Un solo grande segno, tanti miracoli, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)
San Saba, Roma, Guarigione del paralitico
«Come mi sono odiose queste sciocchezze: di non credere nell’Eucarestia, ecc.? Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà c’è in tutto questo?» (Pensieri 206): così ha scritto il grande Blaise Pascal.
Dinanzi ai miracoli l’atteggiamento giusto è esattamente quello di dar loro fiducia a priori. Perché credere è esattamente credere che il più grande miracolo è avvenuto, Dio si è fatto uomo, l’Infinito ha amore per la nostra vita e la sua provvidenza guida il mondo e la storia. Dichiarare a priori che i miracoli non sono possibili vuol dire esattamente negare che Dio possa occuparsi degli uomini singolarmente, amandoli nella loro peculiare unicità.
In un dialogo del dramma teatrale Inquisizione di Diego Fabbri un uomo si rivolge all’abate del monastero e dice: «I miracoli ci sono qui, a centinaia, nella vostra storia manoscritta del Santuario – ma io non ne ho bisogno!». Il frate gli risponde: «Vi private della parte migliore». E quando l’uomo ribatte: «Ma neanche voi - penso ci credete veramente», l’abate afferma: «Io credo solamente ai miracoli».
Tutta la storia veterotestamentaria attesta la presenza provvidenziale di Dio nella storia del suo popolo. Gesù prolunga il “mistero” di questa storia che è sacra, appunto perché non è lasciata solo alle mani del caso e degli uomini.
Ma anche al di fuori della cerchia dei cristiani il miracolo è questione seria. Nel Talmud, redatto a Babilonia dagli esuli ebrei, un passaggio ricorda le meraviglie che Gesù faceva, ma le attribuisce alla magia ed all’inganno:
«Viene tramandato: Alla vigilia del shabbāt e della pasqua si appese Jēshû il nazareno. Un banditore per quaranta giorni andò gridando nei suoi confronti: “Egli esce per essere lapidato, perché ha praticato la magia e ha sobillato e deviato Israele. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e l'arrechi per lui”. Ma non trovarono per lui alcuna discolpa, e lo appesero alla vigilia del shabbāt e della pasqua. Ulla [un rabbino del IV secolo] disse: “Credi tu che egli sia stato uno, per il quale si sarebbe potuto attendere una discolpa? Egli fu invece uno che conduce all'idolatria e il Misericordioso ha detto: Tu non devi avere misericordia e coprire la sua colpa!”. Con Jēshû fu diverso, poiché egli stava vicino al regno» (Talmud Babilonese Sanhedrin 43a).
Questo documento non cristiano non nega i miracoli, ma li attribuisce al fatto che Gesù praticasse la magia.
Studiosi di teologia fondamentale, come R. Latourelle e la sua scuola, ritengono a ragione che la presenza così numerosa di miracoli nei Vangeli e la capacità taumaturgica di Gesù ricordata anche negli Atti ed in altri testi neotestamentari, siano motivo sufficiente per affermarne l’evidenza storica, a meno che non si abbia una preclusione ideologica di fondo.
La resurrezione di Lazzaro è l’unico motivo che può spiegare adeguatamente come mai Gesù sia stato accolto con tanto entusiasmo a Gerusalemme, in una città in cui Egli non era sufficientemente conosciuto.
La cacciata dei demoni appartiene al novero dell’azione di Gesù, capace di operare ciò che le sole forze umane non sarebbero in grado di realizzare. Ed anche il prosieguo della vita della Chiesa, mostra come nella storia la fede abbia continuato ad operare miracoli – si pensi solo alle più di 60 guarigioni avvenute a Lourdes che la scienza ha dichiarato inspiegabili con i propri mezzi, così come alle testimonianze che vengono raccolte per la canonizzazione dei nuovi santi.
Ma ciò che è importante che sia ben compreso di un miracolo agli occhi di Gesù è il suo significato. Egli pretende e ama che siano considerati come “segni” – così li chiama l’evangelista Giovanni.
Quando, ad esempio, guarisce il paralitico che gli viene calato da alcuni amici che hanno scoperchiato il tetto della casa in cui si trovava, prima perdona i suoi peccati e subito dice: «Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua» (Mc 2,10-11). Qui è evidente che il miracolo non è semplicemente un atto che supera le leggi naturali, bensì è un segno donato da Gesù, perché tutti credano nel perdono che Egli è venuto a portare. Agli occhi di Gesù ricevere il perdono di Dio è più grande che iniziare a camminare. Il miracolo è donato ad uno solo, perché tutti credano al perdono.
Vale la pena ricordare che chiunque riceve in dono un miracolo, dovrà comunque affrontare poi la morte, perché il miracolo non è la salvezza, ma solo un segno del dono della resurrezione che Gesù ha conquistato per tutti. Nota è la storia di un uomo che venne miracolato a Lourdes e morì poi per incidente pochi anni dopo. Quel miracolo gli era stato donato per affrontare poi la morte, gli era stato donato non per vivere eternamente in questa vita, ma come un segno della vittoria futura sulla morte che attendiamo.
Diego Fabbri in Processo a Gesù, fa esclamare a Giovanni, il discepolo amato: «Non vorrei che credeste che i miracoli fossero la principale occupazione di Gesù! Benché voi abbiate l’aria di non volerlo credere, io vi dico che Gesù diventava triste quando la gente gli chiedeva un prodigio. Sembrava dire: non capiscono che questo linguaggio! Allora si nascondeva, scappava perfino. Ecco quel che Gesù faceva con gusto: parlare! Questo sì! Parlare... parlare... spiegare, spiegare: si accaniva, si esaltava, si commuoveva a spiegare». A lui, nel dramma teatrale, fa eco la Maddalena che esclama: «Non capite che il vero miracolo era quello dell'amore! Non capite nemmeno voi — come non capirono loro — che quel che contava per Gesù era l'amore, e i miracoli che erano? Soltanto gesti e parole e atti d'amore!».
Proprio l’amore aggiunge e non sottrae verità ai miracoli. L’amore del Cristo vuole la salute, la guarigione, la vita eterna dell’amato. Gesù è venuto per il bene nostro: egli piange e si affligge nel lutto, perché desidera la nostra vita. E dove il Padre lo vuole, dona la resurrezione in segno della resurrezione che sarà donata a tutti.
Così avvenne nel caso del figlio della vedova di Nain: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”» (Lc 7,13-14). Così avvenne alla morte dell’amico Lazzaro: «Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”. Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: “Togliete la pietra!”» (Gv 11,35-36.38-39).
La scrittrice Flannery O’Connor, meditando sulla storia di una bambina, Mary Ann, colpita da un tumore che le aveva mangiato metà del volto e che morì poi all’età di dodici anni, aveva affermato che quella malattia non era necessariamente il segno dell’ingiustizia della vita, quanto piuttosto poteva ricordare la promessa che Dio avrebbe compiuto. Le suore che l’avevano accolta nella loro casa avevano scritto la storia della bambina e quel racconto era «incompiuto come il volto della bambina. Entrambi sembravano lasciati, come la creazione al settimo giorno, perché altri li finissero».
Ecco il varco aperto dai miracoli: Dio è ancora all’opera e la nostra storia va verso un compimento dove non ci saranno più lacrime.
Alla fine per Gesù c’è un segno che riassume tutti i miracoli: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,39-40). Nel segno della resurrezione di Gesù tutto è donato a tutti.