[I profughi di cui parla papa Francesco] Oltre 100mila musulmani Rohingya in fuga da persecuzioni e violenze in Myanmar
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Il Centro culturale Gli scritti (31/5/2015)
Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Sono oltre 100mila i musulmani Rohingya che hanno abbandonato il Myanmar negli ultimi due anni, dall'inizio delle violenze confessionali con la maggioranza buddista, lasciandosi alle spalle disperazione e miseria in cerca di una vita migliore. Lo denunciano gruppi di attivisti pro-diritti umani birmani. L'esodo di massa avviene a bordo di imbarcazioni dai territori nello Stato di Rakhine, nell'ovest: i numeri sono in continuo aumento.
Chris Lewa, direttore della organizzazione non governativa Arakan Project, sottolinea che il nuovo esodo è iniziato il 15 ottobre scorso, con una media di 900 persone al giorno che si ammassano a bordo di navi cargo, in partenza dai porti dello Stato. Un totale di quasi 10mila persone in meno di due settimane, uno dei picchi più elevati dall'inizio dell'emergenza due anni fa.
Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e Rohingya, che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite in Myanmar - nazione a maggioranza buddista, con 50 milioni di abitanti - vi sono tuttora 1,3 milioni di appartenenti alla minoranza musulmana, che il governo considera immigrati irregolari e che per questo sono oggetto di abusi e persecuzioni.
Ad oggi vi sono ancora 140mila sfollati rinchiusi nei centri profughi che, secondo quanto stabilito dal governo birmano, devono accettare la classificazione di bengali - e ottenere la cittadinanza - oppure rimanere "a vita" nei campi. All'interni essi sono privati dei diritti di base, fra cui assistenza sanitaria, educazione o un lavoro. Contro l'emarginazione e l'abbandono in cui versa la minoranza musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana.
Secondo il gruppo attivista i Rohingya in fuga fanno una prima tappa in Thailandia, dove vengono condotti in centri di accoglienza all'interno della giungla e sono vittime di maltrattamenti, estorsioni a altri tipi di violenze prima di essere rilasciati. In un secondo momento, essi ripartono alla volta della Malaysia o di altre nazioni, musulmane e non, dove peraltro non godono del diritto di cittadinanza. Anche qui, il loro futuro resta incerto.
Nelle ultime settimane le autorità birmane avrebbero compiuto dozzine di arresti fra i membri della minoranza musulmana, per presunti legami con il gruppo militante Rohingya Solidarity Organisation (Rso); durante gli arresti e la detenzione essi avrebbero subito maltrattamenti, torture e abusi. Secondo il gruppo Arakan Project almeno tre persone sarebbero morte a causa delle percosse subite e la campagna di arresti è "finalizzata ad accelerare le partenze" dal Paese. Secca la replica del portavoce governativo dello stato di Rakhine, Win Myaing, secondo cui "non è successo nulla" e "non vi è stato alcun arresto".