«Cresceva e si fortificava»: Gesù bambino ed adolescente nei vangeli, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 17 /10 /2009 - 15:29 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito l'articolo scritto da Andrea Lonardo il 13/10/2009 per la rubrica In cammino verso Gesù del sito Romasette di Avvenire . Per ulteriori articoli sui vangeli apocrifi, vedi

Il Centro culturale Gli scritti (17/10/2009)

Ha sempre stupito la sobrietà dei dati evangelici relativi alla fanciullezza ed all’adolescenza di Gesù. Solo l’evangelista Luca fornisce due brevissimi sommari della sua crescita e vi pone al centro il famoso episodio di Gesù dodicenne al Tempio. In tutti gli altri scrittori neotestamentari il silenzio è assoluto.

Eppure proprio questa asciuttezza custodisce la verità dell’incarnazione del Figlio di Dio. Il confronto con i vangeli apocrifi è impressionante. Essi sentono il bisogno, per difendere la divinità di Gesù, di creare una serie di episodi tesi ad evidenziare presunte capacità straordinarie del piccolo Gesù fin nei primissimi anni di vita.

Nel cosiddetto Vangelo arabo dell’infanzia, ad esempio, Gesù dodicenne è interrogato da un maestro di astronomia e gli risponde «esponendo il numero delle sfere e dei corpi celesti, la loro natura e le loro operazioni, la loro contrapposizione, il loro aspetto triangolare, quadrato ed esagonale, la loro traiettoria e la loro posizione di minuto in secondo, e molte altre cose irraggiungibili alla ragione».

Il testo prosegue riferendo le risposte date dall’adolescente ad un esperto di medicina, al quale il piccolo Gesù espone «la fisica, la metafisica, l'iperfisica e l'ipofisica, le forze del corpo, gli umori e i loro effetti; ed ancora il numero delle membra e delle ossa, delle vene, delle arterie e dei nervi, gli effetti del calore e della siccità, del freddo e dell'umidità che provengono da esse; qual è l'influsso dell'anima sul corpo, sui suoi sensi e sulle sue forze; in che cosa consiste la facoltà di parlare, di adirarsi e di desiderare; infine l'unione e la disunione e altre cose irraggiungibili all'intelletto creato».

Questi testi, che suonano oggi particolarmente curiosi e divertenti, avevano nella mente dell’autore del vangelo apocrifo lo scopo di presentare un Gesù dotato di tutte le conoscenze scientifiche possibili ed immaginabili, in quanto figlio di Dio creatore.

Il Vangelo apocrifo dello pseudo-Matteo racconta, invece, della morte successiva di tre bambini provocata dallo stesso Gesù, perché essi rovinavano le costruzioni di fango che egli faceva. Il vangelo apocrifo dell’infanzia detto Ta paidika tou Kuriou racconta ancora che, mentre Gesù attraversava il villaggio, «un fanciullo, correndo, lo urtò alla spalla. Stizzito, Gesù gli disse: “Tu non finirai di correre!”. E subito questi cadde a terra, morto. Alcuni testimoni di ciò che era successo esclamarono: “Da dove viene questo bambino? Ogni sua parola è un fatto compiuto!”».

Questi testi apocrifi, volendo esaltare la divinità di Gesù e la sua potenza invincibile, in realtà svilivano il Cristo, cancellando la sua natura umana che, invece, è sobriamente custodita dal vangelo di Luca.

Nei due sommari che precedono e seguono il viaggio della Santa Famiglia a Gerusalemme, Luca scrive che «il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40) ed ancora che «stava loro [ai suoi genitori] sottomesso... e cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52).

L’evangelista, nel rendere la sua testimonianza su Gesù fanciullo ed adolescente, utilizza gli stessi verbi con i quali aveva descritto la maturazione del Battista: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito» (Lc 1,80). L’umanità di Gesù, nella visione che la Scrittura ci consegna come canonica e, quindi, come aderente al reale, cresce così esattamente come in ogni altro bambino, maturando passo dopo passo tutte le proprie conoscenze sperimentali.

Proprio per questo la chiesa non accoglierà nel Canone i vangeli apocrifi che, invece, sfiguravano l’umanità del Cristo. Questi vangeli erano testimonianza di una corrente di pensiero che ricevette successivamente il nome di “docetismo” (dal greco “dokeo”, “sembro”).

Ne abbiamo testimonianza, ad esempio, nei frammenti superstiti di Marcione, volti a negare la realtà dell’incarnazione. Tertulliano, nel De carne Christi, ricorda che il maestro giunto a Roma dal Ponto rifiutava come indegna di Dio la carne del bambino Gesù con tutto ciò che ne conseguiva: «[Marcione] è insofferente dell’attesa, ed il suo Cristo discende dal cielo in un batter d’occhio. ‘Toglimi di mezzo’ dice ‘questi censimenti di Cesare che ci disturbano sempre, questi alberghi disagevoli, questi panni sporchi, queste mangiatoie non certo confortevoli [dura praesepia]: se la schiera degli angeli ha intenzione di onorare il suo Dio di notte, faccia pure! I pastori farebbero meglio a badare alle pecore, e i Magi si risparmino pure la fatica del lungo viaggio: possono tenersi il loro oro!’».

Marcione, che insegnò a Roma, alla metà del II secolo, non poteva tollerare che Dio si fosse abbassato ad utilizzare “pannolini sporchi”. Egli era al di sopra dei cieli ed in Gesù non aveva realmente assunto la carne umana, ma solo l’apparenza di essa.

La testimonianza dell’evangelista Luca se, da un lato, inchioda la fede alla reale crescita umana del piccolo Gesù, dall’altro, presenta al contempo la sua coscienza filiale nei confronti del Padre. Proprio il brano di Gesù dodicenne al Tempio è al centro dei due sommari appena citati.

Ai genitori che lo cercano da tre giorni, egli risponde: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). L’evangelista che testimonia l’assoluta somiglianza dell’adolescenza di Gesù con quella di ogni altro uomo, sente nello stesso contesto l’esigenza di raccontare che, fin dalla tenera età, il Cristo era cosciente di un rapporto unico con Dio, di una relazione tale che nessuna creatura sulla terra aveva mai avuto prima di lui. Ed il terzo vangelo non vede alcuna contraddizione fra le due affermazioni.

Come afferma un recente studio di Franco Manzi sull’episodio del ritrovamento nel Tempio, «la consapevolezza di Gesù di essere il Figlio di Dio è “senza paralleli”». L’episodio del ritrovamento al Tempio in mezzo ai dottori non vuole assolutamente presentare un Gesù che abbia una conoscenza sperimentale superiore a quella dei suoi coetanei. Ciò che è centrale, invece, nella pericope è la coscienza di Gesù di essere figlio di Dio e di vedere, per questo, tutte le cose a partire dallo sguardo del Padre, dalle “sue cose”.

Proprio questa tensione, fra la piena umanità e l’altrettanto totale divinità di Cristo, la chiesa è chiamata a custodire. La sobrietà del testo di Luca non permette di dire altro a riguardo, conservando in noi lo stupore della divinità e dell’umanità che non si annullano, né si confondono.

Nella Cappella Baglioni della Collegiata di Spello, affrescata dal Pinturicchio, il pittore presenta Gesù dodicenne al centro, mentre i Libri dei maestri cadono a terra. Egli è la Parola che fa impallidire tutte le altre parole mai pronunciate, ma, insieme, le illumina della sua luce, compiendole e valorizzandole. Egli è Parola in quel corpo realmente assunto come proprio e sottoposto a tutte le tappe della crescita umana, evento che conferisce ormai una dignità infinita ad ogni uomo, perché il Figlio di Dio si è fatto – e per sempre – uno di noi.