Non c’è oriente senza cristiani, di Rémi Brague
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Riprendiamo da Avvenire del 27/3/2015 un testo di Rémi Brague. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (29/3/2015)
Anticipiamo in queste colonne un passo del libro-intervista di Giulio Brotti con Rémi Brague Dove va la storia? Dilemmi e speranze. in uscita per La Scuola (pagine 140, euro 9,50). Il punto d’avvio del volume è stato dato da una considerazione sullo spirito del nostro tempo: parrebbe infatti che fra i tratti costitutivi della nostra epoca vi sia un diffuso scetticismo nei riguardi della storia umana, considerata come un luogo di generale confusione, in cui innumerevoli progetti e tentativi sarebbero regolarmente votati al fallimento. Brague riflette criticamente su tale atteggiamento, contestando molti stereotipi circa il rapporto di noi “postmoderni” con le nostre radici. Le considerazioni di ordine filosofico si intrecciano con questioni di drammatica attualità: per esempio, con quelle riguardanti la convivenza tra le grandi religioni, la possibilità di un dialogo con l’islam, la vocazione dell’Europa, il futuro delle biotecnologie e la serpeggiante tentazione di “farla finita con l’uomo”, in nome di un mortifero ideale di perfezione.
La rappresentazione mentale per cui «la luce verrebbe dall’Oriente» (ex Oriente lux) ossessiona gli spiriti occidentali, ed è stata ripresa, per esempio, dagli slavofili russi del XIX secolo. Essa è vera oppure falsa, a seconda del periodo a cui ci si riferisce, e anche a seconda di dove si colloca questo famoso «Oriente». All’epoca dell’Impero romano, tale parola designava le rive orientali del Mediterraneo, quello che noi oggi chiamiamo Medio Oriente. Laggiù erano nati e spesso avevano esercitato le loro arti i grandi sapienti, come il farmacista Dioscoride di Cilicia, il medico Galeno di Pergamo, l’astronomo Tolomeo di Alessandria.
In filosofia, il medioplatonismo fu fondato e approfondito da due siriani, Numenio e Giamblico. Plotino, trasferitosi a Roma, era un greco di Alessandria, e il suo discepolo Porfirio era un fenicio. È in Oriente che si pensa e si formula il dogma cristiano: ad Alessandria con Origene, Atanasio e Cirillo, in Cappadocia con Basilio e i due Gregorio. In quella stessa regione vivono ancora, nel VI secolo, gli ultimi neoplatonici rimasti fedeli al paganesimo, come Simplicio e Damascio, e quelli, come Giovanni Filopono, che sono passati al cristianesimo. Laggiù, all’inizio dello stesso secolo, vive anche il monaco siriano che con il nome di Dionigi l’Areopagita è autore di un corpus di scritti mistici influenzati
dal neoplatonismo.
Certo, le idee non crescono come delle piante, e la localizzazione geografica non sarebbe sufficiente senza la presenza di una tradizione d’insegnamento in una rete di scuole. Proprio la Siria e l’Iraq, allora sotto la dominazione bizantina, conoscono nei primi secoli dell’era cristiana un’intensa attività teologica e filosofica. Essa si dispiega in greco, ma soprattutto in siriaco, una variante cristiana dell’aramaico, idioma che serviva già da lungo tempo come lingua di comunicazione in Medio Oriente. Le scuole dei conventi dispensano un insegnamento teologico, ma con una base filosofica. In particolare, vi si commentano le opere di Aristotele, soprattutto l’insieme degli scritti di logica. Alcuni testi sono tradotti a più riprese.
Il Medio Oriente era in quell’epoca la regione del mondo che più esportava. Sul piano economico, il grano egiziano nutriva Roma. Ma era ancora dall’Oriente che si diffondevano nel resto del bacino mediterraneo i movimenti religiosi, come il culto di Mitra, le dottrine di Ermete Trismegisto, il giudaismo e, nella sua fase aurorale, il cristianesimo. Nell’epoca immediatamente precedente la conquista araba, il Medio Oriente continuava a essere una terra d’esportazione di persone e di nutrimento culturale, intellettuale e spirituale.
Nell’ambito della cultura materiale, l’ospedale è una istituzione di cui gli europei dell’epoca conoscevano l’origine orientale. Quanto alla vita intellettuale, l’attività delle scuole siriache si irradiava fino al lontano Occidente. Così, Giunilio Africano adatta in latino l’introduzione alla Sacra Scrittura redatta in siriaco da Paolo il Persiano. Allorché Cassiodoro fonda – intorno al 555 – il convento di Vivarium, in Calabria, come centro di studi sulla Bibbia e luogo di conservazione della letteratura classica, lo concepisce sul modello della scuola siriaca di Nisibis. Dopo la conquista araba, l’Oriente greco e siriano continua a fornire una buona parte del personale religioso di alto livello dell’Occidente. Tra i papi del VII e VIII secolo, diversi sono siriani, come Sergio (687-701) o Gregorio III (731-742).
Vi sono sempre stati molteplici miti orientalisti disponibili sul mercato, secondo le epoche. È prevalsa, talvolta, la tendenza a minimizzare il ruolo degli Arabi, il che è assai ingiusto. Oggigiorno, la bilancia pende nel senso opposto e alcuni – non tra gli studiosi seri, certamente, ma tra i rappresentanti dei media e i politici – vorrebbero farci credere che l’Europa debba tutto all’islam.
La verità, come spesso accade, è a metà strada, in quello spazio grigio dove si possono porre delle questioni precise: chi? che cosa? dove? quando? come? perché? e dove non si ottengono che risposte parziali e sempre bisognose di essere corrette.
In realtà, i testi tradotti in arabo nel IX secolo e poi dall’arabo nel XII-XIII secolo contengono grossomodo tutta la scienza greca (matematica, astronomia, medicina, botanica) ma solamente una parte della filosofia (Aristotele con dei commentari, oltre a parti di testi neoplatonici) e nulla della letteratura greca. Per avere i poeti epici, lirici e tragici, gli storici, Platone e i neoplatonici per intero, si dovette attendere ciò che giunse da Costantinopoli nel XV secolo. In quell’epoca Marsilio Ficino, a Firenze, tradusse in latino tutto Platone, tutto Plotino e anche il corpus di scritti attribuito a Ermete Trismegisto.
Tornando alla Baghdad del IX secolo, riscontriamo che i traduttori erano quasi tutti cristiani, per il semplice motivo che essi erano spesso bilingui, o addirittura trilingui, parlando il greco, il siriaco e l’arabo. In compenso, i committenti delle traduzioni (come i medici e i “segretari”, ovvero i funzionari dell’amministrazione), che pagavano per questi lavori, appartenevano a tutte le confessioni, tra cui l’islam.
Nel XII e nel XIII secolo gli abitanti della cristianità latina, che noi chiamiamo oggi «Europa», tradussero Aristotele e il resto della sapienza greca, pressappoco contemporaneamente: lo fecero in parte dall’arabo, soprattutto in Spagna, ma anche direttamente dal greco, cosa che si verificò specialmente in Sicilia. Dopo questa impresa, occorre riconoscere che la sorgente un tempo attiva nell’Oriente arabo si è sostanzialmente prosciugata.