licenze regolari dei diversi bar, ristoranti, scuole di ballo, cineclub, sale concerti, cooperative per itinerari culturali, scuole di materie diverse e peregrine, ecc. che sorgono negli stessi. Spesso non emettono scontrini fiscali nemmeno gli stessi ristorantini etnici, pub e birrerie dei centri sociali, sebbene alcuni di tali locali siano pubblicizzati anche su Tripadvisor – si veda, per esempio, il ristorante del Centro sociale Leonvacavallo di Milano.
Ovviamente non è facile reperire dati e dichiarazioni ufficiali sulla cosa, ma quando questo è possibile, le motivazioni fornite sono di tipo sociale.
Si possono vedere, ad esempio, le datate, ma sempre significative, battute dell’allora consigliere comunale di Rifondazione comunista Umberto Gay, come dello studioso Primo Moroni, in un articolo a firma di Paolo Biondani e Augusto Pozzoli apparso sul Corriere della sera dell’8 giugno 1994:
«Secondo Gay l' atteggiamento nei confronti di questo centro sociale [il Leoncavallo] è comunque discriminatorio: "Penso al tendone proibito a Ponte Lambro: l'Aem ne ha allestiti due uguali in pieno centro, e in questo caso andavano bene. Le denunce per il bar abusivo o per i concerti senza pagare la Siae? Si perseguono in realtà delle persone che non speculano sulla vendita di una birra, o che fanno pagare uno spettacolo a prezzo di costo". Primo Moroni, studioso di fenomeni giovanili che pure ha sempre seguito da vicino l'esperienza del Leoncavallo, sottolinea soprattutto le conseguenze di questo intervento giudiziario sul contesto della città: "Da una recente ricerca - dice - risulta che a Milano ci sono da 20 a 25 mila giovani che ogni mese frequentano dei centri sociali, perché costano meno rispetto, ad esempio, ad una normale discoteca, perché si sentono più liberi. Tutti i centri sociali sono nelle condizioni del Leoncavallo: qui non è previsto il lucro: per questo non si pagano certe tasse. Del resto le parrocchie, l'Arci, le Acli per le loro attività di aggregazione sono per legge agevolate. E poi quante irregolarità amministrative si compiono? Allora si dovrebbe aprire un contenzioso senza fine, ma a quale scopo?". Per quanto riguarda in modo specifico il Leoncavallo, Moroni aggiunge: "Ormai si tratta di una realtà di quartiere dove anche i pensionati si ritrovano per organizzarsi il ballo liscio: Siamo di fronte a un vero e proprio servizio sociale che in qualsiasi Stato democratico dovrebbe essere ben apprezzato. A chi giova eliminare queste realtà che hanno un'importante funzione di contenimento del disagio sociale? L'alternativa è buttare i giovani nei ghetti, lasciarli abbandonati nelle solitudini delle periferie, senza lavoro, senza speranza di nulla. Io credo che questa tendenza sia il frutto di una pessima amministrazione della città, destinata ad aumentare il degrado complessivo. Mentre invece questi giovani proprio attraverso queste esperienze potrebbero trovare un loro spazio vitale in cui auto-organizzarsi. Un diritto che, ad esempio, in Olanda viene legalmente riconosciuto"».
Alcuni, a partire da dichiarazioni come queste, partono lancia in resta contro i Centri sociali asserendo che rubano soldi alla collettività. La nostra posizione è decisamente diversa, perché riconosciamo che esiste un valore sociale di chi è capace di aggregare e proporre percorsi formativi, poiché sosteniamo il principio di sussidiarietà come fondativo di un vero Stato promotore di libertà e, quindi, delle primarie capacità aggregative dei cittadini che vengono prima dello Stato e delle quali esso è appunto sussidiario.
Noi chiediamo piuttosto che chi si richiama a tali principi, cessi di essere così incoerente da accusare chi svolge un servizio analogo - sebbene con diversi ideali - in analoghi luoghi sociali come la comunità ebraica, la Chiesa valdese, la Chiesa cattolica, ecc., ecc.
Nell’articolo citato, è corretto il parallelismo che si riconosce esistente tra parrocchie, l'Arci, Acli e appunto Centri sociali, per le cui attività si chiedono agevolazioni di legge - e lo stesso vale per il Liceo valdese, per la Scuola ebraica, per le Scuole cattoliche, così come per foresterie ed ostelli, siano essi valdesi, cattolici o laici[1], gestiti sì con personale che ne ricavi l’utile per vivere, come nei Centri sociali, ma non guadagni in eccesso e che, pertanto, garantiscano prezzi agevolati avendo per fine non il lucro, ma il servizio disinteressato alle persone, con la correlata necessità di provvedere al sostentamento degli operatori che gestiscono i servizio.
Chiediamo troppo, insomma, se chiediamo che chi beneficia dello sgravio dell’IMU, chi non ha regolari licenze, chi non paga integralmente tasse sui prodotti venduti, chi non paga la SIAE, riconosca che gli stessi diritti possono valere anche per altre realtà con finalità sociali simili - anche se differenti - alle sue?
Note al testo
[1] Vale la pena ricordare che sgravi fiscali, come ad esempio, l’esenzione dall’IMU, sono riconosciute in Italia anche a Fondazioni politiche (ad esempio, le Fondazione Fanfani, Iotti, Sturzo e Gramsci), Fondazioni di cultura e ricerca (ad esempio la Rete imprese e la fondazione Ricerca e Imprenditorialità), così come a molte Onlus, Associazioni e Centri studio. Beneficiano similmente di sgravi e di aiuti economici numerosi quotidiani, Radio radicale e moltissimi altri centri di pubblica informazione. N.B. abbiamo tratto questi dati dall’articolo “Non solo Chiesa: anche le Fondazioni politiche non pagano l'Ici”, pubblicato on-line sul sito Wall Street Italia il 22 dicembre 2011.