Fatta la legge, i gay in Europa non si sposano più. Lo dicono i numeri, di Roberto Volpi
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Riprendiamo da Il Foglio del 29 Maggio 2013 un articolo scritto da Roberto Volpi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2015)
Due grafici relativi all'Olanda, dove esiste la possibilità di scegliere fra matrimonio ed unione civile. I grafici sono ripresi dal sito imille (Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto)
“After ten years of same-sex marriage, approximately 9 out of 10 gay and lesbian people in the Netherlands have still not chosen to enter a legal marriage”. E’ la conclusione cui approda uno studio di William C. Duncan dell’Institute for Marriage and Public Policy condotto a dieci anni dall’introduzione in Olanda del matrimonio omosessuale (nel 2001).
Nello stesso studio si dà conto, riportando il parere di Vera Bergkamp, “head of a Dutch gay rights organization”, della mancanza di entusiasmo per il matrimonio omosessuale in quello che è “il primo paese al mondo a riconoscere il matrimonio omosessuale”.
E questo è precisamente il punto. Il matrimonio omosessuale, quantitativamente parlando, sta disattendendo le attese. Non ha sfondato in Olanda. In Spagna, dopo la punta di oltre 4 mila nel 2006, primo anno dopo l’approvazione nel 2005, la cifra dei matrimoni omosessuali si è assestata sopra i 3 mila senza più superare i 3.500 all’anno: cifre nettamente inferiori anche rispetto alla più contenuta delle previsioni.
Stesso andamento in Inghilterra: boom nel primo anno (anche lì il 2006) dopo quello dell’approvazione, poi un calo progressivo e un assestamento che ha portato i “same-sex marriage” a pesare per poco più del due per cento sul totale dei matrimoni. Proporzione del 2 per cento attorno alla quale si assestano, e spesso al di sotto, anche gli altri paesi europei dov’è stato introdotto.
Mancanza di entusiasmo, dunque. “Lack of nuptial enthusiasm among gay couples”, come la definisce Vera Bergkamp, che cerca di darsene una spiegazione. Anzi, tre. Minore pressione sugli omosessuali esercitata da famiglia e amici; meno coppie gay che si sposano per avere bambini delle corrispondenti coppie eterosessuali; più individualismo e meno orientamento alla famiglia tra molti omosessuali.
Onestamente, tre ragioni che per un verso sanno di acqua fresca e per l’altro di giustificazione a posteriori. In conclusione: nel tempo della drammatica caduta del matrimonio eterosessuale gli omosessuali, dopo l’orgoglio, la lotta, il riconoscimento, il giubilo per la vittoria del riconoscimento del “diritto a sposarsi” si sposano assai meno di quanto lo facciano gli eterosessuali – che praticamente non si sposano più. E questo per le più che ovvie ragioni spiegate da loro stessi: sentono meno la spinta dei figli e sono mentalmente meno orientati al matrimonio di quanto non lo siano gli eterosessuali.
Detto in termini spicci: si profila, all’interno dell’“inverno” del matrimonio, il fallimento di quello omosessuale. Se proprio quel fallimento non è già nelle cose. A dirlo sono come sempre i numeri. Tornando all’Olanda: dopo dieci anni in flessione, dal riconoscimento dei matrimoni omosessuali appena una coppia omosessuale su cinque (che dunque già convive) risulta sposata. Niente a che vedere con l’analogo dato riguardante le coppie etero, che risultano sposate nella proporzione di otto su dieci.
I trionfi del matrimonio omosessuale, dunque, appaiono soprattutto mediatici e preventivi. Caso significativamente assai diverso da quanto avvenuto per altre “conquiste civili”. L’introduzione in Italia del divorzio e dell’interruzione volontaria di gravidanza, per fare un esempio, e giudizi di merito a parte, furono innovazioni legislative cui seguirono anni di formidabile adesione. Nella pancia della società italiana c’erano i divorzi impossibilitati e gli aborti clandestini, che “emergevano” alla legalità. E’ del resto un fenomeno che la statistica sociale ben conosce: quando all’orizzonte legislativo si staglia il riconoscimento di un nuovo diritto, il ricorso a esercitarlo è subito impetuoso, in quanto esiste una situazione pregressa da sanare, poi il fenomeno tende a stabilizzarsi e flettere o perfino crescere. Ma il matrimonio omosessuale non ha conosciuto neppure dei veri e propri exploit iniziali, se non in termini assai blandi, per cominciare immediatamente a declinare e mostrare una tendenza alla stabilizzazione attorno alla soglia minima della rilevanza in tutti i paesi europei dov’è consentito.
Un tale, comune andamento svela quel tanto di artificiosità, di invenzione tutta politica che c’è nel matrimonio omosessuale. Quell’eccesso legislativo, nel senso dei diritti, che va tanto di moda perseguire ma che più che corrispondere a dati di realtà solletica e tende a ingraziarsi segmenti di società particolarmente attivi che, della realtà, si ergono a interpreti e rappresentanti, non sempre essendolo veramente. Mentre invece il riconoscimento delle coppie omosessuali e dei loro diritti è qualcosa che ha un senso pieno e avvertito come tale, il matrimonio no: sono i comportamenti concreti a svelare questa verità. I loro stessi atteggiamenti concreti. Quando non addirittura gli stessi, concreti giudizi delle organizzazioni direttamente coinvolte. Le loro stesse, oneste, ammissioni.