La femminista svedese Kajsa Ekis Ekman spiega il suo “no” alla legalizzazione della prostituzione ed alla maternità surrogata perché contrarie alla lotta per la dignità della donna 1/ Intervista a Kajsa Ekis Ekman, di Meghan Murphy (con traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo 2/ “La prostituzione è la nemica della liberazione sessuale”. Intervista a Kajsa Ekis Ekman
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1/ Intervista a Kajsa Ekis Ekman, di Meghan Murphy (con traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo
Riprendiamo dal sito Lunanuvola's Blog la traduzione a cura di Maria G. Di Rienzo, cui appartiene il blog, di un’intervista a Kajsa Ekis Ekman pubblicato su quel sito il 9/5/2014, con i credits che l’accompagnavano. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sotto-sezioni Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender e Le nuove schiavitù nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (10/4/2015)
(“Being and Being Bought: An interview with Kajsa Ekis Ekman”, di Meghan Murphy per Feminist Current, 20 gennaio 2014, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. In memoria di Cristina Andreea Zamfir, rumena, 26enne, madre di due figli, prostituta: uccisa e crocifissa ad una transenna sotto il cavalcavia dell’A1 nei pressi di Firenze, il 4 maggio u.s.)
Kajsa Ekis Ekman è una giornalista svedese e l’autrice di “Being and Being Bought: Prostitution, Surrogacy and the Split Self”, che di recente è stato tradotto in francese ed inglese. Ho parlato con lei al telefono mentre si trovava a Stoccolma.
Meghan Murphy (MM): Cosa ti ha guidato nello scrivere un libro sulla prostituzione?
Kajsa Ekis Ekman (KEE): Due cose, la pratica e la teoria. Esaminare un soggetto da due angolazioni è molto fruttuoso e, a dire il vero, è necessario se vuoi scrivere su qualcosa come la prostituzione. Quando ho cominciato a scrivere il libro era il 2006 e il dibattito sulla prostituzione stava appena dando segni di vita in Svezia. La legge sui servizi sessuali era implementata dal 1999 e allora il dibattito era stato piuttosto sottotono. Quando invece ricominciò, spuntando apparentemente dal nulla, fu immediatamente vasto e acceso. Di colpo, c’erano persone che dicevano: “Questo è solo un lavoro, questa legge è moralista, chiunque ha il diritto di fare quello che gli pare.” Vedevo femministe e persone nei movimenti di sinistra lasciarsi prendere da questo e cambiare le loro opinioni, e lo trovavo sconcertante.
Nello stesso periodo vivevo a Barcellona e dividevo un appartamento con un donna che vendeva se stessa sulla circonvallazione fuori città. Perciò osservavo quel che accadeva con i miei stessi occhi. Lei aveva un ragazzo che fungeva più o meno da magnaccia, anche se si era vantato con me di essere un rapinatore di banche – ma penso non fosse proprio il caso, perché era sempre in casa sul computer o accompagnava lei sulla strada o la andava a riprendere. Presto ho capito che viveva alle spalle della donna. Vedevo la realtà della vita di lei e della vita delle sue colleghe. La maggior parte di esse non erano europee, lei era russa e c’erano anche delle sudamericane. All’inizio anche loro si vantavano con me, di fare un sacco di soldi, ma chiaramente non era vero: facevano poche decine di euro a notte, ci si sbronzavano sino a perdere i sensi e la cosa ricominciava uguale il giorno dopo.
La realtà della situazione non combaciava con quel che veniva detto nel dibattito sul “lavoro sessuale” – erano due mondi differenti. Perciò ho cominciato a scriverne.
Scrissi un paio di articoli sulla prostituzione e la risposta fu scioccante. In precedenza avevo scritto un bel po’ di pezzi con cose del tipo “Distruggiamo il capitalismo, ora!” e nessuno mi aveva criticata, ma come mi sono permessa di dire: “Sapete, le leggi che abbiamo sulla prostituzione mi sembrano abbastanza buone.”, tutti sono impazziti. Ho ricevuto un’incredibile ammontare di odio e minacce via mail. Perciò ho deciso di concentrarmi ancora di più sulla prostituzione e ho cominciato la mia ricerca, cosa che ho fatto per quattro anni a partire da allora.
MM: La reazione com’è stata?
KKE: Molti hanno reagito dandomi della “femminista radicale”, ma non lo sono, sono semplicemente una femminista. Tutto qua. Conosco le teorie radicali femministe, ma sto usando anche un bel po’ di letteratura marxista nelle mie analisi – perché guardo alle cose da più angolazioni.
MM: Alcuni credono che se la prostituzione fosse completamente legale uscirebbe dal sottobosco e sarebbe in qualche modo più sicura per le donne.
KKE: Se dici una cosa del genere dovresti sostenere la tua opinione con dei fatti, perché se si guarda alla realtà, almeno qui in Europa, non è andata così. Hanno fatto uno studio[1] che ha valutato la legalizzazione della prostituzione e dei bordelli, ed esso mostra che nessuno degli scopi relativi alla sicurezza delle donne è stato raggiunto. La legalizzazione non ha reso la prostituzione più sicura, non ha fornito alle donne un ambiente di lavoro sicuro e neppure stabilità nel lavoro, e la maggioranza delle donne ha continuato a non pagare le tasse. Quello che risulta, invece, è che le donne restano nella prostituzione per più tempo di quel che si aspettavano, perché è diventato più difficile per loro lasciare l’industria. Se osservi l’esperienza tedesca e quella olandese ti accorgi che la legalizzazione non ha reso la faccenda maggiormente sicura – in effetti è accaduto il contrario.
MM: C’è anche quest’idea che la prostituzione sia tabù, il che è collegato all’idea che la sessualità sia tabù. Basandosi su tale argomentazione, alcuni dicono che se la prostituzione è normalizzata come opposizione al “tabù” è sessualmente liberatoria. L’argomentazione si spinge sino a dire che le femministe contrarie alla prostituzione sono “anti-sesso” o bigotte o stanno reprimendo la sessualità altrui. Tu cosa ne pensi?
KKE: Bisogna chiedersi: “Cos’è la prostituzione?” Ci sono due persone in questo scambio. Una di queste persone ha voglia di fare sesso e l’altra no. Questo è il criterio di base. Senza questa condizione non c’è prostituzione. Se ci sono due persone che vogliono fare sesso l’una con l’altra – se sono calde, se sono eccitate, se muoiono dalla voglia l’una per l’altra, ovviamente non pagano. Se c’è una sessualità libera nessuno dei due paga l’altro.
Nella prostituzione stiamo parlando di un tipo di “sessualità” dove una persona non desidera una situazione sessuale e l’altra deve darle una mazzetta per averla. Questo è il fondamento della prostituzione. Ciò come configura il non plus ultra della libertà sessuale? Perché le persone non sono disturbate dal fatto che qualcuno debba essere convinto a soldi ad entrare in una situazione sessuale?
MM: C’è chi ti dirà che è consensuale, che sta accadendo fra adulti consenzienti.
KKE: Ma la donna a cosa sta acconsentendo? Sta acconsentendo al denaro, non al sesso di per sé. Se tu dici ad una prostituta qualsiasi: “Hai due opzioni: puoi prendere i soldi e andartene o puoi prendere i soldi e restare a fare sesso.”, quante pensi restino a fare sesso? Nemmeno se sei il più accanito difensore della prostituzione riesci a dire che la maggioranza rimarrà per il sesso. In maggioranza le prostitute prenderebbero i soldi e se ne andrebbero, perché non vogliono fare sesso, in realtà, vogliono il denaro.
Chi parla di sessualità radicale o di sessualità liberata, come fa a non vedere la situazione per quella che è? Sesso dove una persona non lo vuole? Questo è ciò che rende la prostituzione diversa da ogni altro tipo di situazione sessuale. Se le due persone lo vogliono, nessuna paga, e se nessuna persona lo vuole, non c’è per niente sesso.
MM: Cosa pensi della posizione “è solo un lavoro”? Per esempio, c’è chi dice che le prostitute forniscono semplicemente un servizio, come una terapista, una parrucchiera o una cameriera.
KKE: Bene. Se è solo un lavoro allora dobbiamo dimenticarci l’idea che la prostituzione abbia a che fare con la libertà sessuale. Ma anche se guardiamo da questa prospettiva, la prostituzione non si conforma al concetto di “è solo un lavoro”. Io definisco la prostituzione una menzogna.
Mentre stavo intervistando una prostituta per il libro lei mi disse: “Ok, facciamo finta che sia solo un lavoro. In questo caso, sai come sarebbe? Masturberesti il tizio mentre lui guarda un film porno. Non dovresti fingere niente, non dovresti mugolare e gemere, non dovresti dirgli nulla. Lo faresti meccanicamente.” Ma la prostituzione non è così. Nella prostituzione la persona che vende deve fingere di essere là perché le piace.
La parte spinosa è questa: la prostituzione viene istituzionalizzata come lavoro, ma allo stesso tempo, quando la donna è pagata, deve fare del suo meglio per pretendere di essere là perché adora esserci. Deve dire a lui: “Oh, sto venendo, sei il migliore, sei così sexy, mi stai eccitando da pazzi” e via così. Deve fare del suo meglio per far dimenticare a lui che la sta pagando.
E in ogni caso, perché dovremmo legalizzare un “lavoro” che ha così alti tassi di abuso, omicidio, stupro? Guardate i livelli di violenza e l’alto tasso di mortalità delle persone che si prostituiscono: voglio dire, qualsiasi altro lavoro verrebbe rubricato come illegale dal primo giorno. Persino in Olanda, nel distretto a luci rosse che si suppone così sicuro e controllato, le donne sono uccise di continuo. Persino la prostituzione legalizzata, ovunque si dia, non si conforma ad alcuna legge o regolamento sul lavoro.
MM: In Canada, ove io vivo, femministe e progressisti sono d’accordo sul fatto che le prostitute non dovrebbero essere criminalizzate: nessuna merita di essere punita perché lavora nell’industria del sesso. Il dibattito, invece, è sul criminalizzare o no i magnaccia e i clienti, e alcuni sostengono che il farlo danneggerebbe le prostitute o che finirebbe per punire i membri delle loro famiglie. Per esempio il partner o i figli che vivono con la prostituta potrebbero essere accusati di sfruttamento della prostituzione.
KKE: Chi lo sostiene ha qualche statistica al proposito? Qualcosa che dimostri come sia comune per i membri della famiglia finire in prigione? Perché se lo sostieni devi mostrarmi quanti casi di questo tipo ci sono. Il problema di questo dibattito è che contiene un mucchio di cose presunte e nessun fatto. Se dici che la legge mette in prigione i familiari di una prostituta per sfruttamento me lo devi dimostrare, non basta che tu lo dica.
Sul fatto che criminalizzare i clienti danneggerebbe le prostitute, la domanda che devi farti è: “Chi sta commettendo violenza contro le donne nella prostituzione?” E’ la legge? O sono i clienti? O i magnaccia? Se c’è qualcuno che abusa delle prostitute sono gli uomini. E questo è il problema. Ed è per questo problema che dobbiamo fare qualcosa.
Non ci sono prove concrete per dire che la situazione peggiora con la legge. Le esperienze che abbiamo noi con la legge, in Svezia, sono molte positive: si sta riducendo il numero dei compratori, e abbiamo un ridotto numero di prostitute, 1500/2000 al massimo. L’altro aspetto della legge, di cui nessuno parla, è che dà alcuni vantaggi alle prostitute. Ora, una prostituta può denunciare il suo cliente, ma lui non può denunciare lei. Diciamo che la tratti male, o che rifiuti di pagare: lei può minacciare di denunciarlo, perché quel che sta facendo è già illegale. Lui non può usare la stessa minaccia con lei, perché lei non sta facendo nulla di illegale. Nei paesi dove la prostituta sta facendo qualcosa di illegale, e il cliente no, lui ha ancora più potere in una situazione già diseguale, perché può minacciare di denunciarla.
MM: Poi c’è la questione del traffico di esseri umani. Alcuni dicono: state confondendo il traffico e la prostituzione, sono due cose diverse. Lo sono?
KKE: Di base, il traffico è la risposta alla questione di domanda e approvvigionamento. Il traffico entra in gioco quando non c’è un numero di prostitute bastante a soddisfare la domanda: parlando in termini di mercato, è così. Nel mondo occidentale, dove non ci sono mai abbastanza donne ad entrare volontariamente nell’industria del sesso, c’è sempre scarsità. Detta crudelmente, le persone che entrano nella prostituzione si “consumano” molto presto e i clienti vogliono “carne fresca”, vogliono donne più giovani e donne che abbiano appena iniziato. Non vogliono prostitute vecchie che fanno il mestiere da decine da anni. Inoltre, l’alto tasso di mortalità e il prezzo che la prostituzione chiede al tuo corpo rendono la vita all’interno del mestiere molto corta. Perciò c’è sempre richiesta di più prostitute. Se le donne affluissero a milioni all’industria del sesso non ci sarebbe bisogno di trascinarle fuori dall’Europa dell’est. Chi si prenderebbe un fastidio simile? Non è logico. Se ci fossero migliaia di donne in fila fuori dai bordelli che dicono: “Per favore, lasciatemi entrare a lavorare!”, perché mai la mafia dovrebbe aver bisogno di trascinarle in giro attraverso l’Europa e il mondo – non ha senso. Il traffico di esseri umani esiste semplicemente perché non ci sono abbastanza donne che si prostituiscono volontariamente. Se vuoi l’industria della prostituzione senza traffico, sarebbe un’industria ben piccola. Non si può separare il traffico dalla prostituzione. Dovresti far decrescere la domanda al punto che davvero pochissimi uomini comprerebbero sesso: in quel caso, potresti essere abbastanza sicuro che le donne sono lì “volontariamente”.
MM: Mi chiedo se puoi parlare un poco del modello svedese, o del “modello nordico”, come viene a volte chiamato, e cosa comporta.
KKE: Ciò che molta gente non sa è che il modello è il risultato di trent’anni di lavoro e ricerca. C’è gente che pensa si tratti di un gruppo di femministe e assistenti sociali che hanno deciso di far guerra agli uomini o roba del genere. No: si è cominciato a fare ricerca negli anni ’70 e a guardare in profondità alla realtà della prostituzione. Era la prima volta che ci si prendeva la briga di intervistare prostitute su larga scala. Il focus era spostare lo sguardo sulla prostituzione, dall’essere una devianza all’essere un problema sociale che coinvolgeva le relazioni sociali di genere, la povertà, il modo in cui le donne sono cresciute, l’incesto, eccetera.
Dopo la ricerca, è venuta la domanda sul cosa fare. La risposta fu la criminalizzazione del cliente e la legislazione entrò in vigore nel 1999. Sono passati 14 anni e la legge ha avuto molto successo non solo nel far diminuire la domanda, ma nel far comprendere alla popolazione che la prostituzione è un prodotto della diseguaglianza di genere. L’80% degli svedesi approvano la legge, ed è una cosa che non senti riportare molto spesso.
E’ accaduto che i trafficanti hanno cominciato a trovare difficile stabilirsi in Svezia e si sono mossi in Norvegia. Oslo, la capitale, fu inondata dalla mafia nigeriana e ciò spinse il paese ad adottare la stessa legge. I trafficanti si spostarono allora in Danimarca, e questo è il motivo per cui la Danimarca sta considerando la possibilità di adottare la stessa legge.
MM: Esistono sistemi di sostegno per le persone che vogliono lasciare l’industria del sesso? Cosa accade alle donne che perdono i loro introiti quando lasciano la prostituzione?
KKE: C’è qualcosa che voglio ribadire: se vuoi adottare una legge di questo tipo non puoi farla entrare in vigore e basta. Devi assicurarti che la legge sia accompagnata da adeguati servizi di sostegno. In Svezia abbiamo le “unità sulla prostituzione” che non sono solo programmi d’uscita, sono molto di più. Se sei stata nell’industria hai accesso, ad esempio, a terapie gratuite, ti si fornisce aiuto a trovare casa e lavoro e a maneggiare i debiti se ne hai.
In Svezia abbiamo un welfare molto forte così, a differenza del Canada o degli Usa, la prostituzione da noi non è il risultato dell’estrema povertà. La prostituzione in Svezia tende ad esistere come risultato di precoci abusi sessuali e cose simili. Le donne tendono ad aver bisogno di aiuto per superare comportamenti autodistruttivi, piuttosto che per sfuggire alla povertà.
MM: Qualcuno, identificandosi come anarchico o socialista, dice che la criminalizzazione dei clienti non è una buona risposta perché “Non voglio dare alla polizia più potere di quanto ha già, anche se si tratta di uomini che comprano sesso o che sono violenti.” Tu ti identifichi come anarchica? Socialista? Cosa pensi di questo argomento?
KKE: Mi sono definita anarchica, in passato, forse lo sono ancora un po’… Ma credo che lo stato sia un attrezzo importante. Intendo: lo stato può essere qualsiasi cosa, buona o cattiva, ma non è sempre e necessariamente una cosa cattiva. Lo stato può servire gli interessi del capitale, o dell’esercito, o del popolo. Dipende dalle circostanze storiche e non è limitato in se stesso ad un’unica funzione.
Credo che l’argomento citato come anarchico sia un’interiorizzazione di pessimismo. E’ come dire: le cose non cambieranno mai. E in questo caso, se niente cambierà mai tu cosa suggerisci? Andrai con il tuo gruppo anarchico a dimostrare ogni giorno davanti al bordello?
L’esperienza con la polizia svedese è stata davvero interessante, perché all’inizio non capivano lo scopo della legge, non vedevano il comprare sesso come un crimine, perciò trattavano i clienti come se avessero violato i limiti di velocità. La maggioranza degli uomini che compravano sesso era sposata, perciò chiedevano ai poliziotti di mandar loro la multa in ufficio invece che a casa, dove moglie e figli l’avrebbero vista. E i poliziotti rispondevano: “Sicuro, non si preoccupi, non c’è problema.”
Una campagna educativa all’interno della polizia ha cambiato questo e fatto capire agli agenti che si trattava di proteggere le donne, non gli uomini. Se ascolti le registrazioni delle lezioni pensi che gli istruttori siano delle femministe, sono straordinari. Adesso i poliziotti dicono cose del genere: “Cos’è successo perché questi uomini non sappiano nemmeno controllare i loro uccelli? Dovrebbero smetterla.” Devi lavorare con le forze dell’ordine: se non lo fai, loro manterranno la stessa attitudine che avevano prima e cioè che le donne sono le criminali e che gli uomini stanno solo essendo uomini.
MM: Com’è legata la prostituzione all’eguaglianza di genere e come le leggi del tipo di quella svedese hanno un impatto sulle donne tutte?
KKE: I lobbysti dell’industria del sesso tentano di raffigurare la prostituzione come se non fosse un’istanza di genere, ma solo un “compratore” con una “venditrice”. Parlano in termini di mercato, e io penso sia molto interessante. Nel mio libro studio il discorso pro-prostituzione a partire da 100 anni fa e la differenza principale fra allora e ora è che la prostituzione non era una cosa di mercato, riguardava l’essere uomini e donne. In passato si pensava che le prostitute fossero donne “cadute” e che non fossero adatte a nient’altro: se smettevano di essere prostitute, sregolate com’erano, avrebbero fatto le criminali. Per gli uomini, invece, l’idea era che avevano necessità dell’accesso alle prostitute, altrimenti avrebbero stuprato donne “decenti” e non sarebbero stati in grado di continuare a vivere i loro matrimoni.
Un secolo più tardi il movimento femminista c’è stato e mentre delle persone difendono ancora la prostituzione come istituzione, il discorso è cambiato. Non parlano più di uomini e donne, ma la questione è ancora di genere, perché i compratori sono praticamente al 100% uomini e chi vende sono al 90% donne. E’ solo un altro modo di arrangiare le relazioni di potere fra uomini e donne e se vogliamo parlare di sessualità io non penso potremo avere relazioni sessuali positive ed egualitarie fra uomini e donne fintanto che la prostituzione esiste in modo prevalente nella società.
Ciò che la prostituzione fa agli uomini che pagano per il sesso è mantenerli all’interno di una menzogna. Questi uomini non sanno nemmeno cosa fare a letto, non sanno come dar piacere a una donna, e non capiscono il corpo femminile, perché le donne con cui fanno sesso sono pagate per dir loro che sono il massimo, che sono amanti eccezionali. Per cui, lui la paga e poi va a casa e fa la stessa cosa con sua moglie e lei è tipo: “Mmmm… no.”, e lui pensa che è noiosa e bigotta o che c’è qualcosa in lei che non va. Perciò non imparerà mai la verità su cosa fare a letto, e la bugia continuerà a perpetuarsi.
La bugia, anche, induce le donne che si prostituiscono a conformarsi ad un’idea specifica di come le donne “dovrebbero” essere a letto. Non si tratta di persone che stipulano un contratto, è lo stabilirsi di una relazione dove il sesso è quello che vogliono gli uomini: l’uomo è il compratore e perciò avrà quello che vuole. La faccenda è tutta sul rinunciare a qualsiasi tipo di desiderio da parte della donna per soddisfare i desideri dell’uomo.
2/ “La prostituzione è la nemica della liberazione sessuale”. Intervista a Kajsa Ekis Ekman
Riprendiamo dal sito http://www.ilcorsaro.info/ la traduzione di un’intervista a Kajsa Ekis Ekman pubblicato su quel sito il 7/1/2015, con i credits che l’accompagnavano e con licenza Creative Commons. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (12/4/2015)
Scritto da Glòria Casas Vila - Traduzione di Nicola Tanno
Kajsa Ekis Ekman è una giornalista svedese autrice di Being and Being Bought, un testo in cui elabora una teoria contro la prostituzione. Pubblichiamo la traduzione di un'intervista da lei rilasciata al numero 374 del settimanale catalano Directa, che ringraziamo assieme all'autrice, Glòria Casas Vila, per la disponibilità. Vi proponiamo questa controversa intervista, che ha suscitato non poche polemiche con la sua pubblicazione su Directa e che ha dato vita a un dibattito intenso anche all'interno della nostra redazione, come stimolo a un dibattito troppo poco sviluppato nel nostro Paese e contro ogni tabù.
Kajsa Ekis Ekman
La prostituzione è uno dei temi che genera maggior dibattito nel movimento femminista, diviso sostanzialmente in due opposte fazioni: la "regolamentarista" o pro-lavoro sessuale, che difende la normalizzazione della prostituzione nella nostra società, e l'"abolizionista", che ne sostiene l’incompatibilità con l'uguaglianza tra uomo e donna. Kajsa Ekis Ekman aderisce al secondo approccio, sulla base di un’impostazione femminista e marxista. La giornalista, scrittrice e attivista svedese ha scritto due libri: "Being and Being Bought. Prostitution, Surrogacy and the Split Self", e "Stolen Springs", sull'impatto della crisi in Grecia.
Kajsa ha partecipato alla creazione di diversi collettivi femministi come Feminists Againsts Surrogacy. Nel mese di giugno è stata a Barcellona, invitata dalla Piattaforma Catalana per il Diritto a Non Essere Prostituta.
Perché hai scritto un libro su prostituzione e uteri in affitto?
Il mio interesse per questi temi è cominciato a Barcellona, dove ho vissuto per due anni convivendo con una donna russa che si prostituiva per strada. La sua vita era molto lontana dall'immagine della donna prostituta come "donna forte" tanto diffusa oggi, la donna che sa ciò che vuole, che guadagna molto e che lo fa per uscire dalla povertà. Non solo non usciva da quello stato, ma cadeva sempre più nell'alcolismo. Anni dopo tornai a Barcellona e scoprii che era morta a causa dell'alcol, a neanche trent'anni. Erano gli anni in cui si stava diffondendo quel discorso per cui la prostituzione è libertà e femminismo. Visto che almeno nel caso della mia amica sapevo che tutto ciò non era vero, mi misi a studiare tutto ciò che si era scritto sull'argomento finché ho deciso di scriverci un libro.
E dunque per te che cos'è la prostituzione?
È molto semplice. È sesso tra due persone delle quali una vuole farlo e l'altra no. E, siccome il desiderio è assente, esso è sostituito da un pagamento. Questa differenza è alla base di tutto il fenomeno, dal sesso "d'alto bordo" al traffico di persone. Il denaro è ciò che consente di accettare la richiesta del cliente, e senza il quale la relazione non ci sarebbe. Sono del tutto inutili i discorsi finalizzati a nascondere la realtà: senza pagamento non vi sarebbe relazione. È per questo che la prostituzione è la nemica della liberazione sessuale, del desiderio reciproco, del piacere condiviso.
Come mai hai scritto anche sugli uteri in affitto?
Per difendere la pratica della surrogazione di maternità si utilizzano gli stessi argomenti che vengono usati per giustificare la prostituzione: una donna può fare quello che vuole con il proprio corpo, è una sua decisione, ci guadagna e in questo modo può uscire dalla povertà. Ne consegue che tutti avrebbero il diritto ad avere figli e a fare sesso anche se non vi è alcuna convenzione dell'ONU che lo affermi. La mia opinione è che qui abbiamo a che fare con due industrie, e che entrambe vendono il corpo delle donne come se fossero dei prodotti. Nel caso della prostituzione tale prodotto è il sesso, nell'altro, al contrario, figli senza sesso. Ritroviamo così la vecchia dicotomia tra la "puttana" e la "verginella", trasformate in tal modo in due prodotti, entrambi sul mercato. Io dico che tutto questo è totalmente inconcepibile con l'uguaglianza di genere e con la liberazione della donna.
Nel tuo libro parli di una campagna lanciata a Barcellona con lo slogan Anch’io sono puttana (Jo també sòc puta). Come spieghi che una parte del movimento rivendichi questa parola?
La maggior parte delle persone che la rivendicano non sono prostitute e pertanto usano una parola che non ha nulla a che fare con loro. Tu, come bianca o eterosessuale, non puoi rivendicare parole come "negro" o "ricchione". Non ti appartengono. Credo che questo uso politico della parola "puttana" mostri un certo feticismo; esso è usato per dimostrare empatia ma in realtà è una dimostrazione di distanza dal mondo della prostituzione. La parola "puttana" non è una creazione femminile ma maschile, è il patriarcato che definisce la donna in relazione alla propria sessualità.
Perché credi che esistano ampi settori della sinistra e del femminismo che difendono la prostituzione?
Il discorso a favore del lavoro sessuale ha convinto le femministe che la prostituzione sia il risultato del fatto che le donne dispongono di maggiore libertà del proprio corpo. Alla gente di sinistra viene detto che la prostituta è una lavoratrice e una sindacalista; ai liberali si racconta che è una questione di libertà individuale e che la prostituta è un’imprenditrice del sesso; ai militanti dei movimenti LGBT e queer si dice che le prostitute sono un gruppo stigmatizzato, come loro. Il discorso in favore del lavoro sessuale cerca di appropriarsi dei temi centrali di tutte le ideologie per infiltrarsi nelle sfere della società. Ha la proprietà incredibile di combinare l'idea di rivolta (gli oppressi e le oppresse contro il potere) con il capitalismo (la libertà di vendere). La prostituzione è circondata da miti che ci impediscono di vedere la tragedia che suppone che un essere umano ne compri un altro, un essere umano che riduce l'altro in uno stato di oggetto, di merce. "Ti compro. Esisti per soddisfarmi".
Si sanno ben poche cose della legge svedese (chiamata Kvinnofrid, "della pace delle donne") che penalizza i clienti della prostituzione per la prima volta nella storia. Qual è il processo che ha portato alla sua approvazione?
La legge si basa sulle ricerche avviate nel 1977. Vennero realizzate molte interviste a prostitute e a clienti. Il risultati di quegli studi – un rapporto di 800 pagine – fu una vera bomba, e cambiò l'orientamento di tutte le ricerche scandinave e mondiali. Da allora la prostituzione – allo stesso modo della violenza – è una questione di politiche di genere.
Quali risultati hanno comportato 15 anni di applicazione?
La prima cosa da sapere è che la legge svedese non è stata concepita per combattere la prostituzione, allo stesso modo che la legge contro gli omicidi non esiste per misurare se vi sono più o meno assassinii. La questione è cambiare le norme sociali: comprare sesso è un diritto o no? Nel corso della storia la prostituzione è sempre stata proibita in una maniera o nell'altra, ma ad essere colpita è sempre stata la persona che vende il sesso. Addirittura in Germania, dove la prostituzione è legale, si è multati se viene esercitata a fianco di una scuola o di una chiesa. In Svezia, al contrario, la vendita del sesso è totalmente depenalizzata. Ciò che si fa è multare il cliente. La legge dice che chi commette l'atto della prostituzione non è la donna, la prostituta, ma il cliente. Lui è il responsabile, lui fa la scelta.
E cosa ne sappiamo dei risultati della legge?
Nel 2010 venne commissionato uno studio e ne venne fuori che vi sono meno uomini che comprano sesso: prima lo facevano uno su otto uomini, adesso uno su tredici – in Spagna è uno su quattro. Certamente, vi sono svedesi che vanno in Tailandia a comprare sesso, però non vi vanno mica ogni giorno. Riguardo all'opinione espressa dai cittadini, tra il 70% e l'80% si dichiaravano a favore. Oggi in Svezia i giovani pensano che chi paga per sesso è uno "sfigato", incapace di avere una relazione con una donna al di fuori della prostituzione. Si evidenzia anche che il nostro è un paese con molta poca prostituzione se lo confrontiamo, ad esempio, con la Danimarca, un paese più piccolo del nostro ma con diecimila prostitute, contro le mille o le duemila del nostro. Ovviamente una legge non può risolvere tutti i problemi. Bisogna costruire un'anagrafe delle prostitute, sapere da dove vengono, se sono controllate da mafie etc. Il traffico di persone si muove rapidamente. Ad esempio in Svezia vi era la criminalità nigeriana che gestiva il flusso, ma, in seguito all'approvazione della Kvinnofrid, si è spostata in Norvegia, e, quando anche qui hanno approvato una legge simile, è andata in Danimarca. Sono sempre in circolazione, certo, ma se questa legge si estendesse in tutt'Europa, dove potrebbero più andare?
Oltre alle misure penali, quali altre norme stabilisce la legge?
In Svezia abbiamo case d'accoglienza con sostegno psicologico, terapeutico e lavorativo. Vi è molto da fare: più prostituzione comporta la necessità di un maggiore lavoro sociale. E anche quando si sceglie la via della legalizzazione bisogna fare un grosso lavoro di sostegno, perché, assieme alla prostituzione, crescono anche la miseria, la dipendenza dalle droghe e dall'alcol.
Come vedi il lavoro sociale che viene realizzato per aiutare le donne a prostituirsi in modo più "professionale", dando loro ad esempio dei preservativi?
Dicono che riduce il danno. A mio parere non è affatto vero. Se un cliente ti picchia a cosa serve un preservativo? Se soffri stress post-tramatico e se non senti più una parte del tuo corpo a causa delle botte prese a cosa ti serve un preservativo? Per me la riduzione del danno è la riduzione della prostituzione.
Però queste ONG danno anche consigli su come rispondere a un cliente violento.
Immagina di lavorare alle poste e che ti dicano "Se un cliente ti picchia fai questo, se ti violenta fai quest'altro". Questo genere di lavoro verrebbe considerato legale? Non credo. Un lavoro dove vi è un tasso di mortalità quaranta volte superiore a quello di qualsiasi altro non sarebbe legale, tutti i sindacati ne chiederebbero la proibizione. Eppure, davanti alla prostituzione, i presunti sindacati dicono "Avanti, molto bene, meraviglioso!". È come il mondo all'incontrario di Eduardo Galeano. La prostituzione è il mondo all'incontrario. I sindacati di solito dicono: "il nostro lavoro è duro, veniamo trattati male etc." E cercano di dimostrarti perché è pericoloso, lottano contro i padroni, etc. I presunti sindacalisti della prostituzione, invece, dicono "Il nostro lavoro è fantastico!". Quando nella zona rossa di Amsterdam, aperta ventiquattro ore al giorno, gli chiesi se avessero mai avuto conflitti lavorativi mi presero per matta.
Nel libro spieghi il paradosso del fatto che la prostituzione sia rivendicata come un lavoro ma che, in pratica, la prostituta, durante il rapporto, nasconda che sta lavorando.
La prostituzione è una bugia. L'uomo che vuole il sesso cosa cerca? Una donna che lo faccia come se stesse svolgendo un'attività lavorativa? Una lavoratrice guarda l'orologio, non vede l'ora che finisca la giornata. Lui sogna una donna che si comporti come se si trovasse in una situazione normale. Lei deve far dimenticare al cliente che è una prostituta e convincerlo che là perché è molto calda, che ha un orgasmo dietro l'altro. E gli uomini ci credono! Sui forum dei puttanieri dicono "Quella è venuta quattro volte!" Ma che ingenui! Ma come possono mai crederci? Quelle donne non pensano certo a loro quando sono al lavoro, non pensano certo al sesso. È lì che comincia la dissociazione, la reificazione. Da un lato devono comportarsi come se si trovassero in una situazione normale, ma allo stesso tempo cercano di estraniarsi da loro stesse. Se si concentrassero sul sesso e sulle sensazioni non riuscirebbero a gestire la loro prostituzione. È una strategia di autodifesa.
Nel libro parli, per l'appunto, della dissociazione nella prostituzione. Perché?
Perché tutti gli studi internazionali sul tema ne parlano. Leggendo testimonianze si trova sempre lo stesso concetto: non pensano al sesso quando lavorano, pensano ad altro. Lo fanno perché in caso contrario non sopporterebbero l'avere dieci clienti al giorno. E la logica conseguenza di tutto ciò è che la prostituta finisce per non fare sesso. La prostituta è la donna più asessuale che esiste.
Ti concentri anche sui discorsi di chi minimizza la realtà del traffico di persone, come la sociologa Laura Agustín. Da cosa nasce questa sottovalutazione?
La Agustín dice che "la lavoratrice sessuale migrante è molto fortunata perché è molto cosmopolita", e che lo stare chiusa un giorno intero in un luogo è per lei un fatto positivo perché le permette di guadagnare un sacco di soldi. Sono parole molto forti, di un cinismo immenso. La differenza principale tra la prostituzione e il traffico di persone è che la vittima di questo secondo fenomeno non guadagna niente, è una schiava, mentre almeno la prostituta alla fine ha un minimo di beneficio economico. Ma questa schiavitù è una conseguenza della prostituzione visto che non mi pare che vi siano molti settori che si fondano sul sequestro di persone. In tempi di crisi, con moltissima manodopera inutilizzata, per fomentare la prostituzione bisogna andare in Ucraina o Romania a cercare persone, a dimostrazione del fatto che stiamo parlando di un lavoro che molte persone non vorrebbero fare. Il problema è che la domanda è alta, soprattutto nei paesi ricchi, e poca l'offerta. E inoltre la prostituta si "sciupa" molto facilmente mentre il mercato ne chiede di "fresche". Insomma, se si volesse creare una industria del sesso solo con prostitute volontarie, sarebbe molto piccola. Non si può avere un’industria del sesso in Spagna o Germania o in Olanda senza traffico di persone.
Note al testo
[1] Report by the Federal Government on the of the Act Regulating the Legal Situation of Prostitutes