Lo Spirito che libera dallo spirito del tempo, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (26/4/2015)
Johannes Vermeer, Trionfo della fede cattolica
detto anche Allegoria della fede
«Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). La fede cristiana non è solo fede nell’evento già avvenuto della morte e della resurrezione di Gesù 2000 anni fa. La fede cristiana è fede nella presenza del risorto qui e ora nel suo Spirito.
L’iconografia ha rappresentato tutto questo in maniera straordinaria ed estremamente sintetica ogni volta che ha voluto simbolizzare le tre virtù teologali. Per ognuna di esse ha utilizzato la figura femminile in diversi atteggiamenti.
Ha rappresentato spesso la speranza, come una donna che guarda in alto, che guarda più in là di ciò che avviene. Ha rappresentato la carità come una donna carica di bambini che l’abbracciano, come una donna amante della vita, felice delle creature nate per grazia di Dio e disposta a servirle.
Ha rappresentato la fede come una donna che contempla la croce, simbolo dell’evento pasquale, ma, insieme, fissa il suo sguardo sul calice e sull’ostia consacrata. Perché quell’evento pasquale è ora vivo e presente nell’eucarestia.
Si potrebbe dire che la fede cristiana è fede nell’eucarestia, è fede in Cristo vivente nei suoi sacramenti, è fede nell’opera dello Spirito Santo che “ricorda” e “rende presente” sempre di nuovo il Cristo, è fede nell’opera della grazia che rinnova il cuore dell’uomo oggi. Non basta la fede nel Gesù storico. La fede, se non guardasse al Cristo eucaristico, al Cristo incontrato oggi nello Spirito, non sarebbe fede nel Dio vivente!
Gesù nel vangelo di Giovanni presenta lo Spirito che il Padre manderà come il Paràclito, termine greco dai molteplici significati, che vuol dire il “consolatore”, l’“avvocato”, il “difensore”. Egli è colui che è “chiamato presso” di noi, perché se il ritorno del Figlio al Padre significasse che noi siamo stati abbandonati e lasciati soli, questo equivarrebbe a dire che noi siamo perduti.
Come il Figlio è stato il “primo consolatore” venuto “in mezzo a noi”, perché senza Dio e la sua grazia l’uomo non può vivere e si perde, così ora egli lascia a noi un “nuovo consolatore” perché Dio “dimori” presso di noi. Di Dio e della sua grazia, infatti, l’uomo vive.
Ma Gesù spiega bene che questo “secondo consolatore” non è semplicemente diverso da lui, bensì è uno con lui e con il Padre ed, anzi, è quel dono di Dio che ci mantiene nella comunione con il suo amore.
Infatti, il Consolatore non potrà parlare da sé: piuttosto, parlerà del Padre e del Figlio. Egli «vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
La parola di Gesù che identifica precisamente lo Spirito come Spirito del Cristo non solo è decisiva nell’interpretazione teologica cristiana del dialogo inter-religioso - poiché non si da uno Spirito che va oltre Cristo, che non conduce a lui, che lo supera - «Chi va oltre e non rimane nella dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi invece rimane nella dottrina, possiede il Padre e il Figlio» (2Gv 9).
Una tale parola è decisiva anche nella spiritualità cristiana del quotidiano che ha compreso fin dalle origini come vivere nello Spirito e dello Spirito sia “prendere la forma” di Cristo, sia divenire cristiani.
Lo Spirito Santo spinge il credente ad incontrare Gesù, a ricordarlo, a contemplarlo, ad amarlo, a vivere di lui. Ecco un passaggio capitale della spiritualità cristiana, come ricordava Santa Teresa d’Avila: «Ho sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri». Lo Spirito invita a passare per la carne di Gesù, come per la via più sicura per giungere a Dio.
Questo vuol dire, innanzitutto, fare la fatica - e trovare la gioia - di conoscere veramente il Signore. Lo Spirito che ha ispirato la Chiesa a scrivere di Gesù nel Nuovo Testamento, spinge poi i credenti a riprendere sempre di nuovo in mano quei testi, per conoscerli e amarli sempre di più e trovarvi in essi la voce del Figlio.
Scriveva in pieno umanesimo Erasmo da Rotterdam, spingendo i cristiani a cercare nei vangeli il volto del Signore:
«Se arriva qualcosa dai Caldei o dagli Egizi, bramiamo ardentemente di conoscerlo proprio perché viene da un mondo a noi estraneo, e l’arrivare da lontano fa parte del suo valore.
Spesso sulle fantasie di un poveruomo, per non dire di un impostore, ci tormentiamo ansiosamente, non solo senza alcun frutto, ma con grande spreco di tempo – per non dir di peggio (sebbene sia già gravissimo non ottenere nessun risultato). Ma come mai una curiosità di questo genere non stuzzica l’animo dei Cristiani, che sanno benissimo che la loro dottrina non viene dall’Egitto o dalla Siria, ma dal cielo stesso? Perché non riflettiamo tutti che è necessario sia uno straordinario, mai visto, genere di filosofia quello di predicarci il quale colui che era Dio si è fatto uomo, colui che era immortale si è fatto mortale, colui che era nel cuore del Padre è sceso in terra?».
Ma lo Spirito, prima di ispirare i testi della Sacra Scrittura, ha ispirato la Chiesa stessa che li ha scritti. Lo mostra chiaramente la storia narrata dagli Atti degli apostoli. Ad esempio, al momento di prendere l’importante decisione che si può diventare cristiani senza essere prima circoncisi, il collegio apostolico ha il coraggio di affermare che la decisione viene dallo stesso Spirito di Dio: «È parso bene allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28).
L’ispirazione delle Scritture è una delle manifestazioni dello Spirito, ma non l’unica. Quello stesso Spirito che ricorda il Cristo nelle Scritture ha guidato la comunità primitiva a seguire la sua volontà, conducendo gli apostoli riuniti nel prendere una decisione così gravida di conseguenze. Egli li mantiene fedeli alla volontà di Cristo. Ed è a quella volontà che essi debbono sempre fare riferimento, non potendo mai sostituirsi ad essa, essendo invece sempre tenuti a servirla.
In questo senso lo Spirito è anche colui che libera l’uomo dal rischio di conformarsi allo spirito del proprio tempo, come aveva acutamente notato C.G. Jung:
«Con lo spirito del tempo non è lecito scherzare: esso è una religione, o meglio ancora una confessione, un credo, a carattere completamente irrazionale, ma con l’ingrata proprietà di volersi affermare quale criterio assoluto di verità, e pretende di avere per sé tutta la razionalità. Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso è un’inclinazione, una tendenza di origine e natura sentimentali, che agisce su basi inconsce esercitando una suggestione preponderante sugli spiriti più deboli e trascinandoli con sé. Pensare diversamente da come si pensa oggi genera sempre un senso di fastidio e dà l’impressione di una cosa non giusta; può apparire persino una scorrettezza, una morbosità, una bestemmia, ed è quindi socialmente pericoloso per il singolo».
Lo Spirito di Cristo libera l’uomo dalla schiavitù del pensiero corrente, lo libera dallo spirito del tempo, per aprirgli la via alla novità di Dio, come ha scritto G.K. Chesterton: «La Chiesa Cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo».