1/ Caravaggio: opere straordinarie, ma all’interno di un programma iconografico dettato dai committenti e realizzato insieme ad altri artisti 2/ Come altri pittori dell’epoca nella vita sregolata 3/ Da Caravaggio al barocco: Roma ed i suoi bassifondi. Tre testi di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (31/5/2015)
1/ Caravaggio: opere straordinarie, ma all’interno di un programma iconografico dettato dai committenti e realizzato insieme ad altri artisti, di Andrea Lonardo
Caravaggio diviene famoso al grande pubblico del suo tempo per aver realizzato quel taglio di luce che provenendo non si da dove giunge in un vicolo ad illuminare il volto di San Matteo, conferendo forza espressiva al braccio di Gesù che chiama.
Ebbene quella luce che irrompe nell’opera è in realtà una citazione – anche se una citazione per opposizione perché luce ed oscurità si invertono di posto - dell’affresco che il Cavalier d’Arpino aveva realizzato pochi anni prima nella stessa cappella Contarelli e che è visibile ancora oggi nella volta della Cappella. Anzi a quell’affresco potrebbe aver lavorato lo stesso Merisi come apprendista, poiché a Roma, in un primo momento, fu a servizio proprio del Cavalier d’Arpino.
Non solo, ma egli realizzò all’inizio solo le due tele laterali della Cappella, perché Jacob Cobaert, orafo e scultore, era stato incaricato contestualmente di realizzare la statua dell’evangelista che doveva essere posta sopra l’altare. Se l’opera non venne mai posta in opera nella Cappella Contarelli fu solamente perché la statua stessa non piacque al suo autore, oltre che ai committenti, e fu infine posta nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini, motivo per il quale venne infine commissionata a Caravaggio anche la pala d’altare.
Si vede subito che Caravaggio lavora alla Contarelli in un programma iconografico la cui realizzazione è affidata, oltre che a lui, al Cavalier d’Arpino ed al Cobaert.
Se la Cappella Contarelli venne modificata in corso d’opera, portando alla presenza “casuale” di ben tre opere di Caravaggio nello stesso ambiente, lo stesso non avvenne della Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, che restituisce bene l’idea della collaborazione pittorica di artisti diversi e per altri aspetti rivali.
Nella Cerasi, la pala d’altare, cioè l’opera più importante, è di Annibale Carracci, mentre a Caravaggio, esattamente come nella Contarelli, venne affidata la decorazione delle due pareti laterali.
L’opera del Carracci, l’Assunta (1600-1601) è splendida e, probabilmente, fu anche il confronto con un opera così degna che dovette indurre Caravaggio ad abbandonare la prima versione della Conversione di San Paolo e della Crocifissione di Pietro, impari nel confronto, per realizzare quelle che sono attualmente in situ.
In Sant’Agostino, la tela della Madonna dei Pellegrini è posta nella Cappella Cavalletti la cui decorazione ad affresco è nuovamente pensata dal committente in simbiosi con la tela caravaggesca. Qui la parte affidata al Caravaggio è invertita rispetto al progetto originale della Contarelli ed alla Cerasi. Al centro della Cappella la pala d’altare, l’opera più in vista, è del Caravaggio, invece ai lati ed in alto gli affreschi sono realizzati da Cristoforo Casolani.
L’opera del Casolani (1603) è ben più modesta di quella del Caravaggio, ma è interessante che di nuovo il Merisi lavorò d’intesa con i committenti e, quindi, con altri pittori del tempo nel realizzare l’insieme.
Interessantissimo è il caso della Deposizione dipinta da Caravaggio per la Chiesa Nuova – Santa Maria in Vallicella. Qui l’impianto iconografico venne deciso dallo stesso San Filippo Neri, ancora vivente, e dai suoi primi compagni . La pala d’altare di ognuna delle cappelle laterali doveva rappresentare uno dei “misteri”, cioè degli episodi più importanti della vita di Cristo, nei quali era stata presente Maria che doveva anch’essa essere rappresentata in ogni tela. Chiunque avesse deciso di acquistare una delle Cappelle laterali e di farle decorare – come usava allora – non si sarebbe potuto allontanare dalla serie stabilita dai Padri dell’Oratorio.
San Filippo Neri ebbe modo di vedere alcune delle opere già poste nelle Cappelle – è noto che l’opera da lui preferita era la Visitazione di Federico Barocci che venne realizzata nel 1586.
Nella Chiesa Nuova Caravaggio lavorò alla Cappella acquistata dalla famiglia Vittrici realizzando la Deposizione. Le pale d’altare dell’intero ciclo vennero realizzate dal 1578 al 1627 (senza contare le copie o le sostituzioni a programma completato, come avvenne proprio per la Deposizione che venne sostituita con una copia nel 1797 dopo il furto delle truppe napoleoniche).
Seguendo l’ordine iconografico, a partire dalla cappella del transetto sinistro, questo è l’elenco degli autori con le date proposte dagli studiosi[1]:
- Presentazione al Tempio di Maria Bambina del Barocci (1603)
- Annunciazione del Passignano (1591)
- Visitazione del Barocci (1586)
- Natività di Durante Alberti (precedente al 1590)
- Epifania del Nebbia (1578)
- Presentazione al Tempio di Gesù (detta anche Purificazione della Vergine) del Cavalier d’Arpino (1627)
- Crocifissione del Pulzone (1586)
- Deposizione del Caravaggio (1602, originale presso i Musei Vaticani, mentre nella cappella è presente una copia del 1797)
- Ascensione del Muziano (precedente al 1587)
- Pentecoste di pittore fiammingo (originale del 1607 sostituito nel 1689)
- Assunta del Ghezzi (sostituita a metà seicento)
-I ncoronazione della Vergine del Cavalier d’Arpino (1615).
Si vede qui chiaramente come la Deposizione del Caravaggio faccia parte di un intero ciclo pensato dai padri dell’Oratorio in pieno contesto controriformistico. Se ogni autore lavorò esclusivamente all’opera o alle opere che gli furono affidate, nondimeno doveva essere loro chiaro il lavoro d’insieme.
La serie della Chiesa Nuova permette di vedere come si regolassero i committenti e come si instaurasse un dialogo fra l’acquirente della Cappella, i Padri che officiavano la Chiesa Nuova e gli artisti.
È noto il caso della Crocifissione del Pulzone che venne realizzata ancora vivente San Filippo Neri. Uno dei primi compagni del Santo, il Padre Agnolo Velli, si lamentò per la presenza eccessiva di sangue che era rappresentato nell’opera, in particolare eccependo “una gocciola di sangue che cade sopra il volto del crocifisso”[2]. I Padri dell’Oratorio misero democraticamente ai voti il particolare dell’opera, d’accordo con San Filippo Neri che non impose una propria scelta: la maggioranza approvò il modo in cui la tela era realizzata, motivo per cui non venne chiesto al Pulzone di modificarla.
L’episodio rivela come fosse stretto il rapporto fra committenza e artisti (fra l'altro il ciclo non si arresta alla serie delle dodici cappelle laterali, ma prosegue poi con la rappresentazione barocca dell'Assunzione di Maria nell'abside e nella cupola, ad opera di Pietro da Cortona, in una sequenza iconografica che travalica dal periodo controriformista appunto all'età barocca).
La critica moderna tende in maniera ideologica ad isolare dalla sua epoca Caravaggio, quasi come un unicum nel suo tempo, mentre egli dipingeva certamente conscio delle sue capacità, ma anche inserito pienamente con un suo stile particolare nella pittura della Roma controriformista del tempo.
Ciò è evidente anche dal lavoro dei suoi discepoli come da quello dei discepoli degli altri maestri di età controriformista. Negli anni seguenti la morte della generazioni di pittori cui apparteneva il Merisi, la nuova generazione si ispirò all’uno o all’altro dei maestri vissuti a cavallo fra la fine del cinquecento e gli inizi del seicento, fino all’esplodere dell’arte barocca.
2/ Come altri pittori dell’epoca nella vita sregolata, di Andrea Lonardo
Il pittore Giovanni Baglione querelò il Merisi per i Sonetti infamanti che gli aveva rivolto coinvolgendo nell’accusa gli altri autori dei versi e precisamente Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni. Agli occhi del Baglione, insomma, Caravaggio non è un eccezione, bensì è uno del gruppo di coloro che scrissero i sonetti che lo dileggiavano.
I versi in questione sono famosi. Basta scorrerli rapidamente per percepire quale era il clima della Roma che oggi chiamiamo “controriformistica” e che ci appare totalmente diversa nella realtà dei fatti dalle descrizioni dei nostri manuali di storia, se solo ci avviciniamo alle vite dei suoi pittori:
Gioan Bagaglia tu non sai un ah
le tue pitture sono pituresse
volo vedere con esse
che non guadagnarai
mai una patacca
che di cotanto panno
da farti un paro di bragesse
che ad ognun mostrarai
quel che fa la cacca
porta là adunque
i tuoi desegni e cartoni
che tu ai fatto a Andrea pizicarolo
o veramente forbetene il culo
o alla moglie di Mao turegli la potta
che [libelli] con quel suo cazzon da mulo più non la fott[e]
perdonami dipintore se io non ti adulo
che della collana che tu porti indegno sei
et della pittura vituperio.
In questo primo sonetto, la collana cui si fa riferimento è quella d’oro che il Baglione aveva ricevuto in dono dal cardinale Giustiniani e che evidentemente gli altri gli contestavano.
Anche il secondo sonetto è abbastanza esplicito – e prosegue il riferimento alla stessa catena:
Gian Coglion senza dubio dir si puole
quel che biasimar si mette altrui
che può cento anni esser mastro di lui.
Nella pittura intendo la mia prole
poi che pittor si vol chiamar colui
che non può star per macinar con lui.
I color non ha mastro nel numero
si sfaciatamente nominar si vole
si sa pur il proverbio che si dice
che chi lodar si vole si maledice.
Io non son uso lavarmi la bocca
né meno di inalzar quel che non merta
come fa l'idol suo che è cosa certa.
Se io mettermi volesse a ragionar
delle scaure fatte da questui
non bastarian interi un mese o dui.
Vieni un po' qua tu che vo' biasimar
l'altrui pitture et sai pur che le tue
si stano in casa tua a chiodi ancora
vergognandoti tu mostrarle fuora.
Infatti i’ vo' l'impresa abandonare
che sento che mi abonda tal materia
massime si intrassi ne la catena
d'oro che al collo indegnamente porta
che credo certo (meglio) se io non erro
a piè gli ne staria una di ferro.
Di tutto quel che a detto con passione
per certo gli è perché credo beuto
avesse certo come è suo doùto
altrimente ei saria un becco fotuto.
Anche nell’uccisione di Ranuccio Tomassoni il Merisi non fu solo. L’unica incertezza riguarda il numero delle persone coinvolte nella rissa, poiché una fonte asserisce che siano stati altri tre oltre all’indagato ed al morto a duellare, mentre una seconda fonte parla di due gruppi di quattro che si affrontarono.
Si aggiunga che il cavalier d’Arpino non conduceva una vita diversa. Fu, infatti, probabilmente lui a commissionare il ferimento di un altro pittore, il Roncalli, perché quest’ultimo gli era stato preferito per dipingere a Loreto.
3/ Da Caravaggio al barocco: Roma ed i suoi bassifondi, di Andrea Lonardo
«Se nel caso di Caravaggio l'identificazione dei modelli con personaggi reali è stata spesso tentata ma rimane tuttora incerta, sappiamo che Orazio Gentileschi, abitante in una casa a via Margutta dal 1609, dipingeva un anziano pellegrino nelle vesti di San Girolamo; e un dipinto di Michelangelo Cerquozzi, qualche decennio dopo, ci mostra l'autoritratto del pittore intento a eseguire un santo dal modello inginocchiato nello studio. Nell'esistenza di Caravaggio e di quella degli artisti a lui contemporanei si mescolano la ricerca dell'affermazione professionale, da ottenere spesso con ogni mezzo, e la partecipazione alla vita caotica di una città dove si potevano osservare la grandezza dei regni e la loro progressiva decadenza, le più alte espressioni della spiritualità cristiana e il dispiegarsi di ogni vizio e di ogni bassezza. È la città delle contrapposizioni violente già oggetto delle polemiche dell'Aretino nel secolo precedente, la Roma cauda mundi che convive con quella caput mundi, la Roma della gloria e quella dei pericoli, la Roma della cultura classica e della spiritualità cattolica intrecciata all'abisso morale della corte, alle tribolazioni della popolazione e alla violenza notturna.
La vita dei vicoli, delle osterie, è una costante della biografia caravaggesca, ma non solo della sua; e rimane anche quando Caravaggio fa il suo ingresso nei palazzi di cardinali e frequenta poeti e intellettuali. Una certa pratica della poesia, anche se per costruire versi ingiuriosi ai danni di colleghi ingiustamente premiati, era evidentemente comune, come testimoniato dal processo del 1603, che vede Giovanni Baglione opporsi a Caravaggio e ai suoi amici, ritenuti autori di una poesia oscena sulle sue opere. Il Baglione, pittore e biografo, era un assiduo frequentatore del tribunale, in veste di accusatore e di testimone, in questioni che riguardassero direttamente traffici e transazioni sui dipinti o anche efferati delitti: due anni prima aveva testimoniato a favore del marchese Santacroce, a quanto pare suo amico, oltre che committente, accusato di aver istigato il fratello a uccidere la madre. […] La violenza verbale, la satira sui dipinti e sulle capacità altrui di rendere il naturale e le allegorie era diffusa nei primi anni del Seicento, al di là della cerchia caravaggesca, come ci ricordano le importanti ricerche di Maddalena Spagnolo sui sonetti rivolti a Pomarancio, Vanni e Passignano a proposito delle commissioni che avevano ricevuto nel 1604 per San Pietro. Le loro presunte goffaggini scatenarono la redazione di componimenti in versi che furono affissi nei pressi della basilica. I lavori prestigiosi erano al centro, evidentemente, di forti contrasti che, oltre alle aggressioni in versi, scatenavano avvenimenti sanguinosi. Si è fatta luce sull'assalto ordito dal Cavalier d'Arpino ai danni del Pomarancio, che portò alle note vicende del sequestro delle armi che teneva in casa e dei suoi beni»[3].
Le opere esposte ed il catalogo della recente mostra I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria[4] tenutasi a Roma presso Accademia di Francia a Roma a Villa Medici hanno aiutato ad indagare come fosse più libero, al limite del trasgressivo, il clima della Roma controriformista e poi barocca. La vita di diversi artisti, come si descrive nel testo sopra trascritto di Francesca Cappelletti e Annick Lemoine, mostrano una Roma ben più libera di quella che viene abitualmente descritta nei manuali di storia. Caravaggio appare in buona compagnia, come uno dei tanti uomini con vite non esattamente secondo i crismi del bon ton.
Gli autori del catalogo si chiedono come mai i soggetti dei pittori dell’età controriformista e poi barocca si interessassero non solo a temi alti, ma ritraessero anche il semplice popolo ed i vizi umani:
«A chi poteva interessare una pittura che rappresentasse “soggetti bassi”, avvenimenti trascurabili, aspetti miserevoli dell’esistenza umana? In quali casi questa corrisponde a un interesse religioso, quasi di tipo assistenziale, quando invece si tratta solo di una curiosità aneddotica per la vita degli umili o, ancora, di un interesse intellettuale di pittori e committenti, attratti dalle novità espressive sia per quanto riguardava i soggetti che per i modi di rappresentarli? La nostra risposta, nella complessità della questione, e rispetto alla comunità di artisti e ai temi che qui abbiamo raccolto, va forse in quest'ultima direzione. La ricerca di una nuova espressione artistica, che passasse per la sgradevolezza dirompente di alcuni soggetti o per l'uso accentuato del modello vivente, il ricorso comunque alle fonti antiche, per rovesciare il paradigma come nel caso delle immagini di Bacco, o per nobilitare l'attività dell'artista, come nel caso del l'Autoritratto di Pieter van Laer, ci è sembrata centrale nell'attività di questi artisti nei primi trent'anni del Seicento»[5].
Forse la risposta potrebbe essere allargata a considerare come il “nobile” ed il “basso” non siano poi così opposti nell’arte cristiana, come dimostrano proprio gli interessi complementari degli artisti studiati. Certo è che
«questo volto del Seicento "sublime", trascurato e meno noto, non ha ancora ricevuto tutta l'attenzione che merita. La storia dell'arte, a lungo prigioniera dei propri schemi storiografici e delle proprie categorie di classificazione, ha considerato quest'arte del quotidiano come secondaria o aneddotica. Suddivisa in scuole nazionali e in correnti stilistiche, in generi pittorici e in personalità guida, non è mai stata contemplata nel suo insieme, come un unico fenomeno. Ora, non si può ridurre questa Roma "del basso" alla semplice illustrazione del quotidiano, poiché rappresenta un immaginario pensato intellettualmente e teoricamente. Rivela in effetti una presa di posizione rispetto ai fondamenti dell'arte, un'arte che segue la natura e non il Bello ideale»[6].
Non ha ancora ricevuto l’attenzione adeguata - aggiungiamo noi - perché alcuni critici sono così legati ai loro schemi ideologici da non essere stati capaci di far esplodere gli stereotipi sull’arte controriformistica talmente diffusi da immaginare un Caravaggio contro tutti i suoi contemporanei, piuttosto che un panorama diversificato di pittori con stili quasi opposti, ma coinvolti nel medesimo clima culturale.
I curatori del catalogo citano poi alcuni versi di Salvator Rosa per dare evidenza a questo clima diverso da schemi preconcetti che risulta da una corretta analisi delle fonti (dove nuovamente autori post-tridentini e barocchi sono citati insieme):
«“V'è poi talun che col pennel trascorse/a dipinger faldoni e guitterie/e facchini e monelli e taglia borse,/viqnate, carri, calcare, osterie,/stuolo d'imbriaconi e genti ghiotte,/zingari, tabaccari e barberie,/niregnacche, bracon, trentapagnotte:/chi si cerca i pidocchi e chi si gratta/e chi vende a i baron le pere cotte,/un che piscia, un che caca, un ch'a la gatta/vende la trippa, Gimignan che suona,/chi rattoppa un bocal, chi la ciabatta;/né crede oggi il pittor far cosa buona/se non/dipinge un gruppo di stracciati,/se la pittura sua non è barona”. [da una Satira di Salvator Rosa, La Pittura, vv. 235-250]
Contrappunto visivo della letteratura picaresca e della Commedia dell'arte, il fenomeno col quale abbiamo a che fare non si può ridurre alla sola produzione dei pittori di bambocciate, né comprendere esclusivamente nella misura della "pittura dal naturale" dei caravaggeschi. Pittori, differenti tra loro quanto Caravaggio e Miel, Van Honthorst e Dujardin, Vouet e Liss, Bourdon e Bramer, Valentin de Boulogne e Sweerts, Ribera e Van Laer, Manfredi e Van Poelenburgh, Régnier e Rosa, Caroselli e Asselijn, Cerquozzi e Van Baburen, o ancora Velàzquez e Claude Lorrain, hanno tutti cantato e reinventato l'universo dei bassifondi di Roma: la vita notturna e i suoi vizi, la campagna e i suoi pericoli, il carnevale e le sue dissolutezze, gli accampamenti dei mendicanti o le taverne, metafora delle umane tribolazioni, e ancora le sue derive sessuali, violente o occulte - un mondo al tempo stesso burlesco e poetico, triviale e violento, umano e cupo. Che si tratti di italiani, francesi, olandesi, fiamminghi, lorenesi o anche spagnoli, tutti si prendono gioco dei codici stabiliti e delle orme della bellezza»[7].
In un saggio del catalogo Patrizia Cavazzini[8] ricorda come i biografi del tempo tendano ad idealizzare i loro pittori:
«Spesso i biografi degli artisti tendono a raccontarci gli aspetti più edificanti della loro vita, a cominciare dai loro rapporti con i committenti di più alto livello sociale. Ad esempio Filippo Baldinucci sottolinea come Gian Lorenzo Bernini, il vero artista di corte nella Roma seicentesca, godesse di un accesso continuo e privilegiato tanto a Urbano VIII quanto ad Alessandro VII: entrambi i papi richiedevano continuamente la sua presenza alla loro tavola e lo scultore addirittura accompagnava Urbano VIII in camera da letto, la sera, e gli chiudeva le imposte. Karel van Mander, Giulio Mancini e Giovanni Baglione narrano dei favori ricevuti dal giovane Giuseppe Cesari da parte di Gregorio XIII e del cavalierato concessogli da Clemente VIII. Joachim von Sandrart sottolinea la considerazione in cui veniva tenuta Artemisia Gentileschi, a Napoli, sia dalla moglie del viceré spagnolo che dalle altre principesse della corte. Il medico Giulio Mancini mette in risalto come Bartolomeo Manfredi fosse di aspetto nobile, costumi buonissimi e ritirati e Gerrit van Honthorst "molto civile e cortese". In realtà di tutti questi artisti si sarebbero potute narrare storie diverse, a cominciare dal Bernini, il quale mandò un sicario a sfregiare l'amante Costanza Piccolomini Bonarelli. Sposata con un aiutante del Bernini, Costanza aveva tradito il marito sia con il famoso scultore che con suo fratello Luigi. Quando Gian Lorenzo ebbe le prove che Luigi godeva dei favori della giovane, cercò ripetutamente di ucciderlo, finché la madre chiese a papa Urbano VIII di porre rimedio alla situazione. Il Cesari invece fu accusato dello sfregio subito dal collega Pomarancio, il quale aveva cercato di sottrargli l'incarico per i mosaici della cupola di San Pietro. Durante il processo fu trovato in possesso di armi da fuoco, motivo per cui si trovò poi costretto a donare al cardinal nipote Scipione Borghese la sua collezione di dipinti. […] Giovanni Lanfranco, nel 1637, scriveva da Napoli con un certo rammarico a Ferrante Carlo che nella città partenopea non frequentava osterie e neppure si incontrava sovente con amici e colleghi "perché costì non usa", evidentemente al contrario di Roma. Come riferì un testimone durante il processo per lo stupro di Artemisia Gentileschi da parte di Agostino Tassi, il padre di lei, Orazio, trattava "quando con gentilhuomini e gente di prezzo e quando con gente bassa"»[9].
La Roma del seicento, invece, era una città carica di contraddizioni:
«Come è noto, la Roma seicentesca era una società violenta e in effetti è abbastanza impressionante vedere dalle relazioni dei medici e barbieri (i quali erano costretti a riportare all'autorità giudiziaria tutti i feriti che curavano) quante aggressioni avvenissero in un giorno, o meglio in una notte. Potevano essere di poco conto - Gerard ter Borch il Vecchio fu ferito con una forchetta, Nicolas Régnier da un sasso e medicato con due punti - ma capitavano anche episodi di notevole gravità. Nel 1627 un "Giusto Olandese fiamingho pittore" fu ucciso in una rissa dal connazionale Cornelio, anch'egli pittore. Non sappiamo bene chi siano, ma si è tentati di identificare il pittore ucciso con il Giusto fiammingo la cui Cattura di Cristo con la fuga del giovane nudo compare nell'inventario Giustiniani. Nel marzo 1626 lo scultore lorenese David de Lariche, presumibilmente aggredito per strada si rifugiò in casa del compare e collega Arcangelo Gonnella in via dei Bergamaschi, ma non sopravvisse alle ferite. All'epoca il de Lariche divideva una misera stanza a via del Babuino con il Valentin, definito suo socio nell'atto notarile in cui si narra la vicenda. Lo scultore non possedeva nulla, a parte tre scudi in un sacchetto e vari abiti, di cui molti vecchi e usati, che il Valentin dovette vendere per pagare i debiti, far celebrare il funerale e dire messe a San Nicola dei Lorenesi. Testimone dell'inventario degli abiti fatto a istanza del Valentin fu Nicolas Tournier»[10].
Anche la vita “sessuale” degli artisti del tempo, testimoniata dai documenti, getta luce su di una città capace di altezze e bassezze, poiché l’uomo è sempre capace di entrambe le direzioni:
«Molti pittori avevano rapporti continuativi con prostitute e passavano le serate nelle loro dimore, facendosi portare il cibo da una taverna, come presumibilmente faceva gran parte della popolazione maschile di Roma. Giovanni Baglione, con tutte le sue pretese di nobiltà, aveva avuto una figlia da una cortigiana e si fece carico del suo mantenimento. Claude Lorrain faceva passare per nipote una giovane che probabilmente era una sua figlia illegittima; Bartolomeo Manfredi, che non era sposato, nel 1621 viveva con un figlio. Apparentemente tanto il Lanfranco quanto Annibale Carracci morirono per i loro eccessi amorosi e sia il Poussin che il Van Laer si ammalarono di sifilide. Anzi a detta del Passeri il Van Laer se ne tornò in Olanda perché a Roma tutti i suoi guadagni erano spesi nella frequentazione di prostitute. Nel luglio del 1622 la cortigiana Maddalena Pretini, catturata dagli sbirri la notte quando non avrebbe dovuto essere in giro, dichiarò di essersi trovata fuori al buio perché era andata a bussare alla casa di "uno che mi vuole bene e non m'ha voluto aprire... Bartolomeo Manfredi che sta ammalato in letto". Dopo pochi mesi il pittore morì. Gerrit van Honthorst, che aveva vissuto nel palazzo dei marchesi Giustiniani, fu arrestato una sera dell'agosto del 1619 in casa di una Vittoria da Rieti, perché aveva la spada, che non poteva portare in casa di cortigiane. Dichiarò di stare con lei da dieci mesi e di averne conoscenza carnale. Agostino Tassi, prima di instaurare un rapporto di lunga durata con Ludovica Lauro, ebbe sovente relazioni con prostitute, le quali scatenavano la sua ira se non gli aprivano la porta "per avere promesso ad altri". È anche vero, però, che si prese cura di una cortigiana chiamata Ofelia quando lei si ammalò e morì. Quando il pittore fu messo agli arresti domiciliari nel palazzo del tesoriere generale Costanzo Patrizi, dove stava dipingendo ad affresco, non si fece scrupolo di portarvi una meretrice chiamata Cecilia De Durantis. Una notte gli sbirri li trovarono insieme fuori del palazzo, dove nessuno dei due aveva il permesso di stare, lui perché agli arresti e lei per l'ora tarda. Nonostante il pittore l'avesse aggredita pochi mesi prima, i due avevano ritrovato una perfetta armonia e si difesero fieramente a vicenda. Il Tassi non aveva inteso che Cecilia avesse detto agli sbirri: "mi darete il naso in culo" e lei negò di avere pronunciato tali parole "perché non è solito mio"»[11].
La mostra I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria ricorda anche come dal 1620 al 1720 – negli anni, quindi, immediatamente successivi alla morte di Caravaggio, anni che però il Merisi avrebbe potuto vivere a Roma se non fosse morto nel 1610 all’età di 39 anni per uno scherzo del destino mentre era sulla vita del ritorno nell’Urbe nella quale aspirava tornare a vivere e dipingere – i pittori olandesi e fiamminghi, francesi e tedeschi fossero soliti riunirsi in alcune fraternità note come Bentvueghels o Schildersbent (“combriccola degli artisti”). Ad esse si accedeva con riti di iniziazione scherzosi, fatti di ubriacature e di assunzione di soprannomi, di cui ci danno testimonianza, oltre alle fonti scritte, anche opere come quella di Roeland van Laer, Bentvueghels in un’osteria romana (1626-28) o come le Stampe della seconda metà del seicento esposte in mostra.
I pittori dei Bentvueghels, ad esempio, erano soliti riunirsi nella Locanda della Fontana in va dei Condotti e recarsi per le loro pantomime presso Santa Costanza, dove era la tomba di età costantiniana – oggi ai Musei Vaticani - con putti vendemmianti c he veniva assunta a simbolo della tomba di Bacco e dove i pittori incidevano i loro nomi sulle pareti dell’edificio.
Rappresentati con frequenza da pittori controriformisti e poi barocchi sono bari, ubriaconi, personaggi che compiono scherzi, ciarlatani. Simon Vouet (attribuito), dipinge, ad esempio, una Zingara con bambino (1625 ca.) con qualche tratto mariano.
Cornelis van Poelenburgh dipinge un Paesaggio con rovine e scene pastorali (1621-1623) con un giovane che piscia fra le rovine romane ed altri autori dipingono edifici classici in rovina con prostitute dell’epoca.
Insomma il linguaggio aulico ed il triviale si mischiano, come spesso avviene nella vita.
Giovanni Lanfranco dipinge anche un Giovane uomo nudo su un letto con un gatto (1620-1622), anch’esso esposto in mostra, mentre diverse scene di stregoneria vengono anch’esse dipinte nella Roma barocca presentata in mostra.
Insomma, un invito a rompere i clichés a cui la critica ideologica ci ha abituato.
Note al testo
[1] Per una presentazione delle diverse pale d’altare cfr. Le opere d’arte della Chiesa Nuova, per presentare i misteri di Cristo in catechesi.
[2] C. Barbieri – S. Barchiesi – D. Ferrara, Santa Maria in Vallicella. Chiesa Nuova, Palombi, Roma, 1995, p. 56.
[3] Francesca Cappelletti - Annick Lemoine, Introduzione, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, p. 15.
[4] I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014.
[5] Francesca Cappelletti - Annick Lemoine, Introduzione, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, pp. 16-17.
[6] Francesca Cappelletti - Annick Lemoine, Introduzione, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, p. 17.
[7] Francesca Cappelletti - Annick Lemoine, Introduzione, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, pp. 17-18.
[8] Patrizia Cavazzini, Nobiltà e bassezze nella biografia dei pittori di genere, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, pp. 57-67.
[9] Patrizia Cavazzini, Nobiltà e bassezze nella biografia dei pittori di genere, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, p. 57.
[10] Patrizia Cavazzini, Nobiltà e bassezze nella biografia dei pittori di genere, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, pp. 61-62.
[11] Patrizia Cavazzini, Nobiltà e bassezze nella biografia dei pittori di genere, in I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Accademia di Francia di Villa Medici, Officina Libraria, Milano, 2014, pp. 63-64.