Gesù non ha scritto niente, perché è Lui la pienezza della rivelazione, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (4/5/2015)
Holbein il giovane, Cristo morto, Basilea, Pinacoteca
«Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (Dei Verbum 2). “Mediatore” e “pienezza” della Rivelazione sono le due espressioni bibliche più importanti che i Padri conciliari scelsero per parlare di Gesù all’uomo contemporaneo. Eppure esse non vengono ancora utilizzate nell’annunzio e nella catechesi così come nell’insegnamento della religione, ulteriore riprova di quanto il Concilio debba ancora penetrare nel vissuto della Chiesa post-conciliare.
Con queste espressioni il Concilio optò per una presentazione della persona di Gesù che non partisse né dal dogma della piena umanità e divinità del Figlio, né dalla pura e semplice narrazione dei diversi episodi evangelici della vita del Signore. Certamente il Concilio non rinnegò niente della verità del dogma cristologico, così come dei racconti della vita del Cristo.
Ma avvertì che l’uomo moderno ha bisogno che gli sia fornita una chiave di lettura per appassionarsi a Cristo. La scelta delle due espressioni “mediatore” e “pienezza” per parlare di Gesù nasce dalla consapevolezza che, in un mondo che ignora ormai tutto di Gesù se non addirittura vi si contrappone, è decisivo partire dalla sua persona considerata nella sua unità, ponendo in seconda battuta sia il dogma sia la narrazione della sua vita. La sottolineatura del carattere personale della rivelazione - Dio non rivela verità o eventi storici, ma se stesso – richiede che ci si soffermi innanzitutto sulla persona stessa di Gesù.
Perché innanzitutto “mediatore”? I Padri conciliari sapevano bene che l’uomo contemporaneo ritiene vero solo ciò che è “immediato”. “Immediato” è il contrario di “mediato”. La Dei Verbum avverte bene che è questa la grande sfida che l’uomo lancia alla Chiesa: la grande questione da affrontare è se un rapporto “immediato” con Dio, se un rapporto con la fede “senza mediatore” possa esistere ed, anzi, essere più vero di quello cristiano.
Il Concilio vuole accompagnare per mano l’uomo a capire che, senza quel “mediatore”, l’uomo non avrebbe mai potuto comprendere che Dio è amore fino alla croce sopportata per prendere su di sé il male degli uomini.
Ed, in effetti, se un mediatore non fosse necessario, perché mai non ci sono stati cristiani prima della venuta di Cristo? Mai uomini enormemente saggi e religiosi, come Socrate, Platone, Aristotele o Buddha, hanno potuto immaginare la misericordia di Dio. Non hanno potuto immaginare la misericordia di Dio perché non hanno conosciuto l’Incarnazione del “mediatore”.
Solo dopo la venuta di quel “mediatore”, solo dopo la venuta del Cristo, ecco che nei luoghi più sperduti del mondo uomini e donne, ricchi e poveri, sapienti e ignoranti, hanno iniziato a baciare le piaghe del Crocifisso ed a chiedere che il perdono spezzasse l’odio: è attraverso quel “mediatore” che Dio ha finalmente svelato il suo volto.
Pensiamo a monumenti meravigliosi come le piramidi maya e azteche. Ebbene lì venivano fatti salire uomini cui veniva estratto il cuore ancora pulsante per offrirlo agli dèi. L’uomo, senza la mediazione di Cristo, si era fatto un immagine di Dio che non corrispondeva alla verità della sua misericordia, che non giungeva fino a “bucare le nubi” per vedere il volto di amore di Dio.
Paolo ha espresso bene il fallimento di questa ricerca che non è mai stata in grado di attingere la verità su Dio: «Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1,20-21).
Affermare che Cristo è l’unico “mediatore” non elimina però la bellezza della ricerca di ogni generazione per giungere a scorgere il volto di Dio: tutti gli uomini, infatti, sono accomunati dal bisogno di trovare Dio, da quello che è stato chiamato il “senso religioso”. Nessun animale ha mai avuto, né mai avrà il desiderio di Dio.
Totalmente diverso è l’uomo: niente di ciò che è creato e finito basta all’uomo che, in ogni tempo ed in ogni luogo, ha sempre anelato e sempre desidererà scoprire la verità su Dio. Quella ricerca, per quanto infruttuosa, dice la grandezza dell’uomo. Ma ecco che in Gesù, ora, in questi tempi che sono gli ultimi, Dio ha finalmente rivelato il suo volto.
I Padri conciliari riprendono il termine “mediatore” dal linguaggio biblico. La Dei Verbum non solo parla della Parola, ma anche predilige alcuni passi della Sacra Scrittura, invitando ad utilizzarli oggi nella teologia e nell’annunzio.
Sceglie il termine “mediatore” che compare esplicitamente negli scritti paolini: «Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5). Lo stesso pensiero emerge nei sinottici: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27 con parallelo in Luca). Giovanni dal canto suo afferma: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). E ancora: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,5-7).
Ma in realtà i passi sulla mediazione di Cristo sin qui citati sono solo alcuni dei molti che potrebbero essere ricordati, perché gli scrittori neotestamentari sanno bene di aver compreso che Dio è amore a partire dall’incontro con il Signore Gesù. Gesù è il “mediatore” della rivelazione, perché la conoscenza di Dio non è una conquista dell’uomo, bensì una rivelazione che nasce dalla libertà di Dio cui piacque farsi conoscere.
Ma ecco che al termine “mediatore”, la Dei Verbum aggiunge una seconda espressione: «Cristo è insieme la pienezza di tutta intera la Rivelazione». Altre religioni condividono con il cristianesimo la convinzione esperienziale e teologica che non sia possibile conoscere Dio senza un mediatore. Per il popolo ebraico è evidente che non sia possibile conoscere Dio senza la mediazione di Abramo e di Mosè. Per l’Islam non si può dare conoscenza di Dio senza la mediazione del profeta Maometto. Ma, se ci si rivolge al mediatore Mosè ecco che egli indica la legge del Sinai come pienezza della rivelazione divina. Se ci si volge a Maometto ecco che egli indica il Corano come pienezza della parola divina.
Gesù, invece, è non solo il mediatore, ma anche la pienezza della rivelazione stessa. Chi lo incontra, si sente dire: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Sulla croce Gesù ci dona non solo il suo amore, ma l’amore stesso del Padre. Il perdono del Cristo - ad esempio il perdono dell’adultera o del paralitico - non è semplicemente il perdono di Gesù, bensì il perdono stesso di Dio che giunge a noi. Ecco perché egli ha detto semplicemente: «Seguitemi». Perché stare con Lui è stare con il Padre.
Se nell’Antico Testamento era importante che Dio abitasse in mezzo al suo popolo, ora al cuore di tutto Gesù pone il vivere nella sua comunione: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Gesù è il “mediatore” della rivelazione, ma ne è insieme la “pienezza”. Chi si rivolge a Lui non si sente rimandato altrove, bensì viene chiamato a vivere in comunione con Lui.
I Padri conciliari ripresero dalla Bibbia anche il termine “pienezza” per indicare la novità del Cristo. Forse il testo più bello in merito è quello di Colossesi: «È in Cristo Gesù, il Signore, che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). Ma l’espressione compare in altri densissimi testi paolini: «Perché siate in grado di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,19). Giovanni dal canto suo utilizza lo stesso termine: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).
Ma al di là delle ricorrenze letterali del termine è in ogni frammento del Nuovo Testamento che traspare la consapevolezza degli amici di Gesù di essere dinanzi a Colui che rivela il volto di Dio e che lo rivela pienamente. Gesù è Colui per il quale merita lasciare tutto, perché è il tesoro nascosto nel campo, è la perla più preziosa, è il vero pastore, è l’acqua viva, è il vero cibo, è la via, la verità e la vita, poiché Egli semplicemente è come il Padre. Perché in Lui si manifesta l’amore di Dio e, quindi, l’infinito valore della vita umana, la dignità di ogni uomo che nasce in questo mondo.
Con parole straordinarie così Henri de Lubac, grande teologo francese del secolo scorso, ha sintetizzato la novità cristiana: «Cristo, sì, Verbo abbreviato, “abbreviatissimo”, “brevissimum”, ma sostanziale per eccellenza. Verbo abbreviato, ma più grande di ciò che abbrevia. [...] Le due forme del Verbo abbreviato e dilatato sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio. Mani e Maometto hanno scritto dei libri. Gesù, invece, non ha scritto niente; Mosè e gli altri profeti “hanno scritto di lui”. Il rapporto tra il Libro e la sua Persona è dunque l’opposto del rapporto che si osserva altrove. La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, “in maniera tale che la si vede e la si tocca”: Parola “viva ed efficace”, unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza. Il cristianesimo non è la “religione biblica”: è la religione di Gesù Cristo”».