[Socialismo e sionismo alle origini dell'attuale Israele] Il kibbutz compie cento anni, di Corrado Israel De Benedetti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /07 /2015 - 08:56 am | Permalink | Homepage
- Tag usati: , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dal sito http://www.keshet.it/ un articolo di Corrado Israel De Benedetti scritto nel 2011, cui abbiamo aggiunto fra parentesi quadre un nostro titolo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (10/7/2015)

Il giorno 28 ottobre 1910 due donne e dieci uomini firmavano il contratto con il dottor Ruppin che dirigeva a Giaffa il dipartimento colonizzazione della Organizzazione sionistica mondiale, per lavorare in comune il terreno comprato a Umm Juni dalla stessa organizzazione. Il dottor Ruppin era un uomo di larghe idee e aveva accettato la proposta senza alcuna condizione.

Quel gruppo di giovani, ragazzi e ragazze tra i venti e i trent'anni, aveva ben poca esperienza nei lavori agricoli: come altri giovani della loro età avevano partecipato direttamente o indirettamente alla rivoluzione russa fallita nel 1905. Erano stati influenzati dalle teorie del nascente socialismo da un parte, e dal sionismo di Herzl dall'altra, e avevano deciso di salire in Palestina per realizzare il sionismo a mezzo del lavoro agricolo. Quel piccolo gruppo di dieci ragazzi era stato in modo particolare influenzato dalle teorie di A.D. Gordon, per un socialismo basato sul lavoro fisico e la realizzazione del sionismo a mezzo della redenzione del suolo con il lavoro. Gordon stesso si trasferirà nel 1919 a Degania, dove vivrà fino alla morte.

Così si forma Degania, sulle rive del lago di Tiberiade, e il gruppo fissa due principi basilari sui quali basare il comportamento della comunità:

1. La proprietà dei mezzi di produzione e dei beni mobili e immobili (che verranno solo in futuro!) appartiene alla comunità.

2. Ogni singolo deve dare alla comunità secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri bisogni, nei limiti delle possibilità della comunità stessa.

Sulla base di questi due principi nasce il primo kibbutz e a distanza di cento anni possiamo affermare che il primo principio è tuttora valido nella quasi totalità dei kibbutzim, mentre il secondo, specialmente in questi ultimi trent'anni, si è notevolmente modificato con il passaggio a una privatizzazione più o meno spinta del fabbisogno del singolo.

Un paio d'anni dopo la fondazione di Degania scoppia la prima guerra mondiale: per fortuna il kibbutz si trova lontano dai campi di battaglia e anzi, grazie alla sua produzione agricola, riesce a mantenersi economicamente.

Alla fine della guerra, nel 1918 nascono e si sviluppano, specialmente nell'Europa dell'est, movimenti giovanili ebraici di tendenze diverse ma tutti basati su un sionismo a base socialista con l'aggiunta di scoutismo, il nuovo movimento giovanile creato da Baden Powell. In questi anni comincia la terza alià: in Israele arrivano decine e decine di giovani di questi diversi movimenti che, influenzati dall'esempio di Degania, decidono di formare un solo grande kibbutz articolato su gruppi di una ventina di persone, impegnate sul lavoro in posti diversi del Paese ma legati da una unica cornice kibbutzistica. Questi gruppi in parte svolgono lavoro agricolo, da salariati, in parte lavorano sulle strade che la nuova Amministrazione britannica ha iniziato a costruire. Il tentativo fallisce e, invece del kibbutz unico, si costituiscono kibbutzim diversi, per lo più formati da giovani provenienti dallo stesso Paese, dallo stesso movimento giovanile. Tutti questi gruppi attraversano un periodo di grande povertà, mentre all'interno vige un regime anarchico-comunista, che pretende dal singolo la identificazione totale con le decisioni prese dalla comunità, anche nei rapporti di coppia. Non tutti sono in grado di abituarsi a queste pressioni psicologiche: è il momento della prima crisi del movimento kibbutzistico. Ci sono casi di giovani che si suicidano, mentre un gruppo di una decina di giovani decide di ritornare nella Russia ormai sovietica. In Crimea fondano un kibbutz cui danno il nome Shalom (pace): in futuro parte di loro cadranno sotto le purghe di Stalin, i rimasti saranno eliminati dai nazisti.

In ogni caso la maggioranza tiene duro, supera la crisi e nel 1927 decide che è giunta l'ora di dare una cornice più vasta, di creare un movimento che coordini l'attività dei singoli kibbutzim. In quell'anno si fondano così due movimenti: il kibbutz Arzì Hashomer Hatzair e il kibbutz Hammeuchad. In effetti la vita all'interno dei kibbutzim dei due movimenti è regolata da principi del tutto uguali, la sola differenza sta nelle posizioni politiche: il Kibbutz Arzì appoggia la nuova sinistra della Palestina ebraica, mentre il Kibbutz Hammeuchad si basa sulle posizioni social-
democratiche del Mapai.

Uno dei primi atti dei movimenti è quello di dare una base ideologica alla educazione comunitaria dei bambini, basata anche sulle teorie della Montessori e sui nuovi orientamenti della psicanalisi. Fino ad allora i bambini venivano alloggiati tutti assieme nella sola casa in muratura che il kibbutz poteva permettersi di costruire, e ciò avveniva per motivi di sicurezza e di difesa dalle intemperie. Ora viene data a questo tipo di educazione una vera base ideologica e vengono fissate le regole di comportamento che caratterizzeranno fino agli anni Ottanta la cosiddetta 'educazione comunitaria'. I bambini abitano in case diverse a seconda dell'età, e in queste case dormono, mangiano e studiano. In famiglia passano le ore del pomeriggio dalle 16 alle 20, e tutti i giorni festivi. Il compito della educazione viene condiviso tra i genitori e gli educatori. Va sottolineato il fatto che nelle ore pomeridiane (da quattro a sei ore) per lo meno uno dei genitori deve occuparsi dei bambini, cosa che nel ritmo frenetico della vita odierna è quasi sempre impossibile.

Dal 1927 al 1946 vengono create decine di kibbutzim, anche con gruppi provenienti dagli Stati Uniti, dopo il 1933 dalla Germania e da altri Paesi occidentali. Il sionismo italiano partecipa alla costruzione del kibbutz Givat Brenner, dove Enzo Sereni è uno tra i primi chalutzim, mentre più tardi questo kibbutz accoglierà altri piccoli gruppi di italiani. Negli anni Trenta viene fondato un terzo movimento, quello del Kibbutz Hadatì, che fonda i primi kibbutzim religiosi, tra i quali Sdeh Eliahu che accoglierà prima dello scoppio della guerra un gruppo di giovani ebrei italiani.

Naturalmente in questo periodo tutti i kibbutzim, dopo anni di attesa in campi provvisori, vengono impiantati su terreni comprati da privati, soprattutto latifondisti arabi, da parte della Osm.

Con lo scoppio della guerra, in tutto il Paese si discute se partecipare o meno come volontari nell'esercito alleato. La discussione interessa il Paese tutto ma, alla fine, si decide per la partecipazione. Nei kibbutzim è l'assemblea a decidere chi partirà volontario, in ogni caso la partecipazione dei kibbutznikim alla guerra, e in particolare tra la piccola schiera di paracadutisti che vengono lanciati dietro le linee tedesche, è di molto superiore al loro peso nella popolazione ebraica della Palestina di allora. Tra coloro che vengono catturati e fucilati, due donne compagne di due diversi kibbutzim: Hanna Shenesh e Aviva Raich, mentre Enzo Sereni viene catturato e fucilato a Dachau.

Dal 1945 al 1948 i kibbutzim prendono parte attiva e importante nella difesa del Paese e nel delinearne i confini. Nel suo libro autobiografico uscito postumo, Joel De Malach racconta come quando si era saputo della prossima visita della commissione dell'Onu che doveva presentare nel 1947 le proposte per la creazione dei due Stati, lui si era prodigato per ventiquattr'ore a innaffiare un fazzoletto di terra nel suo kibbutz Revivim, nelle sabbie del Negev. All'arrivo della commissione fiorivano gladioli in mezzo alla sabbia, e questo fatto contribuì a far inserire il Negev nella proposta per un futuro Stato ebraico.

Durante la Guerra di indipendenza i kibbutzim servirono da basi per l'approvvigionamento del neo-esercito di Israele, e un numero rilevante di kibbutzim trovarono in prima linea a subire gli attacchi degli eserciti arabi.

Con la fine delle guerra inizia uno sviluppo notevole dei kibbutzim: se ne creano decine di nuovi con gruppi di giovani saliti in Israele, non solo come profughi dall'Europa, ma anche giovani dei movimenti giovanili da tutto il mondo, dal Sud America, dal Nord America, dall'Australia e anche dall'Italia. Economicamente i kibbutzim possono ora, con l'aiuto del governo, sviluppare i loro rami agricoli, e dopo essere riusciti (assieme ai moshavim) a coprire il fabbisogno del Paese di latte, frutta e verdure, cominciano a organizzarsi per l'esportazione dei loro prodotti agricoli.

Dal 1952 al 1954 una seconda crisi ideologica colpisce i due movimenti, come riflesso della guerra fredda e dell'ostilità della Russia sovietica e dei vari partiti comunisti nei confronti del sionismo. Nel processo di Praga contro la prima vecchia guardia del Partito comunista, viene processato anche Mordechai Oren, membro del kibbutz Hazorea dello Hashomer Hatzair. Oren, che era stato invitato a partecipare a un incontro di sindacalisti, venne condannato a vari anni di prigione: ne sconterà meno del previsto grazie ai cambiamenti succeduti alla morte di Stalin. Ma Oren è una spia, come viene accusato di essere, o è vittima di una cieca repressione? Una minoranza di membri del kibbutz Hashomer Hatzair si schiera dalla parte dei sovietici. Le discussioni ideologiche sfociano nell'espulsione di questa minoranza dai kibbutzim. Quasi nello stesso periodo il kibbutz Hammeuchad si spacca in due tronconi, che anche in questo caso si costituiscono su base ideologica (appartenenza o meno al partito Mapai), e un certo numero dei loro kibbutzim si dividono in due.

Sul piano economico, è grande lo sviluppo dei kibbutzim nell'agricoltura e nell'industria dal 1949 al 1980. I quattro movimenti stabiliscono regole di comportamento, e decine di attivisti dei vari kibbutzim vengono chiamati, per un periodo di tre anni, a dirigere le varie commissioni al top dell'organizzazione. Parallelamente si sviluppa un'ampia attività culturale; nascono due quotidiani e varie riviste mensili, si creano l'orchestra dei kibbutzim, il corpo di ballo dei kibbutzim, cori e compagnie di teatro. Per riflesso, anche nei singoli kibbutzim si sviluppa l'attività culturale nei vari campi. In questi anni il quadrilatero vicino alla Kirià, dove oggi sta il ministero della Difesa a Tel Aviv, ospita le direzioni dei quattro movimenti, e specialmente il mercoledì i palazzi dove risiedono queste direzioni sono affollati di kibbutznikim che vengono a sistemare questioni varie. Il movimento kibbutzistico si sente sempre più forte economicamente e politicamente.

Dagli anni Sessanta, sempre meno gruppi di giovani ebrei trovano la via della alià e della alià verso il kibbutz. Il kibbutz singolo deve abituarsi a basare il suo sviluppo sull'accoglimento della seconda e poi terza generazione dei nati in kibbutz. Parallelamente, i quattro movimenti svolgono una attività particolare nelle scuole per invogliare gruppi di giovani a organizzarsi per entrare in kibbutz dopo il servizio militare. Altro fenomeno, soprattutto dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, è l'arrivo di decine di volontari ebrei ma soprattutto non ebrei dai Paesi scandinavi, dalle due
Americhe eccetera. Questi volontari, nella maggior parte dei casi, dopo un periodo di permanenza di qualche mese tornano ai Paesi loro, ma vi sono anche singoli che trovano moglie o marito in kibbutz
. Queste nuove coppie in parte rimangono in Israele e in kibbutz, ma in parte tornano al Paese d'origine. Negli anni Novanta anche il flusso dei volontari diminuisce fino a scomparire quasi del tutto. I gruppi di giovani israeliani cittadini non rimangono in kibbutz dopo il servizio militare, ma soprattutto la maggior parte dei nati in kibbutz (la seconda e la terza generazione) non si ferma in kibbutz. In kibbutz rimangono i vecchi.

Dagli anni Settanta in poi ci si preoccupa di innalzare il tenore di vita dei singoli: si costruiscono case più ampie, si aumentano i mensili in contanti, ci si impegna nel costruire edifici pubblici, spendendo prestiti che un giorno o l'altro si dovranno restituire alle banche, per lo più senza tenere conto delle possibilità reali del singolo kibbutz. Nei primi anni Ottanta l'inflazione galoppante nel Paese porta a una profonda crisi economica di tutto il movimento. Il blocco dell'inflazione nel 1984, che passa in un mese dal 400 per cento annuo al 20 per cento, ha influenza catastrofica su chi vive del proprio lavoro e quindi sulla maggior parte dei kibbutzim, che non hanno riserve in banca.

Questa è la terza crisi: crisi economico-sociale, accompagnata da una crisi degli ideali, che porta negli anni Novanta il movimento kibbutzistico a un ripensamento generale delle proprie regole e dei propri comportamenti di vita. Il primo passo mosso in questa direzione è la fine dell'educazione comunitaria: dagli anni Ottanta al 2000, in tutti i kibbutzim i bambini tornano a dormire a casa dei genitori, mentre le case dei bambini di una volta li ospiteranno dalle 7 del mattino alle 16 del pomeriggio. Questa decisione porta alla necessità di allargare le stanze dei genitori, con altri oneri economici sulle spalle del kibbutz.

Il secondo passo è la richiesta di modificare, anzi direi di rivoluzionare il sistema della distribuzione dei beni: dal sistema in cui il trattamento economico dei membri del kibbutz era uguale per tutti, si vuole passare al sistema del pagamento a seconda del lavoro compiuto, dei titoli di studio e della preparazione, insomma un ritorno alla distribuzione dei beni in chiave capitalistica. Ovviamente il processo è lento, si snoda lungo diversi anni, è diverso da kibbutz a kibbutz, ma oggi nel 2011 possiamo dire che l'80 per cento dei kibbutzim ha messo in pratica questa rivoluzione, mentre un 20 per cento continua a rispettare le regole di una volta.

Contemporaneamente si tratta con il governo per una moratoria dei debiti dei kibbutzim, e dopo quasi dieci anni di trattative si arriva a una moratoria in base alla quale il governo rinuncia a un terzo dei debiti, le banche a un altro terzo e i kibbutzim si impegnano a coprire il terzo rimasto entro il 2013. Questo accordo porta alla salvezza di un certo numero di kibbutzim che erano sull'orlo della bancarotta, ma richiede al movimento e a ogni singolo kibbutz tagli dolorosi.

La vita culturale del movimento viene ridotta al minimo: si chiudono quotidiani, mensili e altre attività culturali. Si vendono immobili di proprietà del movimento. La struttura organizzativa viene ridotta all'osso: da quattrocento e più attivisti, ciascuno con la sua auto, si passa a una quarantina di persone. Nel kibbutz singolo si riducono i servizi comunitari, in molti si chiude il chadar haochel (spreco inutile), in altri cessano i contributi per le spese universitarie dei giovani e così via. Queste misure servono in definitiva a salvare economicamente il kibbutz, e dagli anni 2000 in poi la situazione della maggior parte dei kibbutzim è decisamente migliorata, non ci sono più pericoli di bancarotta, e i kibbutzim possono guardare al futuro con serenità, tuttavia ancora non sono assicurate le pensioni per gli anziani e di anziani in kibbutz ce ne sono ora molti, mentre di giovani sempre meno. Con il passare dei mesi si constata che la vita socio-culturale del kibbutz è calata in modo impressionante, mentre il singolo membro del kibbutz si sente più ricco e può disporre come meglio crede delle sue entrate.

Superata la crisi economica, dai primi anni 2000 ha inizio una ripresa del movimento (i tre movimenti 'laici' si sono uniti nel Movimento unificato dei kibbutzim, mentre il movimento dei kibbutzim religiosi per ora rimane indipendente).

Kibbutzim privatizzati e kibbutzim ancora fedeli ai principi classici diventano una meta agognata per giovani famiglie abitanti in città. In molte di queste famiglie uno dei due coniugi è nato in kibbutz e lo ha lasciato dopo il servizio militare, ma ci sono anche famiglie che non hanno mai avuto a che fare con un kibbutz. Si accavallano domande per essere accolti in kibbutz come semplici inquilini che pagano un affitto o come 'nuovi compagni' che mantengono la loro indipendenza economica (e quindi non diventano soci dei mezzi di produzione del kibbutz) ma si impegnano a sostenere ovviamente tutte le spese comunali e a partecipare all'attività della comunità.

I motivi che spingono queste famiglie a tornare in kibbutz sono vari:

1. La possibilità per i bambini di muoversi all'aperto senza paura di essere investiti o rapiti. In genere in tutti i kibbutzim vi sono strutture adatte ad accogliere i bambini di tutte le età, molto apprezzate.

2. L'assistenza sanitaria per lo più è migliore e più rapida che non in città.

3. L'aria pulita del kibbutz in luogo dello smog cittadino: ecologicamente il kibbutz è un luogo dove si vive meglio.

4. La possibilità di un minimo di vita sociale comunitaria.

Molte di queste famiglie decidono di costruirsi, con i propri mezzi, la casa in kibbutz. Porto come esempio il mio kibbutz, Ruchama, dove un gruppo di venti famiglie con sessanta bambini entra in questi giorni in un nuovo quartiere di case di proprietà delle singole famiglie, mentre un altro gruppo di quindici famiglie si sta organizzando. In questo modo il kibbutz ringiovanisce, frotte di bambini sono tornati a riempire i marciapiedi e i centri di educazione. Non solo, ma molte di queste nuove famiglie sono desiderose di rinnovare un minimo di vita culturale e sociale insieme, di nuovo si celebrano le feste e si creano circoli di attività varia.

Sarà questa la via per un diverso ma ulteriore sviluppo del movimento kibbutzistico? È presto per dirlo, ma ci sono buone probabilità che ciò avvenga e che i nostri figli e nipoti possano in futuro celebrare i 150 anni del kibbutz, come si è fatto quest'anno in Italia per festeggiare l'Unità nazionale.

(Ruchama, aprile 2011)