La pretesa di Cristo e la pretesa di Israele, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (10/5/2015)
Tutti e quattro i vangeli, prima di ripercorrere la vicenda terrena di Gesù, si aprono fornendone uno sguardo sintetico.
Marco presenta al primo versetto un titolo programmatico - «Inizio del vangelo che è Gesù Cristo, Figlio di Dio» - e prosegue con la proclamazione della figliolanza divina nel Battesimo di Gesù. Dio dal cielo proclama: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). Quelle parole, che richiamano l’unicità di Isacco, dicono subito a chi ascolta o legge il Vangelo di Marco che Gesù è l’unico, che egli è “l’amato” da Dio.
In maniera complementare Matteo annuncia fin dal principio l’unicità di Gesù. Infatti nel primo capitolo che descrive la sua genealogia, quando si giunge alla generazione che precede Gesù, l’evangelista scrive: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). La linea paterna fin lì descritta viene come messa da parte perché quel concepimento deriva, per parte umana, solo da Maria e non da Giuseppe, che pure è l’ultimo anello: non più un uomo, ma una donna, Maria, deve essere messa in evidenza. Subito dopo, Matteo presenterà quel bambino come «Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23), prendendo dalla traduzione della Settanta - la traduzione dall’ebraico in greco fatta dai rabbini della diaspora d’Egitto - il termine “vergine” a designare Maria (Mt 1,23).
Luca, invece, apre con un Prologo (Lc 1,1-4) nel quale non si danno solo delle indicazioni storiografiche, ma si afferma che dall’incontro con la vita di Gesù che sarà raccontata nel suo Vangelo sono nati degli annunciatori: infatti, «coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio […] divennero ministri della Parola» (Lc 1,2). Ecco che qui la vita di Gesù è definita come Parola ed anzi Parola talmente importante da meritare tutta una ricerca storica: Parola importante come l’Antico Testamento e più dell’Antico. Luca prosegue poi immediatamente dopo con il cosiddetto “vangelo dell’Infanzia” (Lc 1-2), dove la nascita di Giovanni Battista, pur miracolosa, è vista come qualitativamente diversa da quella di Gesù, che è invece opera dello Spirito Santo. I continui riferimenti all’antica alleanza mostrano anche qui che tutto è giunto ormai al suo culmine.
L’inizio del Vangelo di Giovanni - che si apre con il Prologo nel quale si proclama che il Dio che nessuno ha mai visto si è reso visibile nel Logos fatto carne - non è allora così diverso dagli esordi dei tre sinottici, come abitualmente si ripete senza un riscontro effettivo con i testi stessi.
Nessun vangelo inizia con la predicazione del regno o con le parabole o con i miracoli o con gli insegnamenti di Gesù. Perché la proclamazione del regno e le parabole e i miracoli e gli insegnamenti, così come la morte e resurrezione, hanno significato solo perché appartengono a Gesù il Cristo, il Figlio di Dio.
Tutti e quattro i vangeli iniziano affermando la sua unicità, la sua decisività, la sua diversità da tutto ciò che l’uomo aveva fino ad allora conosciuto. Di modo che Gesù è sia in continuità con la pretesa di Israele di essere stato scelto da Dio per rivelarLo al mondo, sia in discontinuità a partire da una nuova pretesa: è lui stesso a rivelare pienamente al mondo il Padre.
C.S. Lewis ha così scritto in modo splendido:
«Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito».
Infatti, in ogni passo del Vangelo e non solo nei primi versetti di ognuno di essi non può non essere colta questa pretesa, pena l’incomprensione stessa dei Vangeli.
Gesù perdona l’adultera e non chiede al marito di perdonarla: solo Dio può perdonare i peccati commessi da qualcuno contro altri senza sentire il parere dell’offeso. Gesù chiede che si lasci tutto, anche il padre e la madre, e fino alla perdita della propria vita per seguirlo: solo Dio può chiedere una cosa simile. Gesù completa la Legge mosaica dicendo «avete inteso che fu detto, ma io vi dico»: solo Dio ha potere sulle sue stesse parole pronunciate nell’alleanza. Nel cammino dell’esodo Mosè si era domandato se Dio era in mezzo al popolo «sì o no», mentre ora Gesù dichiara di essere dove due o tre si riuniscono nel suo nome: solo Dio può essere presente in mezzo agli uomini.
Nel processo a Gerusalemme poi sarà ancora una volta evidente che Gesù non viene condannato per paura di un sovvertimento del potere - che anzi è chiaro a Pilato che da quell’uomo nessun danno politico potrà derivare alla sua autorità -, bensì perché il Sinedrio avverte che quell’uomo parla facendosi simile a Dio. Ad un orecchio ebraico del tempo la pretesa di Gesù è evidente: Saulo stesso, prima di diventare Paolo, percepiva l’assurdità di tale pretesa cristiana.
Eppure proprio quella pretesa è il lieto annunzio. Quella pretesa non elimina, anzi conferma la pretesa di Israele. Gesù conferma che la pretesa di Israele è vera: Dio si è rivelato nella storia santa del suo popolo eletto, passo dopo passo. E questa rivelazione è stata gioia per Israele e per il mondo intero.
Ma ora ancora maggiore è la gioia, perché in Lui, a Dio è piaciuto rivelare se stesso: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”?» (Gv 14,9) – che fa eco all’“inno di giubilo” ricordato dai sinottici: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,26).
I quattro Vangeli, mettendo al centro la novità di Gesù e non singoli episodi della sua vita, corrispondendo così anche all’esigenza dell’annunzio del vangelo a chi ancora non lo conosce o lo ha dimenticato: andare subito al cuore della sua pretesa.
In effetti, due vie sono possibili per presentare la storia di Gesù. Una possibilità è quella di presentare prima una serie di episodi della sua vita, disposti come a scaletta, per salire gradino dopo gradino e giungere infine, dopo un lungo percorso, a soffermarsi sulla novità della sua persona. Una diversa possibilità è quella di andare direttamente al cuore della sua vita, guardarlo come negli occhi, cogliere la sua novità e la sua pretesa, prima di ripercorrere la sua vita.
È questa seconda via che i Vangeli seguono. È come se i Vangeli volessero suggerire che il centro pulsante della fede cristiana non deve emergere solo al termine dell’itinerario di un lungo itinerario, bensì deve esserne la chiave che si offre fin dall’inizio. La piena rivelazione del volto di Dio che si compie in Cristo, la rivelazione della sua misericordia, non deve essere rimandata come conclusione, bensì deve essere l’inizio ed il centro a cui ogni volta ritornare. Perché è la sua presenza in mezzo a noi la vera novità del mondo e le sue parole ed i suoi gesti testimonianza di questa venuta.