Apparvero la bontà di Dio e la sua misericordia per gli uomini, di Andrea Lonardo
- Tag usati: scritti_andrea_lonardo
- Segnala questo articolo:
Mettiamo a disposizione sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (26/4/2015)
Rembrandt van Rijn, Il figliol prodigo
Gesù, nella sinagoga di Nazareth, applicò a sé le parole di Isaia: «Lo Spirito mi ha mandato a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19), l’anno della sua misericordia. Ed i primi cristiani andarono subito al cuore della rivelazione che si era compiuta in Gesù: tutto si riassumeva nella misericordia, nell’amore di Dio per l’uomo. Per mezzo di Gesù Cristo «apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Lettera a Tito, 3,4).
Gesù si era fatto carico del male compiuto nel mondo, donando il perdono di Dio. Finiva il tempo della vendetta, giungeva al termine l’odio. Mai nessuno aveva creduto ad un annunzio così grande: nella croce di Cristo era apparso al mondo per la prima volta un amore nuovo, impensabile prima di allora. Ancora oggi il canto pasquale dell’Exultet si fa eco di questo annunzio di gioia: «Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio».
Certo tale misericordia appare soprattutto nella passione, nella morte e resurrezione. Tanto gli ultimi eventi della vita di Gesù sono decisivi che alla fine dell’ottocento uno studioso, Martin Kähler, giunse ad affermare che i quattro Vangeli sono «racconti della passione con ampie introduzioni». I discepoli di Gesù restarono così segnati dall’amore sconvolgente manifestatosi sulla croce, che cercarono di non perdere nessun particolare delle parole e dei gesti dell’ultima settimana di Gesù a Gerusalemme. Giovanni, in maniera mirabile, scrisse che in quegli ultimi giorni «Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Ma la misericordia di Gesù, resa perfetta dalla croce, è alla radice di in ogni momento della sua vita anche prima di quel gesto estremo, si rivela in ogni parola, in ogni azione, in ogni silenzio, in ogni lacrima, in ogni miracolo, in ogni perdono. Il suo stesso farsi uomo non può essere compreso altro che come amore. Dio non voleva più parlaci del suo amore, non voleva più inviarci ancora parole o profezie, libri da leggere e da meditare. No, Dio voleva, nella pienezza dei tempi, amarci vivendo in mezzo a noi. La Dei Verbum ardisce affermare che a Dio «piacque rivelare se stesso». Manifestare la sua misericordia è stato ed è il suo piacere, il suo godimento. Proprio perché Dio è misericordia, proprio perché ha creato gli uomini per amarli e per riceverne l’amore, ha voluto che il Figlio si facesse uomo.
Qui sta tutta la novità della fede cristiana: non è un’idea, una lettura, un’obbedienza a un libro, bensì un incontro. La fede è l’incontro con una Persona, Gesù, e con il suo amore che si rivela essere quello stesso di Dio, ed è una vita che esce trasformata da questo incontro al punto che quell’amore diviene il criterio stesso di un’esistenza nuova.
Il farsi uomo di Dio per rendere possibile questo incontro e la sua misericordia sono due aspetti della stessa realtà. Una profezia, un oracolo, un libro od un’idea non potrebbero amarci, perché non sono persone: Gesù Cristo, invece, è l’amore stesso di Dio venuto nel mondo.
Ecco perché gli evangelisti, se dedicano tanto spazio alla passione ed alla resurrezione di Cristo, nondimeno vogliono raccontare tutto ciò che è loro possibile del resto della sua vita, perché incontrare quella vita vuol dire incontrare l’amore di Dio.
Straordinario è il primo versetto del Vangelo di Marco che introduce tutto il racconto della vita del Cristo. Così recita Mc 1,1: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Il genitivo - vangelo di Gesù Cristo – può grammaticalmente essere spiegato in tre diversi modi. In greco esiste un genitivo oggettivo – l’amore di Gesù, cioè, l’amore per Gesù, che ha per oggetto Gesù – ed un genitivo soggettivo – l’amore che ha Gesù per soggetto, l’amore di Gesù per noi. Così “vangelo di Gesù Cristo” potrebbe significare letteralmente sia il vangelo che ha per oggetto Gesù, sia il Vangelo che Gesù come soggetto annunzia. Si potrebbe interpretare il versetto sia pensando che l’evangelista sta scrivendo del lieto annunzio che riguarda Gesù oppure che Marco sta raccontando di Gesù che ha un lieto annunzio da portare - ad esempio l’annunzio della venuta del Regno.
Ma esiste un terzo tipo di genitivo che gli studiosi chiamano epesegetico. Se una donna è in attesa di partorire ed insieme al papà ha deciso di chiamare il figlio Andrea e ha comunicato questo nome a tutti i parenti, quando suonerà il telefono e si spargerà la voce della lieta notizia di Andrea, qui non si tratterà né di un genitivo soggettivo – una lieta notizia che Andrea dovrebbe comunicare – ma neanche di un genitivo oggettivo – una lieta notizia che riguarda Andrea. Piuttosto la lieta notizia è Andrea stesso: la sua vita, la sua nascita, è identica con la lieta notizia. Il genitivo epesegetico sottolinea che il sostantivo al genitivo è l’evento stesso, la notizia stessa: Andrea è nato, Andrea c’è, Andrea è arrivato ed è qui.
Ecco allora perché Marco inventa il genere letterario vangelo che non esisteva prima di lui. Di Gesù non basta raccogliere le parole, come si fa con un filosofo, di Gesù non basta scrivere sommariamente una biografia come si fa con un uomo politico. Del Cristo invece bisogna raccogliere ogni sospiro, ogni sguardo, ogni abbraccio, ogni amicizia, ogni goccia di sangue, perché è Lui il Vangelo, perché Lui è la misericordia di Dio in persona, fatta carne.
Si potrebbe tradurre correttamente il primo versetto di Marco dicendo: «Inizio del vangelo che è Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Per l’evangelista Marco non bastavano i detti di Gesù che già circolavano – gli studiosi ipotizzano che esistesse una fonte che raccoglieva molti dei detti del Signore e l’hanno soprannominata fonte Q (da Quelle, che in tedesco vuol dire appunto Fonte): bisognava raccontare la sua vita, la sua passione, la sua resurrezione.
Papa Francesco si è fatto eco dell’annunzio della misericordia di Dio apparsa nel mondo con le parole della Bolla di Indizione del Giubileo della Misericordia: «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. […] Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio».
Memorabile era stato già il suo primo Angelus nel quale citò una vecchietta, teologa più di tanti teologi, che gli aveva detto: «“Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: “Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai!».
Tutto in Gesù parla della misericordia di Dio, Egli è la misericordia di Dio.
Eppure il tema della “misericordia” è stato trascurato dalla teologa sistematica dei secoli passati, presa da altre pure interessantissime questioni. Walter Kasper ha ricordato recentemente come questa dimenticanza della misericordia abbia tragicamente caratterizzato l’ultima parte del millennio appena concluso. Per il marxismo il tema della misericordia non aveva senso, tanto era centrale la lotta per la giustizia: la carità andava avversata perché poteva rallentare lo sviluppo rivoluzionario della storia. Per il nazismo ed il fascismo la misericordia era l’atteggiamento dei deboli che non sapevano imprimere alla storia il coraggio delle proprie idee. Nietzsche, padre del nihilismo, aveva ironizzato sulla croce del Cristo: ben altro atteggiamento andava coltivato a suo avviso per sottrarsi al fluire del tempo. Per la visione liberista-capitalista erano la libera concorrenza e la predominanza del merito che andavano poste al vertice dello sviluppo. Nelle correnti scientiste neo-darwiniste tutto sembrava invece dover essere sottoposto alla legge dell’adattabilità all’ambiente: gli esseri venivano selezionati dalla natura a partire dalla capacità di corrispondere alle esigenze mutevoli dell’ambiente, lasciando senza scampo le specie inadatte.
Ma proprio il dominio di queste visioni nel mondo ha fatto emergere ancor più il bisogno di una visione “calda” e non “fredda”, dell’esistere. Esiste uno sguardo di misericordia sull’uomo e sulla storia? Esiste un perdono per i peccatori? Esiste un amore che vince il potere e l’odio?
Giovanni Paolo II, che ha conosciuto la durezza del regime nazista prima e di quello comunista poi ha ricordato che al mondo non basta la giustizia, poiché senza misericordia non sono possibili la pace e la convivenza: «Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono».
La misericordia di Dio appare oggi ancora più necessaria dinanzi alla violenza del fondamentalismo. Le terribili atrocità necrofile dell’Islamic State hanno portato taluni a dichiarare erroneamente che quei terroristi non possono che essere atei. Essi sono invece idolatri, perché credono in un Dio che non è il vero Dio, perché Dio è misericordia: chiunque odia sta costruendo un idolo al posto di Dio, sta sostituendo con un feticcio il Dio vero che è amore e misericordia.
Blaise Pascal, in maniera mirabile, ha così tutto riassunto nei Pensieri: «Tutto quel che non mira alla carità è figura. L’unico oggetto della Scrittura è la carità».