Le correnti salafite dell’Islàm, di Laurent Basanese. Appunti di Andrea Lonardo
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo a presentazione di un articolo di padre Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, pubblicato su La Civiltà Cattolica, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 425-438. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti. cfr. la sotto-sezione Islam nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (29/3/2015)
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L’esplodere della violenza islamista ha alle sue origini più profonde una questione che spesso sfugge agli occhi di chi non conosce l’Islam e la sua storia. Infatti, la posta in gioco della questione è quale sia il volto del vero Islam. La minoranza violenta che fa parlare di sé sui giornali pretende di restituire all’Islam i suoi veri tratti, quelli delle origini, e, conseguentemente, si scaglia contro tutti i musulmani che ignorano alcune caratteristiche dell’Islam primitivo o le ritengono superate, come appartenenti ad un contesto storico non più ripetibile. In un recente articolo apparso su La Civiltà Cattolica[1], Laurent Basanese aiuta a comprendere la complessità del problema:
«Con il salafismo affrontiamo una questione interna ai musulmani, ma che riguarda tutti: la questione del «vero» islàm. I salafiti pretendono di predicare quello che essi chiamano l'islàm delle origini, oppure un islàm corretto dalle «deviazioni» professate dalle altre correnti religiose. Esso si presenta così come l'unica forma legittima e autentica di pratica religiosa: un argomento, questo, al quale i giovani, convertiti o no, non sono insensibili. Infatti, come indica la sua etimologia, il salafismo intende tornare alle fonti della religione, prendendo come punto di riferimento supremo il comportamento dei primi musulmani dell'Arabia del VII secolo - «i pii antenati», al-salaf al-sālih, secondo l'espressione
in uso -, che sono considerati dagli studiosi musulmani come coloro che hanno compreso e applicato meglio l'islàm e i suoi insegnamenti. Secondo i musulmani salafiti, è anzitutto la sunna, la tradizione o la via tracciata da Maometto, e non l'esercizio della ragione individuale, che deve essere utilizzata per interpretare il Corano[2]: il libro sacro deve essere compreso alla luce di tutto ciò che Maometto ha potuto dire, fare o tacere per spiegare ai suoi contemporanei il senso del testo. L'osservanza della sunna potrebbe, in un certo senso, essere chiamata «l'imitazione di Maometto». È la sunna che incarna le prescrizioni contenute nel Corano. Ad esempio, il Corano richiede al credente di dedicarsi alla preghiera, ma è la pratica del Profeta dell'islàm che consente di conoscere il numero o l'orario delle preghiere, come pure le prostrazioni necessarie per il loro compimento. Parimenti, per le questioni sulle quali il Corano non si pronuncia, è la sunna che deve guidare il comportamento dei credenti. La grandissima importanza data allo «stile» di Maometto è una delle principali caratteristiche del salafismo. Ma quando anche le tradizioni tacciono su una determinata questione, allora si deve ricorrere al modo di fare dei «compagni» (al-sahāba) del Profeta, a partire dai primi quattro califfi e dai più antichi studiosi dell'islàm (vissuti nel 632-661). Infine, ci si può riferire alla generazione seguente, quella dei «successori» (al-tābi'īn) e dei loro immediati discepoli, e mettere in luce, grazie a questo corpus così ampio, norme di comportamento valide in ogni luogo e in ogni tempo. Per i salafiti, le generazioni successive si sono allontanate dal vero islàm e la religione musulmana è entrata in un lungo periodo di decadenza, che continua ancora oggi. Per ristabilire la «gloria dell'islàm» dei primi secoli, occorre ritornare, secondo loro, alla «vera credenza» e alle pratiche autentiche dei pii antenati. Convinti di appartenere a una comunità di avanguardia, essi si sono attribuiti il compito di ripristinare la credenza musulmana primitiva e autentica, emendando la pratica religiosa dai suoi particolarismi locali e dalle «innovazioni» (bid'a), che avrebbero alterato, nel corso dei secoli, l'islàm originario. Per questo i salafiti sono in disaccordo totale con quella che essi definiscono «la sequela cieca» delle scuole giuridiche dell'islàm sunnita, che tuttavia hanno plasmato fortemente la storia religiosa delle società musulmane[3]»[4].
Basanese ricorda che le origini della corrente salafita sono molto antiche e che rappresentano una questione ricorrente nella storia dell’Islam. Non sono pertanto semplicemente un portato della storia recente o una conseguenza diretta dell’attuale situazione geo-politica, bensì una costante che ciclicamente ricompare nella storia del mondo islamico:
«Al di là della centralità riconosciuta al Corano e alla sunna, il credo salafita è il prodotto di molti secoli di contributi di teologi, i più importanti dei quali sono Ibn Hanbal (IX secolo), Ibn Taymiyya (XIV secolo) e Ibn 'Abd al-Wahhab (XVIII secolo). In effetti, anche se i salafiti sono caratterizzati da orientamenti culturali, sociali e politici molto diversi, tutti però si riferiscono alla stessa tradizione dottrinale, quella della scuola neo-hanbalita, promossa nel XIV secolo da Ibn Taymiyya e riscoperta nel XIX secolo, quando è stato creato il Regno dell'Arabia Saudita. Sebbene negasse di voler fondare una nuova corrente e pretendesse soltanto di spiegare il vero islàm, Ibn Hanbal (morto nell'855) resta il fondatore di una scuola giuridico-teologica pienamente riconosciuta nel sunnismo[5]. Secondo lui, si deve dire di Dio soltanto ciò che è scritto nel Corano, o ciò che Maometto spiega nella sunna: il testo del Corano deve essere accettato così com'è, senza cercare di interpretare allegoricamente le espressioni ambigue, e senza porre domande. Se, per quanto riguarda il diritto musulmano, l'influsso di questa scuola fu limitato praticamente alla penisola arabica, il suo pensiero teologico, semplice e vigoroso, è invece molto più esteso. Nel XIV secolo, la scuola hanbalita è attraversata da due correnti che si ritrovano ancora oggi nel salafismo: una corrente ascetica, che consiste nell'evitare tutto ciò che non è chiaramente definito come haram (proibito) o halal (lecito), e nello sfuggire a qualsiasi forma di contaminazione con il mondo dei kuffār(empi); e una corrente attivista, ben illustrata dalla figura di Ibn Taymiyya (1263-1328). Il damasceno Ibn Taymiyya ammira il rispetto scrupoloso dell'islàm originario e il grande coraggio che Ibn Hanbal ha manifestato di fronte al potere politico-religioso del suo tempo[6]. D'altra parte, egli stesso si presenta come un nuovo Ibn Hanbal, e come un teologo che non appartiene a nessuna scuola tradizionale del sunnismo. Egli dice, a proposito di uno dei suoi libri: «Ho riferito solo il dogma dei pii antenati; l'imam Ibn Hanbal non ha in questo nessuna posizione privilegiata». Verso il 1300, all'epoca delle invasioni mongole della Siria, Ibn Tyamiyya predica la guerra santa (jihad), nonostante gli invasori si siano convertiti all'islàm. Secondo lui, non basta nascere, definirsi musulmani, o confessare l'unicità di Dio e Maometto come suo messaggero, per essere riconosciuti come «veri musulmani»: bisogna «imitare», cioè obbedire a Dio e obbedire al suo messaggero; fare ciò che Dio ama e gradisce; evitare ciò che lui o il suo messaggero hanno proibito; essere amico dei suoi amici e nemico dei suoi nemici; comandare ciò che è conveniente, e proibire ciò che è detestabile; combattere contro i miscredenti e gli ipocriti, con il cuore, le mani e la lingua. La dottrina della guerra santa, ampiamente sviluppata nella sua opera e considerata persino superiore al pellegrinaggio alla Mecca, sarà ripresa dall'islamismo radicale nei nostri giorni. Se Ibn Taymiyya aveva tolto a una popolazione non araba da poco convertita all'islàm - i mongoli - la qualifica di musulmani, uno dei suoi grandi lettori nell'Arabia del XVIII secolo, il predicatore Ibn 'Abd al-Wahhab (1703-92), accuserà i suoi correligionari di ricadere nell'«ignoranza pre-islamica», perché non conoscono veramente la loro religione. La sua teologia consiste essenzialmente in una visione esclusivista dell'unità di Dio: se Dio è unico, allora, come affermava Ibn Taymiyya, le manifestazioni di pietà popolare, come la visita alle tombe per chiedere l'intercessione di un santo, fanno progredire l'empietà a scapito della vera credenza. Il wahhabismo - che prende il nome dall'opera di Shaykh al-Wahhab - si presenta dunque come un movimento di purificazione religiosa. Le idee di questo pensatore sulla religione sarebbero potute rimanere marginali, se egli non fosse stato sostenuto politicamente da Muhammad Ibn Saud, il capo di una piccola oasi nei pressi dell'attuale città di Riyad[7]. Dopo che i due uomini conclusero un patto tra loro nel 1744, i Saud difesero la dottrina dello sceicco al-Wahhab, mentre le autorità religiose wahhabite legittimarono da parte loro il potere politico dei Saud. I rapporti furono caratterizzati da un misto di cooperazione, tensione e opposizione, che spiega il paradosso tra la permanenza del wahhabismo, noto per la sua rigidità teologica, e i compromessi successivi che esso ha dovuto fare con l'istituzione politica per la difesa della dottrina e del suo potere nel Regno dell'Arabia Saudita»[8].
Oggi il salafismo può esser diviso in tre grandi correnti:
«In effetti, oggi il salafismo copre un ampio spettro di posizioni ideologiche, che vanno dalla corrente quietista, socialmente conservatrice e non impegnata politicamente, alla corrente rivoluzionaria, che promuove azioni dirette con accenti da terzomondismo, passando per la corrente politica, che gestisce o che contesta. Così non tutte le forme di salafismo sostengono il jihad: ad esempio, i teologi salafiti dell'Arabia Saudita si oppongono al jihadismo in alcune parti del mondo, ritenendo che esso provenga dall'azione terroristica e non da una vera guerra santa[9]»[10].
Basanese presenta poi la corrente del salafismo quietista o letterale:
«Questa corrente salafita in teoria è estranea alla politica e promuove semplicemente l'immersione del credente musulmano nell'universo dei testi religiosi. È innanzitutto un movimento pio e moralizzatore, incentrato sulla vita individuale e familiare, che pratica una lettura ultra-ortodossa e letterale dell'islàm. Sebbene dagli osservatori sia considerato come un supporto dell'islàm politico, esso si astiene dal promuovere il ricorso alle armi. Anzi, i suoi rappresentanti condannano coloro che trasformano l'islàm in una piattaforma politica come l'organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani, accusata di preferire la ricerca del potere alla difesa del Corano e della sunna. Con una visione del mondo dominata dalla dicotomia halal-haram (lecito-proibito), i salafiti fondamentalisti pongono invece l'accento sulla pratica cultuale e su una separazione dal mondo sociale e politico che, secondo loro, è fonte di corruzione e di divisione. Questa espressione del salafismo è molto simile al wahhabismo saudita, sebbene al suo interno ci siano correnti fortemente contrarie ai Saud. A volte essa è qualificata come «quietista», perché i suoi rappresentanti insistono sulla necessità di obbedire al potere politico, soprattutto se è musulmano. In Occidente, questi salafiti costituiscono una casta socio-religiosa separata, nella misura in cui i suoi adepti di solito sono guidati da un'attenzione minuziosa per la purezza»[11].
Esiste poi il cosiddetto salafismo riformista o politico:
«Mentre il salafismo pietista è molto critico riguardo a ogni impegno politico in nome dell'islàm, un'altra forma di salafismo difende una visione militante della religione, sul modello dei Fratelli Musulmani, di cui essi non sono più avversari, ma concorrenti, per guadagnare una stessa clientela conservatrice. Questa tendenza promuove un approccio salafita alla politica, fondato sulla creazione di partiti, sindacati e associazioni, intesi come mezzi pacifici per accedere al potere o per fare pressione su di esso. Così la politica è percepita come uno strumento moderno al servizio della propagazione del messaggio coranico. Nei discorsi di questi sceicchi i temi attuali - come la politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, il conflitto arabo-israeliano, la presenza dei musulmani in Occidente, nei Paesi balcanici o nel Caucaso - sono trattati con una visione molto conservatrice della società. Questa tendenza salafita è nata in Arabia Saudita, ad opera di un gruppo di dissidenti religiosi - i più famosi dei quali sono chiamati «sceicchi del risveglio islamico» (sahwa) -, dopo l'iniziativa del re Fahd in favore di una protezione americana per difendere l'Arabia Saudita dall'Iraq nel 1990. Ma, oltre a contestare la presenza militare degli Stati Uniti sul territorio saudita, essi rivolgono pubblicamente anche una serie di critiche fondamentali al Governo, accusato di corruzione, di incompetenza e di negligenza nei confronti dei suoi obblighi religiosi»[12].
C’è poi il cosiddetto salafismo jihadista o rivoluzionario:
«Mentre il salafismo riformista sottolinea l'attivismo politico, alcuni gruppi e predicatori promuovono jihad nella sua dimensione di lotta armata. Nato da una scissione con l'ideologia dei Fratelli Musulmani, il salafismo rivoluzionario ha conservato l'idea che le azioni politiche e sociali debbano necessariamente essere fatte in una prospettiva islamica. Ma a questa idea unisce un indurimento della religiosità, che conduce a una radicalizzazione settaria: i precetti coranici sono applicati alla lettera e non possono essere oggetto di nessuna discussione, in particolare nei riguardi della gestione del potere, del califfato e dell'autorità. Le loro parole e le loro azioni sono radicali: i loro militanti respingono ogni idea di partecipazione o di collaborazione nelle società musulmane o occidentali. Contrari a un'azione religiosa limitata alla semplice predicazione, essi collocano il jihad al centro della loro credenza e ne fanno un obbligo religioso. Il ricorso alla violenza è al tempo stesso ideologico e tattico. Così questi movimenti preferiscono l'azione diretta a tutti gli altri metodi politici, che essi screditano completamente. Ma anche i militanti rivoluzionari, sebbene siano una minoranza all'interno del salafismo, conoscono divisioni. La disgregazione principale in questa sfera riguarda la scala del jihad: il suo carattere globale o locale»[13].
Le tre correnti hanno però un punto di vista comune che le differenzia da altre interpretazioni dell’Islam:
«La loro ideologia politico-religiosa è incompatibile con la modernità. Tuttavia la sua forza di attrazione risiede nella semplicità delle idee che essi sviluppano: riducendo la complessità del reale a scelte elementari, descrivono il mondo in modo manicheo, contrapponendo i puri agli impuri, i credenti agli empi, le forze del bene (i salafiti) a quelle del male (i musulmani «tiepidi» e i non musulmani). I salafiti offrono ai loro adepti anche una interpretazione globale della storia, e nello stesso tempo un senso di superiorità dei loro membri, visti come persone elette. Fondandosi sull'evidenza, essi si inseriscono in un sapere assoluto, accettato da tutti e sempre vero, che non può essere contraddetto senza compromettere il buon senso, generalmente condiviso da coloro che sanno»[14].
L’articolo di Basanese ha il merito di mostrare che è estremamente riduttivo ridurre l’odierna crisi del mondo islamico al conflitto fra sunniti e sciiti: è evidente, infatti, che esiste una tensione non risolta fra le diverse scuole sunnite e che l’esplodere della violenza è dato principalmente dal tentativo della corrente salafita di assumere un dominio sulle altre correnti presenti nell’Islam sunnita.
Note al testo
[1] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 425-438.
[2] La raccolta delle parole, dei gesti e degli atteggiamenti di Maometto (hadíth) costituisce la sunna,la tradizione che egli ha lasciato alle generazioni future. Così gli atti dal Profeta dell'islàm, compiuti nelle circostanze più diverse, sono diventati nel corso del tempo una sorta di «banca dati» considerevole, dalla quale attinsero, sotto forma di precedenti normativi, coloro che erano incaricati di spiegare l'islàm.
[3] Nel sunnismo, ci sono quattro scuole di diritto: la scuola hanafita (maggioritaria in Turchia e nel Pakistan); la malikita (Siria); la shafi'ita (Malesia, Indonesia); e la hanbalita (Arabia Saudita). Esse si differenziano per l'importanza data alla sunna,al consenso degli ulema o al diritto consuetudinario. Al di là delle loro critiche alle scuole giuridiche, i salafiti attaccano tutti i libri che esprimono «i punti di vista e le opinioni» dei loro autori, invece di attenersi esclusivamente al Corano e alla sunna.
[4] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 426-428.
[5] Ibn Hanbal, «l'imam di Baghdad», famoso teologo e giurista, fondatore dell'ultima delle quattro scuole dell'islàm sunnita (il hanbalismo) è noto nella storia dell'islàm soprattutto per aver rifiutato di ammettere, nonostante le pressioni politico-religiose, che il Corano è creato, e che quindi può essere spiegato dalla ragione umana.
[6] Ibn Taymiyya è certamente l'autore oggi più popolare tra i salafiti, grazie alle sue fatwaraccolte in 37 volumi e continuamente ripubblicate. Egli è conosciuto soprattutto per le sue polemiche contro le altre scuole musulmane, la teologia speculativa, la filosofia aristotelica, le credenze e pratiche degli sciiti e il sufismo di Ibn 'Arabi. Condanna il culto dei santi in islàm e la visita delle tombe, compresa quella di Maometto a Medina. Ibn Taymiyya ha parole molto dure nei confronti degli ebrei e dei cristiani; in particolare, si deve a lui un libro di ben 1.400pagine, intitolato La risposta valida a coloro che hanno alterato la religione del Messia,che è la sua più famosa opera di polemica anticristiana, uno dei primi libri stampati al Cairo nel 1905. Le sue opere, quasi tutte non tradotte, circolano liberamente su internet.
[7] L'alleanza Wahhab - Saud si verificò concretamente nel 1806, nel momento della distruzione di siti «profani», quando Ibn Saud, a Medina, demolì il cimitero che conteneva i resti dei compagni del Profeta dell'islàm; anche la tomba di Maometto fu sul punto di essere demolita. Oggi, si pensa che il 95% degli edifici di più di 1.000 anni siano stati abbattuti nel regno saudita.
[8] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 429-431.
[9] Il metodo degli attentati-suicidi promossi dai jihadisti ècondannato dai grandi sceicchi salafiti sauditi, a partire dal 1999, in nome del divieto di togliersi la vita.
[10] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, p. 433.
[11] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 433-434.
[12] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 434-435.
[13] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, pp. 435-436.
[14] Laurent Basanese S.J., Le correnti salafite dell’Islàm, in “La Civiltà Cattolica”, Anno 163, quaderno 3899, 1° dicembre 2012, p. 438.