«Il fatto che la liturgia abbia fatto sue e conservate lungo i secoli determinate esegesi tipologiche costituisce una specie di "consacrazione" di esse, tanto da poter essere considerate interpretazioni tradizionali e ufficiali della Chiesa». Al cuore della catechesi non c’è solo la Scrittura, ma anche la liturgia: solo la liturgia è in grado di “spiegare” la Scrittura attraverso la lettura tipologia della Bibbia. Tre riflessioni capitali di Sofia Cavalletti
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Riprendiamo sul nostro sito brani da opere di Sofia Cavalletti che riflettono sulla lettura cristiana della Scrittura e sul rapporto costitutivo che esiste tra Bibbia e liturgia.
Il Centro culturale Gli scritti (12/3/2015)
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1/ Principi di metodologia per l’utilizzo della Bibbia in catechesi: tipologia e liturgia (da Sofia Cavalletti)
Da Sofia Cavalletti, La storia del regno. Dalla creazione alla parusia 1, Tau editrice, Todi, 2009, pp. 21-27
La tipologia
Il metodo di lettura biblica [che è quello specificamente cristiano e catechetico] è il metodo tipologico. Il termine viene dal greco typos (dal verbo typto "batto") e significa l'impronta incavata lasciata dal corpo di una matrice; si chiama typos il conio delle monete, il timbro di legno usato per apporre il sigillo sulle anfore, ecc. Il metodo tipologico è quel metodo di esegesi che, partendo dalla fase presente della storia della salvezza, ricerca le radici di essa in fatti, istituzioni e persone dell'Antico Testamento, oppure, partendo dall'Antico Testamento, lo legge alla luce degli avvenimenti del Nuovo; il metodo tipologico ricerca cioè "l'impronta" di una fase della storia nell'altra; tenendo presente l'unità del piano divino, dalla creazione alla parusia.
Come in una matrice è già presente l'immagine che essa lascerà, senza essere evidente, così il "tipo" contiene la realtà futura, ma in modo misterioso; in essa la realtà significata è un germe che attende di svilupparsi. Nel seme è presente in qualche modo la pianta che ne nascerà; pianta e seme, pur essendo distinti, sono intrinsecamente connessi.
La tipologia anticotestamentaria
Il metodo è quanto mai antico; i primi a servirsene sono stati i profeti, quando hanno parlato - come vedremo - delle realtà escatologiche, partendo dalle realtà prime, e hanno visto ad esempio nella creazione dei cieli e della terra un primo atto che si sarebbe concluso, alla fine dei tempi, con un rinnovamento dei cieli e della terra, che sarebbe stato come una nuova creazione.
La tipologia neotestamentaria
La tipologia in senso cristiano, che, in attesa della parusia, vede la convergenza dell'Antico Testamento in Cristo e nella Chiesa, è già evidente nei Vangeli; è presente negli scritti e nella predicazione dei Padri; di essa la Chiesa si nutre giornalmente nella liturgia[1]. Possiamo quindi dire che la tipologia è il metodo di lettura biblica della Chiesa. A questo proposito è essenziale innanzi tutto chiarire qual è la portata della tipologia, cioè l'arco della storia che essa prende in considerazione […].
Base storica della tipologia
Inoltre è necessario dire che il metodo tipologico non toglie nulla alla storicità dei fatti così interpretati, anzi esso non può darsi che a partire da fatti storici. Un fatto solo in quanto realmente avvenuto, può essere germe di avvenimenti futuri; non si dà pianta che nasca da un seme immaginario. La tipologia, dice Sant'Agostino, è “non nelle parole, ma nel fatto (non in verbis, sed in facto)”.
La liturgia, norma della tipologia
La tipologia ha naturalmente le sue regole e i suoi limiti. Pur rifacendosi ai Padri della Chiesa, occorre distinguere quello che nei loro scritti può essere interpretazione personale, da ciò che è diventato patrimonio della Chiesa. Il fatto che la liturgia abbia fatto sue e conservate lungo i secoli determinate esegesi tipologiche costituisce una specie di "consacrazione" di esse, tanto da poter essere considerate interpretazioni tradizionali e ufficiali della Chiesa. La norma quindi a cui ci atterremo nella scelta delle interpretazioni tipologiche sarà essenzialmente la liturgia.
La Chiesa ha interpretato tipologicamente istituzioni, avvenimenti e persone dell'Antico Testamento. Il legame che unisce il "tipo" alla realtà significata è un po' diverso nei tre casi:
Tipologia delle Istituzioni
Quando si tratta di istituzioni (p. es. i sacrifici d'Israele), bisogna prima ricercare il significato religioso oggettivo che tali istituzioni hanno avuto per Israele; si cercherà poi quali istituzioni hanno un ruolo analogo nella religione cristiana.
Tipologia degli avvenimenti
Se si tratta di avvenimenti, bisogna studiare quale esperienza di fede essi costituiscono per Israele (p. es. l'esodo dall'Egitto, che cosa rappresenta nella vita religiosa del popolo ebraico?). Vedremo poi quali eventi nella nostra vita religiosa rappresentino un'analoga esperienza, e come possano riflettersi nella escatologia.
Tipologia delle persone
Nel caso infine di persone, si studierà il significato religioso che l'opera di una determinata persona ha in seno a Israele, per vedere se tale opera corrisponde in parte alla missione svolta da Gesù e che si continua nella Chiesa; cercheremo in che senso e entro quali limiti può stabilirsi tale corrispondenza.
La tipologia a tre tappe
Quando si parla di tipologia in campo cristiano, si intende per lo più una tipologia che potremmo definire a due tappe, che si ferma cioè al momento della storia che stiamo vivendo e non prende in considerazione l'unità del piano divino, dalla creazione alla parusia.
Non possiamo non riconoscere che troppo spesso questo è stato l'uso che si è fatto della tipologia. Tuttavia un retto uso di tale metodo interpretativo porta a una tipologia a tre tappe,che abbracci quindi anche le realtà escatologiche che attendiamo, una tipologia a tre tappe che ci ponga in un giusto equilibrio fra la storia già realizzata e quella che sta davanti a noi.
La Dei Verbum (3,13) indica "l'unità di tutta la Scrittura" come "mezzo ermeneutico per leggerla".
La tipologia nella Chiesa
Anche se - come dicevamo - troppo spesso ci siamo fermati a una tipologia a due tappe, non mancano nella tradizione esempi di tipologia a tre tappe. Leggiamo ad es. in Origene (Gen. Hom. 10,3): "Perché la regola pasquale vuole che si mangi al vespro? Perché il Signore ha sofferto la passione al vespro del mondo, affinché tu sempre possa mangiare la carne del Verbo, perché sei sempre nel vespro, fino a che venga il mattino... Ti rallegrerai al mattino, che è il secolo venturo". E ancora (Hom II in Ps. 38): "Se tu potessi penetrare con la mente e con lo spirito nei cieli e seguire Gesù Cristo che è penetrato nei cieli... lì troverai quei beni dei quali la legge ebbe l'ombra, e di cui Cristo nell'incarnazione mostrò l'immagine, che sono preparati per i beati".
Ancora più esplicitamente Ambrogio (Enarr. 25 in Ps. 38): "L'ombra nella Legge, l'immagine nel Vangelo, la verità nelle realtà celesti". Si veda anche la preghiera che, nella veglia pasquale, (Messale odierno) segue la lettura di Es 14,15 15,1: "O Dio, anche ai nostri tempi vediamo risplendere i tuoi antichi prodigi: ciò che facesti con la tua mano potente per liberare un solo popolo dall'oppressione del faraone, ora lo compi attraverso l'acqua del battesimo per la salvezza di tutti i popoli; concedi che l'umanità intera sia accolta tra i figli di Abramo e partecipi alla dignità del popolo eletto".
La tipologia nella Sinagoga
Tre tappe nella storia sono qui esplicitamente menzionate.
Una simile interpretazione tipologica a proiezione escatologica si riconnette - mantenendo la particolarità cristiana - al modo di leggere dei profeti, a cui abbiamo accennato, e che è conservata nella lettura biblica della Sinagoga.
Nel rito italiano della Sinagoga ad es., alla pericope del diluvio (Gen. 6,9-11,32) segue la lettura profetica (haftarah) di Is. 54,1-55,5: dal mondo rinnovato dalle acque del diluvio, che ricade poi nel disordine con la torre di Babele, ci si apre alla visione della Gerusalemme nuova che verrà ricostruita con diaspro, zaffiri e rubini, e alla promessa del "patto di pace" che non verrà meno.
Sempre nel rito italiano, alla pericope di Gen. 44,18-47,27, che si chiude al momento in cui gli israeliti si stabiliscono in Egitto, segue la lettura profetica di Ez. 37,15-38,12, in cui si annuncia il raduno dei figli d'Israele dai paesi dove erano stati dispersi e il ritorno nella loro terra, quando avranno "il mio servo David" come unico pastore.
I due popoli del Libro lo leggono dunque con una metodologia simile, cercando ambedue il "filo d'oro" che lega insieme quella storia che Dio viene facendo con gli uomini.
La Chiesa e la Sinagoga si ritrovano quindi nel modo di accostarsi alla Parola di Dio, e nella proiezione escatologica. La lettura della Sinagoga è evidentemente a due tappe, partendo dagli eventi della sua storia direttamente verso l'escatologia. La Chiesa, che vede in Cristo e nelle realtà a lui connesse un momento nodale della storia, fa invece una tipologia a tre tappe.
Dicevamo che in una interpretazione tipologica è essenziale chiarire qual è l'arco della storia che prendiamo in considerazione. Una tipologia che si fermasse alle realtà cristiane presenti, sarebbe una tipologia privata della speranza e che mutilerebbe il progetto stesso di Dio.
Solo considerando la storia nella sua globalità, potremo pian piano penetrare nel senso degli eventi che la vengono componendo, potremo comprendere in qualche modo il piano di Dio, a cui Egli chiama gli uomini a collaborare.
È solo una lettura di tal genere che ci fa avvicinare al Mistero di Dio, perché Dio lo conosciamo attraverso quanto Egli opera; solo una lettura di tal genere ci insegna - secondo le parole di H. U. von Balthasar - "a conoscere l'intimo di Dio, a far nostri i pensieri di Dio sul mondo"[2].
La carica di mistero di cui le pagine della Bibbia sono ricche ci apparirà solo se sapremo vederne la storia che narrano sullo sfondo globale di quello che sembra essere il piano di Dio.
Tipologia e memoriale[3]
A questo punto, vorremmo osservare che la liturgia, nella celebrazione del memoriale, ci ha abituato a vivere nel presente gli eventi precedenti volgendoci verso l'escatologia. Basta avere una qualche familiarità con la Celebrazione pasquale ebraica e con l'Eucarestia per rendersene conto. Il memoriale, in qualche modo, annulla il tempo, celebrando, oggi, eventi passati, che senza la celebrazione sarebbero perduti per sempre, proiettandoli verso l'escatologia e preparando, così, il compimento della storia.
Ci accorgiamo allora, che se vogliamo parlare del memoriale, non possiamo non usare gli stessi termini usati in relazione alla tipologia: in ambedue ci troviamo di fronte a una specie di libertà dal tempo, per cui le distanze fra gli eventi sembrano sfumare e gli eventi convergere nell'unità di un'unica espressione di salvezza e di amore da parte di Dio, in cui passato e futuro si fondono.
Tipologia e memoriale usano ambedue questa libertà, anzi, ci sembra, solo in tale libertà sono se stessi. Non c'è memoriale che, oggi, non concretizzi, nella celebrazione, la salvezza già espressa in eventi precedenti e non prepari così il compimento escatologico, proiettandosi verso di esso, anticipandolo e preparandolo nella preghiera e nella speranza. Non c'è tipologia che, nell'ascolto presente, non leghi insieme la storia precedente e quanto è ancora oggetto di speranza, alla ricerca di quel "filo d'oro" (secondo l'espressione di S. Agostino), di quella idea di Dio che, di tanti eventi diversi, fa una storia unica.
Davanti a questa evidenza, ci domandiamo quale legame unisca insieme tipologia e memoriale. Se essi presentano gli stessi caratteri, devono essere legati a un livello profondo: da quale legame? a quale livello di profondità?
La Sacrosanctum Concilium (2,48.51) parla della "mensa" della Parola e del Corpo del Signore, usando lo stesso termine per l'una e per l'altro. C'è dunque un'unica "mensa" attraverso cui ci avviciniamo al Mistero di Dio: la Parola e il Sacramento. È dunque - a noi sembra - nell'unicità di quella "mensa", a cui tipologia e memoriale si rifanno, che ambedue trovano la ragione della loro assomiglianza. Tale assomiglianza nasce all'interno di essi, scaturendo dall'unica fonte da cui derivano.
Il Mistero ascoltato e celebrato
Tipologia e memoriale sono legati al livello della Realtà a cui ci accostano: il Mistero infinito di Dio. Il Mistero parla ed agisce ed io lo raggiungo nell'ascolto e nella celebrazione sacramentale: quando il Mistero parla e noi lo ascoltiamo, il metodo per l'ascolto è la tipologia; quando il Mistero è celebrato e noi partecipiamo, il modo della partecipazione è il memoriale. Che si tratti dell'ascolto della Parola o di celebrazione sacramentale, la Realtà che viviamo è la stessa: quell'unica "mensa" della Parola e del Corpo del Signore. Se la mensa è una, le regole della mensa devono essere uguali. Per captare il messaggio di Dio e per viverlo abbiamo quindi bisogno di un'unica metodologia, che ci aiuti a penetrare nella sua globalità, vivendo, come concentrata nel presente, la storia, nella sua dimensione passata e in quella futura.
A questo punto, la tipologia ci appare non meno essenziale del memoriale per avvicinarci al Mistero. Essa non è un metodo di lettura arbitrario, non è una trovata di scuola: essa è quel modo di leggere la Scrittura che il suo contenuto richiede, che è connaturale alla Parola di Dio. Non c'è lettura di fede che possa prescindere dalla tipologia, non c'è lettura che voglia veramente scrutare il Mistero e penetrare in esso (e non solo studiare la Bibbia), che possa farsi senza la tipologia, così come la celebrazione dello stesso Mistero non può farsi che nel memoriale.
Non è senza ragione che - come abbiamo già osservato - il metodo tipologico si ritrova nelle due tradizioni che si rifanno alla Bibbia: l'ebraica e la cristiana.
Però, come il memoriale ci fa vivere, oggi, l'evento celebrativo presente, attualizzando il passato e aprendo le porte alla speranza escatologica, così, nella visione cristiana, la tipologia deve essere a tre tappe perché possa essere un aiuto ad avvicinarci a quella Parola, in cui Dio manifesta se stesso.
Una tipologia che escludesse la tensione verso la terza tappa escatologica del tempo "in cui Dio sarà tutto in tutto" (l Cor 15,24 ss) trascurerebbe una virtù ritenuta fondamentale nel cristianesimo: la speranza, inoltre, offuscherebbe l'importanza della presenza d'Israele, nel tempo che stiamo vivendo, e un affievolimento della tensione che noi cristiani ed ebrei condividiamo nell'attesa di "nuovi cieli e nuova terra", come abbiamo già detto.
Purtroppo non possiamo non riconoscere che è quanto è avvenuto per secoli, portando alla "teologia della sostituzione'; quella teologia che dice: un giorno c'era Israele, ora c'è la Chiesa, e portando a quello che è stato chiamato "l'insegnamento del disprezzo". Si è arrivati così a cancellare Israele dal piano divino. Le conseguenze teologiche e pratiche sono state della massima gravità.
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2/ Eventi della storia biblica e lettura tipologia (da Sofia Cavalletti)
Da Sofia Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di una esperienza, Città Nuova, Roma, 1996, pp. 72-76
Tolstoj racconta che, nel suo esperimento educativo a Jasnaja Poljana, aveva provato a parlare ai bambini di tante cose, ma essi restavano lontani e privi d'interesse.
Poi provai a leggere loro la Bibbia e li ebbi completamente in mio potere. La cortina era stata sollevata ed essi si misero completamente nelle mie mani. Amarono il libro, lo studio e me. Mi restava solo di guidarli oltre.
Dopo l'Antico Testamento ho raccontato il Nuovo, e essi amarono sempre più lo studio e me. Poi ho raccontato loro la storia universale, la storia russa e i fenomeni della natura... ed essi chiedevano di andare sempre più avanti, si aprivano davanti a loro prospettive sempre più ampie di pensiero, di conoscenza, di poesia.
Egli dice che può darsi che sia stato un caso, però si tratterebbe di un caso che, per essere fortuito, si è ripetuto troppo invariabilmente in tutte le scuole e in tutte le famiglie[4].
La Bibbia ha dimostrato di essere come una chiave essenziale per aprire le porte della conoscenza. Tolstoj dice anche di aver insegnato e di continuare a insegnare la storia sacra soltanto sulla Bibbia, senza cambiamenti e senza riduzioni e di considerare nocivo qualsiasi altro modo di insegnarla. Nel nostro mondo moderno, Francesco (Roma, 11 anni) frequenta una scuola sperimentale ultra sofisticata e non sa di confermare le parole di Tolstoj, quando dice: «Mi piace più la lettura della Bibbia intera di quella della Bibbia dei bambini, perché qui si capisce che ci sono delle cose da capire che non ci sono scritte».
Il Libro dunque costituisce uno strumento potentissimo di apertura mentale, ma deve essere dato ai bambini così com'è, e non in quelle riduzioni che dovrebbero facilitarne la comprensione, ma riescono solo ad impoverirlo e a privarlo della sua forza di attrazione.
Una volta che è stata chiarita ai bambini la portata della storia biblica nel suo insieme, bisogna entrare nel vivo dei singoli avvenimenti. Si pone quindi il problema di quali scegliere. «La narratio - dice Siniscalco - predilige esattamente i grandi momenti della storia della salvezza»[5].
Per una prima iniziazione all'Antico Testamento, noi ci siamo attenuti a quegli eventi che, nella tradizione, sono rimasti più particolarmente emblematici e cioè quelli che costituiscono il riferimento costante nella liturgia, soprattutto nei momenti celebrativi più importanti; intendiamo dire la veglia pasquale, la liturgia eucaristica e battesimale. Dato che una scelta si impone, questo criterio ci è sembrato giusto, data la grande importanza della liturgia nella vita del testo biblico […].
Nella veglia pasquale, che è la grande liturgia cristiana, i punti della storia che ci sono proposti sono la creazione, i patriarchi e l'esodo, insieme ad alcune letture profetiche. Nella liturgia eucaristica odierna l'elemento storico non è messo in genere in rilievo, come si faceva anche con abbondanza di particolari negli antichi formulari; tuttavia la IV Preghiera Eucaristica, anche se in uno schema piuttosto povero, fa menzione della creazione, del peccato e dei vari patti che Dio ha offerto all'umanità e al suo popolo, arrivando così all'epiclesi, al racconto della Cena e alla proclamazione del mistero della fede, in Cristo morto e risorto «fino a che egli venga». La liturgia battesimale, nella preghiera della consacrazione dell'acqua, percorre le grandi tappe della storia della salvezza: la creazione, il diluvio, i patriarchi, il passaggio del Mar Rosso, per arrivare a Giovanni Battista e a Gesù.
Noi ci siamo attenuti a questi punti chiave della storia. I passi che la liturgia propone presuppongono un metodo di lettura. Nella veglia pasquale lo possiamo cogliere nelle preghiere che seguono i passi indicati; esse riprendono il contenuto del singoli eventi e spesso lo proiettano più lontano nel cammino della storia, che si presenta quindi nella sua unità fondamentale. Dopo la lettura di Gn. 1,1ss. ad esempio si chiede di essere illuminati per comprendere «che se fu grande all'inizio la creazione del mondo, ben più grande nella pienezza dei tempi fu l'opera della nostra redenzione nel sacrificio pasquale di Cristo». Dalla considerazione della creazione lo sguardo si sposta alla realtà presente della redenzione.
Dopo la lettura del sacrificio di Abramo, si chiede a Dio di renderci capaci di «rispondere degnamente alla chiamata che viene da Lui», e di estendere a «tutti gli uomini il dono dell'adozione figliale, moltiplicando in tutta la terra» i suoi figli. Qui si va anche oltre il tempo inaugurato dalla redenzione e lo sguardo si protende verso il tempo escatologico.
Nella liturgia battesimale le tappe della salvezza sono menzionate per essere collegate al sacramento che si sta celebrando, arrivando all'invocazione che lo Spirito scenda sull'acqua da cui sta nascendo un nuovo cristiano. La storia di cui si sono percorse le tappe principali non è conclusa nel passato; è una storia attuale che si viene ancora facendo e di cui, nella celebrazione, si sta vivendo un momento importante. Aperture verso l'escatologia, oltre che alla professione di fede, sono frequenti nel rituale battesimale.
La liturgia ci propone quindi come metodo di lettura il metodo tipologico, quel metodo, che prendendo in considerazione i singoli eventi della salvezza non perde di vista la globalità della storia e ci fa percepire quello che Agostino chiama «il filo d'oro, che lega insieme le gemme»[6], che unisce cioè nell'unità di un piano i fatti della storia[7].
Il metodo tipologico è un metodo di lettura comune sia alla tradizione ebraica che a quella cristiana e che quindi sembra essere connaturale al Libro di cui qui parliamo. Risale ai profeti stessi, che per parlare delle nuove opere di Dio si rifanno a quanto Egli ha già compiuto nel passato: il Signore che richiama in patria gli esiliati è «il Signore che ha tracciato una strada nel mare e nelle acque potenti un sentiero» (Is. 43,16), chiaro riferimento all'esodo dall'Egitto; le promesse escatologiche si basano sulla creazione di «nuovi cieli e nuova terra», considerando l'inizio e la conclusione della storia in una visione unitaria.
Rossi De Gasperis afferma che il metodo tipologico «si ritrova nel cuore della tradizione ebraica, sia nel modo di leggere la Scrittura nella liturgia, sia in quello della traduzione e dell'interpretazione targumica, sia nei commentari biblici, sia nella lettura midrashica»[8]. La Chiesa ne ha sempre vissuto, fin dai tempi apostolici; esso costituisce «il solido fondamento dell'interpretazione patristica della Scrittura»[9], dell'esegesi medioevale e della vita liturgica lungo i secoli[10]. È una lettura di questo tipo che Agostino propone al «caro fratello Deogratias», conosciuto come un ottimo catechista, che gli ha confidato le sue difficoltà quando gli si presentano persone ancora digiune del messaggio cristiano.
Nell’esperienza di catechesi che stiamo descrivendo, oltre l'autorevolezza del metodo tipologico, i bambini stessi ci hanno indotto a questa scelta
p. 77
…e ci siamo allora domandati come mai quelle parole possono essere rivolte a noi, che non abbiamo passato miracolosamente il Mar Rosso, né abbiamo mangiato la manna nel deserto. I bambini non avevano mai sentito parlare di interpretazione tipologica, ma hanno collegato del tutto spontaneamente il passaggio del Mar Rosso al battesimo e la manna all'Eucarestia.
La cosa ci ha molto sorpreso perché pensavamo di trovarci davanti a un punto particolarmente arduo. Una volta di più ci siamo dovuti convincere che molto spesso quello che a noi adulti sembra difficile è invece molto semplice; è proprio di fronte alla semplicità che noi ci troviamo come persi, dimenticando che le cose di Dio, proprio perché sono grandi, sono semplici. Di fronte alla estrema semplicità di certe realtà ci sentiamo come disarmati, e ci affrettiamo a complicarle, per renderle - così pensiamo - più adeguate al nostro livello di adulti. Per i bambini la distanza nel tempo fra gli eventi considerati non costituiva alcun problema; il collegamento si stabiliva con la massima naturalezza per una certa affinità negli elementi proposti. Ci trovavamo davanti a un'esegesi tipologica nata del tutto spontaneamente nella mente dei bambini[11].
pp. 91-97
Nel mondo biblico la liturgia occupa un posto importantissimo, a cui è necessario iniziare i bambini, perché il messaggio conservi tutta la sua ricchezza e la sua attualità. La Bibbia – come abbiamo visto - centra alcuni punti essenziali del vivere umano, trasmettendoci un messaggio relativo ad essi; ma la Bibbia non è un libro statico; dai tempi originari ha continuato e continua a vivere nella vita dei credenti e della civiltà occidentale. Quindi il mettere in contatto con il testo non esaurisce il compito dell'educatore. Tra il Libro alle sue origini e noi non c'è il vuoto; è importante sapere come esso abbia vissuto lungo i secoli; in altre parole è importante conoscere la tradizione del testo. È stato osservato che «la vita della fonte è la più importante verità di un testo»[12].
Gli studi più recenti sottolineano l'importanza di considerare il Libro insieme alla sua vita lungo i secoli, cioè alla tradizione. Da tempo si è diffuso un disagio di fronte al metodo storico-critico, che trova espressione autorevole nel documento della Commissione biblica[13]. Tale documento, indicando i limiti di questo metodo, afferma che esso «si restringe alla ricerca del senso del testo biblico nelle circostanze storiche della sua produzione e non si interessa alle altre potenzialità di significato che si sono manifestate nel corso delle epoche posteriori della rivelazione biblica o della Chiesa». Fra queste potenzialità di significato la liturgia occupa certamente un posto eminente, come espressione privilegiata del popolo credente.
Il testo è come una miniera che viene manifestando la profondità del suo contenuto lungo il tempo, o come un fiume, che partendo dalla fonte si viene arricchendo con l'apporto di vari affluenti[14].
Questo apporto in cui il Libro manifesta lungo il tempo la ricchezza del suo contenuto viene realizzandosi nella vita quotidiana dei credenti, nella riflessione che esso suscita attraverso i secoli, e in quei momenti particolari che sono le celebrazioni liturgiche. Il Libro continua a vivere in chi lo mette in pratica vivendone i valori, in chi lo studia e in chi, nella liturgia, ne celebra la Parola. Si forma così intorno al Libro come un alone di tradizione diacronica e sincronica, che fa tutt'uno con esso.
Non c'è vera iniziazione alla Bibbia che non sia completata dalla conoscenza della sua vita lungo i secoli. Fra i vari strumenti della tradizione, la liturgia è forse quello che più di ogni altro ha carattere corale, rispecchiando in maniera più immediata la vita del popolo credente.
La Bibbia e la tradizione - e nella tradizione, la liturgia – vanno prese come un tutt'uno che solo considerato globalmente esprime tutta la loro ricchezza diventando veramente strumento di vita. Quanto la Bibbia e la tradizione ci annunciano deve essere completato nella celebrazione.
Nella catechesi con i bambini il messaggio trasmesso attraverso la Scrittura e quello a cui siamo iniziati attraverso la celebrazione è esattamente lo stesso in chiavi diverse. Il cuore del messaggio cristiano è costituito dall'alleanza; l'Eucarestia è il sacramento della nuova ed eterna alleanza.
Quanto la Parola annuncia, il sacramento lo rende visibile nei segni.
All'inizio dell'alleanza c'è un Dio che ci chiama alla vita, ci dona la vita; la liturgia esplicita il dono con le parole di Gesù nell'evento pasquale fondante: «Prendete e mangiate... Prendete e bevete...». È l'offerta del dono, l'invito pressante a riceverlo, a goderne. Il gesto dell'epiclesi ci fa «vedere» il dono che viene dall'alto e che la piccola Rachel (2 anni e mezzo, Chicago, USA) percepisce come un dono personale: quando la catechista legge le parole del rituale episcopaliano: «Santifica (i doni) con il tuo Santo Spirito perché diventino per il tuo popolo...», la bambina aggiunge: «e per Rachel». Un bambino di 7 anni (Chiesa San Francesco, College Station, Texas, USA) vede le mani protese nel gesto dell'epiclesi allargarsi sul mondo, in una visione cosmica del dono di Dio. Juan (Villa Bosch, Buenos Aires, Argentina) ha nove anni e nel suo disegno collega il dono di Dio alla storia che ha cominciato a conoscere e lo vede teso verso la parusia.
Nell'Eucarestia celebriamo il «Dio-che-dà» che è stato annunciato […]. È significativo che Veronica (9 anni, Città del Messico) rappresenti l'altare con un pacchetto regalo, che domina il foglio: l'Eucarestia è il grande dono.
Il disegno di Veronica richiama quello fatto, con capacità grafiche diverse e in tutt'altro ambiente, dal bambino che affianca all'albero cresciuto dal seme di senapa un pacchetto regalo. Il dono suscita la responsorietà; e il gesto che accompagna la dossologia finale ci fa a sua volta «vedere» la risposta che la creatura umana, insieme con Cristo, rivolge al Padre: «ogni onore e gloria».
L'«amen» corale che suggella la dossologia esprime la presenza del gregge nell'offerta che il buon Pastore fa di se stesso al Padre. Il disegno di una bambina di 9 anni (Roma, via Laurentina) mostra come il momento liturgico si fondi sulla parabola del buon Pastore, rappresentato al centro con la pecorella sulle spalle e la croce sullo sfondo.
I bambini percepiscono la loro presenza nell'offerta per lo più in quelle gocce d'acqua che sono state mescolate al vino, quando il calice viene preparato all'altare. «Gesù si offre da solo al Padre?», chiede una catechista a un gruppo di bambini tra i sette e i nove anni, mentre stanno parlando della «grande elevazione» che accompagna la dossologia: «Ci siamo anche noi, nelle gocce d'acqua nel calice», rispondono senza esitare i bambini.
Secondo l'età, i bambini esprimeranno la loro partecipazione sia riempiendo quelle mani che si alzano verso l'alto in atteggiamento di offerta con qualche cosa che esprima il coinvolgimento globale di tutta la persona nella risposta, sia mettendo in evidenza singoli atti[15].
L'alleanza è un rapporto allo stesso tempo individuale e comunitario; il buon Pastore conosce ogni pecorella per nome, ma nel gregge; questa duplice dimensione è evidente anche nei più piccoli, che per lo più nei loro disegni rappresentano un gruppo di pecorelle, e solo molto raramente una singola pecorella. Nella liturgia il gesto che accompagna l'invito a scambiarsi un segno di pace ci fa «vedere» l'allargarsi dell'alleanza anche in una dimensione orizzontale. Il ciclo vitale dell'alleanza è così espresso nei segni sacramentali, perché la comunità riunita nella celebrazione la proclami e la viva.
Annuncio e celebrazione sono la stessa realtà vissuta a livelli vitali diversi, sia per quel che riguarda l'azione di Dio che il coinvolgimento della creatura umana in essa.
Solo in questo quadro globale il Libro viene man mano mostrando tutta la sua ricchezza e quella carica dinamica capace di aiutare il credente a vivere il presente alla sua luce, e a volgersi verso la storia che resta ancora da fare, collaborando ad essa, con fede in quello che verrà.
È interessante notare che per lungo tempo la Chiesa non ha sentito il bisogno di una teologia sacramentaria a sé stante. «Una formulazione dottrinale complessiva e autoritativa sui sacramenti non esisteva prima del Concilio di Trento. Se si va in cerca di una teologia sacramentale, per certi aspetti la si riscontra solo in Agostino, benché sia alla base di tutte le catechesi sacramentali dei padri della Chiesa»[16]. La teologia sacramentaria sta alla base di tutte le catechesi sacramentali dei Padri; si può dire che ne costituisce l'anima, ma appunto per questo non ha in esse un suo posto particolare, permeandole tutte in un'osmosi continua tra annuncio e iniziazione liturgica.
Il passaggio dall'annuncio alla celebrazione è del tutto naturale presso i Padri e così deve essere nella catechesi. Se torniamo all'altro elemento fondamentale della catechesi a partire dai più piccoli, la parabola del buon Pastore, vediamo come di fatto il passaggio dalla chiave biblica alla chiave liturgica sia del tutto spontaneo nei bambini, sia nei più piccoli che nei più grandi. Simone (Roma, via degli Orsini) ha tre anni e mezzo, conosce la parabola e, per quel che riguarda la liturgia, ha cominciato a familiarizzarsi con gli arredi della Messa; non esita a mettere una pecorella su un braccio della croce.
Così pure Abril (4 anni, Città del Messico) disegnando il Pastore e le pecore, aggiunge l'altare. Per un bambino di sette anni (Roma, Nostra Signora di Lourdes), il buon Pastore passeggia su un altare.
Anche le altre parabole vengono facilmente recepite in prospettiva liturgica. Sandra (7 anni, Santa Fè, Città del Messico), dopo aver ricevuto la presentazione della parabola del tesoro nascosto, disegna un ambiente che è una chiesa con l'altare e il tabernacolo e spiega: «Il tesoro del regno di Dio sta nel tabernacolo». Jennifer (Rochester, USA) ha quattro anni e mezzo, per lei la perla preziosa della parabola si trova sulla croce al centro dell'altare.
Mario (Roma, Scuola di viale Tito Livio) ha otto anni e mezzo, illustra il suo ricordino della prima Comunione con un altare, su cui disegna il Pane e il Vino irraggiati di luce accompagnando il disegno con le parole della parabola del lievito e spiegando: «Il lievito è Gesù che dà agli uomini una nuova forza».
La mensa della Parola e la mensa del Corpo di Cristo (Dei Verbum, 21) sono veramente per i bambini un'unica mensa.
3/ La liturgia e la Bibbia nella catechesi (da Sofia Cavalletti)
Da Sofia Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di una esperienza, Città Nuova, Roma, 1996, pp. 90-91
Perché la liturgia?
Perché la liturgia? È una domanda che ci si può porre soprattutto se si è convinti che la Bibbia è un pilastro essenziale della nostra cultura occidentale, che mette a fuoco realtà fondamentali, appagando esigenze essenziali del vivere umano. Per una solida formazione della persona non basta dunque il Libro? Sappiamo che elemento importantissimo di una formazione cristiana è l’iniziazione alla liturgia; ma entrando nel fatto celebrativo, restiamo allo stesso livello di essenzialità a cui ci troviamo quando ci accostiamo alla Bibbia? Notiamo innanzi tutto che il fatto celebrativo è un’espressione universale, non solo del mondo religioso; esso corrisponde alla necessità di vivere di tanto in tanto in modo particolarmente intenso realtà fondamentali presenti, e spesso latenti, nel nostro quotidiano. Realtà continuative e onnicomprensive della nostra esistenza hanno bisogno di essere messe a fuoco di tanto in tanto e vissute con intensità particolare; si potrebbe dire che siano necessari alcuni momenti che potremmo chiamare di «condensazione». Se amiamo qualcuno, lo amiamo in ogni momento della nostra giornata, ma abbiamo bisogno di momenti speciali di incontro con la persona amata, in cui vederla, parlarle, abbracciarla. Sono i momenti in cui la relazione si esprime e, facendolo, si nutre e si rinsalda; e senza questi momenti rischia di affievolirsi.
Le scienze umane sottolineano che il celebrare è una necessità personale e sociale; le feste sono infatti considerate periodi di «intensificazione della vita collettiva e dell’esperienza sociale» ed assumono così la fisionomia di tempo sacro. Nella celebrazione della festa, parole, atti, gesti significano la realtà celebrata e ne diventano «segno»; in essi la realtà si esprime e si vive. La celebrazione ha un solido fondamento antropologico e sociale, che affonda le sue radici nella realtà stessa, e nella natura del rapporto uomo-mondo. Il celebrare risponde a un’esigenza fondamentale dell’animo umano, tanto che gli psicologi studiano gli effetti negativi, nella cultura e nella Chiese, del venir meno del processo rituale dovuto ad una certa diffidenza diffusa nel nostro mondo verso la ritualizzazione, tanto che si parla di «guerra contro il rituale». Erikson afferma che si diventa umani nella misura in cui si assimila il repertorio rituale di una comunità umana. Questa è la base antropologica e sociale in cui si innesta la ritualità del mondo biblico, con la sua specifica.
p. 112
Il bambino e le preghiere eucaristiche
Che i bambini amino il lavoro di copiatura sarà per alcuni una sorpresa, come lo è stato per noi. Ci siamo convinti della sua importanza quando abbiamo visto i bambini di 8/9 anni copiare – con grande entusiasmo e del tutto spontaneamente – tutto l’ordinario della Messa in forma completa. Abbiamo visto bambini ricopiarlo fino a tre volte, senza dare nessun segno di stanchezza.
Questo lavoro ha uno sviluppo particolare. Si comincia con la Preghiera Eucaristica, si prosegue con i riti di Comunione, poi si risale alla preparazione dei doni per terminare con la Liturgia della Parola. Perché questo cammino tortuoso? Perché il fenomeno della perfino triplice copiatura si è verificato da quando i bambini cominciano il lavoro partendo dalla Preghiera Eucaristica; quando si iniziava dalla Liturgia della Parola quasi nessuno è arrivato in fondo. Credemmo allora di proporre la copiatura della sola Preghiera Eucaristica e dei riti di Comunione; allora, e del tutto spontaneamente, nacque l’entusiasmo per copiare l’intero rituale. Evidentemente partendo dal nucleo vitale della celebrazione l’interesse è più forte ed è tale da sostenere tutto il lavoro.
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L’immaginazione e lo stupore nella catechesi
Il pensiero riflesso è essenzialmente un pensiero che scinde e divide. «Ogni progresso verso la riflessione – dice Ricoeur (P. Ricoeur, Finitude et culpabilité, I, Paris, 1960, p. 37) – è un progresso verso la scissione». Da qui la necessità di non dimenticare di nutrire l’altro approccio alla realtà, la conoscenza di carattere globale, che si indirizza verso l’immaginazione e la infiamma, che suscita lo stupore di fronte a una realtà di cui non riusciamo a vedere i confini.
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Le specie eucaristiche
Le specie eucaristiche sono di una semplicità disarmante; che cosa è più semplice di un pezzo di pane? Eppure tutto l’universo vi è concentrato. Fra gli infiniti elementi con cui il Creatore ha imbandito la mensa del mondo per le sue creature, ha scelto un piccolo pezzo di pane per concentrarvi il suo amore e farne lo strumento unico della presenza divina.
Prima di essere pane, esso era un seme, arido e secco, che un giorno è stato messo in terra e la terra era brulla e nuda. Ma i succhi della terra hanno cominciato ad affluire dal profondo verso il seme, mentre il sole e la pioggia dall’alto lo vivificavano con altri succhi e con il calore. Attraverso un lavorio lungo e nascosto, il seme è diventato filo d’erba e poi, quando il sole era ormai caldo, spiga matura. Uomini e donne sono tornati sul campo con grandi macchine, hanno fatto il raccolto, lo hanno lavorato; quello che era stato il seme è passato attraverso tante mani, è diventato farina e infine pane, pronto ad essere portato sulle nostre tavole. Radunati intorno alla mensa uomini, donne e bambini lo spezzano, lo mangiano, se ne saziano; ne godono il sapore e la fragranza. La ricchezza degli elementi della natura che hanno contribuito a trasformare il seme e il lavoro di tante mani, che sono venute preparandolo, confluiscono nelle case degli uomini.
A questo punto le mani dell’uomo non possono fare altro che trasformare il pane; il loro lavoro è arrivato al termine. Eppure il pane è ancora in attesa. Attende una trasformazione che non può più venire dall’uomo, ma solo da Dio e che non può essere altro che invocata nella preghiera: «Manda il tuo Spirito a santificare il pane e il vino, perché diventino il corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore».
In quel pane ritroviamo tutti i livelli della realtà: da quelli nascosti nel profondo della terra all’amore eterno con cui Dio ci ama (cf. Ger 31,3). Man mano che il seme si sviluppa e perviene a livelli sempre più alti non elimina i precedenti, essi si vengono permeando di una vitalità sempre più ricca, fino a raggiungere, nell’Eucarestia, il culmine. In quel Pane, che viene posto nella mia mano, in quel Pane di cui Gesù dice: «Questo è il mio corpo», l’universo è come condensato nella sua totalità.
L’universo e un pezzo di Pane. L’immenso e il piccolo; l’immenso contenuto nel piccolo. Già questo è una meraviglia difficile da afferrare; ma quel Pane va oltre i confini dell’universo, perché «serve di sostrato, e come di arcano e trasparente veicolo, alla presenza reale e sacrificale di Cristo, e così, a suo modo, è profondamente associato a tutto quel flusso di vita divina che il sacrificio eucaristico porta agli uomini, vivi e defunti, di gioia agli angeli e ai santi in cielo e di gloria a Dio» (C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Brescia, 1957, p. 255).
pp. 74-76
Cristo buon Pastore e l'Eucaristia
«Tu prepari dinanzi a me una mensa» (Sal 23,5)
Vari sono i modi in cui Cristo è presente in mezzo agli uomini, ma la presenza eucaristica ha un carattere di unicità[17]; l'Eucaristia deve dunque avere un posto speciale nella catechesi, tenendo presente tuttavia che si insiste molto, oggi, sull'unità tra vita, Bibbia e Liturgia[18]; non esiste una Bibbia che si legge e una Liturgia che si vive, esiste la Bibbia che si vive con tutta la nostra vita e in modo particolare nella Liturgia. La prima senza la seconda è priva del suo momento di vita più intenso; la seconda senza la prima poserebbe sul vuoto. La Bibbia trova la sua pienezza nell'ascolto da parte della comunità che vive nella giustizia e si costruisce nella celebrazione eucaristica.
Il bambino che viene a conoscere il buon Pastore deve quindi essere iniziato al più grande atto in cui lo incontriamo: la Messa. «La catechesi propone costantemente Gesù come centro vivo del proprio messaggio, e lo mostra presente e operante nella santissima Eucaristia», così si legge in «Il Rinnovamento della Catechesi» (n. 72; cf. n. 46).
L'essenzialità del bambino ci è stata qui di guida preziosa; per vent'anni abbiamo cercato per vie tortuose, senza successo, l'approccio giusto dei più piccoli alla Messa. Quando alla fine abbiamo trovato quella che ci è sembrata la via giusta, ci siamo accorte che era anche la più semplice e la più essenziale: la Messa è il luogo e il tempo in cui incontriamo in modo del tutto particolare il nostro buon Pastore: egli chiama per nome le sue pecorelle intorno al suo altare, per nutrirle di sé in modo speciale. È così semplice, ma ci sono voluti vent'anni!
L'essenzialità del bambino ci ha portato a concentrare i nostri sforzi sulla parte della Messa che segue la liturgia della Parola e cioè la parte eucaristica. Ogni catechesi è in qualche modo una liturgia della Parola, perché nelle parabole e negli eventi storici della vita di Gesù è la Parola di Dio che annunciamo ai bambini, su di essa ci soffermiamo meditando e ad essa rispondiamo pregando. Solo nell'Eucaristia tuttavia si realizza una presenza particolarissima di Cristo ed è quindi naturale che, quando si celebra la Messa, i bambini siano più coinvolti dalla preghiera eucaristica. All'inizio dei nostri tentativi, usavamo proporre ai bambini di copiare il loro messalino, più o meno nell'anno della loro prima comunione; avevamo a disposizione a questo scopo un materiale, preparato dalla Montessori stessa, e da lei chiamato «il Libro aperto». I bambini cominciavano a copiare dalla liturgia della Parola, e avrebbero dovuto concludere con i riti di comunione; non un solo bambino è mai arrivato alla fine di tale lavoro. Constatato questo, abbiamo iniziato a presentare ai bambini solo la preghiera eucaristica (a quel tempo c'era soltanto il canone romano), cominciando dalla consacrazione e passando poi ai riti di comunione. Allora abbiamo visto con stupore che, partendo dal momento più essenziale, i bambini non solo copiavano tutto il loro messale, liturgia della Parola compresa, ma spesse volte è successo che l'abbiano copiato, del tutto spontaneamente, fino a tre volte. Ancora una volta l'insuccesso non era dipeso né dall'incapacità del bambino, né dall'essere il lavoro troppo arduo, ma dal non aver trovato noi la via che passasse per il nucleo essenziale.
L'aggancio tra Bibbia e Liturgia
Il nostro approccio alla Messa con i piccoli si svolge in due tempi, di cui il primo è di carattere kerigmatico, mentre il secondo è costituito dalla lettura dei segni liturgici. L'annuncio della presenza del buon Pastore nella nostra vita, che i bambini recepiscono attraverso la parabola, si specifica qui nell'indicazione di un tempo e un luogo in cui egli sta vicino alle sue pecorelle in maniera del tutto particolare e le nutre in modo specialissimo con il suo amore. Egli dà sempre la vita per loro, ma è necessario - a nostro avviso - non legare esclusivamente il «dare la vita» al momento della morte: tutta la vita di Cristo è dono al Padre e agli uomini; la morte rappresenta la concretizzazione ultima di un dono continuativo di sé, che è offerto, lungo il tempo, a tutti gli uomini e raggiunge ciascuno di noi, particolarmente nell'Eucaristia. Il bambino è forse più sensibile alla disponibilità piena di Cristo nei suoi riguardi, al fatto che egli gli stia costantemente vicino, che all'aver egli impegnato se stesso fino alla morte.
Note al testo
[1] Cf. M. Magrassi: Tipologia biblica e patristica e liturgia della Parola, in “Rivista Liturgica”, 1966, pp.165-193.
[2] Citato in H. de Lubac, L’Ecriture dans la tradition, Paris 1966, pp. 37-38.
[3] Per una guida sicura per la lettura dei testi biblici cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, LEV 1992, cap. II, 50ss; Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Pontificia Commissione Biblica, LEV 2001, 19Ass.; H. Simian-Joffre, Metodologia dell’Antico Testamento, Bologna 1994; J.L. Ska, Introduzione alla lettura del Pentateuco, Bologna 2000.
[4] Cf. L. Tolstoj, Quale scuola?,Mondadori, Milano 1975, pp. 229ss.
[5] P. Siniscalco, Introduzione al volume: Sant’Agostino, Prima catechesi per i non cristiani, Città Nuova, Città Nuova, Roma 1993, pp. 56ss.
[6] Agostino, De catechizandis rudibus, 6,6.
[7] E. Mazza, L'interpretazione del culto nella Chiesa antica, in AA.VV., Celebrare il Mistero di Cristo, vol. I, Ed. Liturgiche, Roma 1993, pp. 229-279.
[8] F. Rossi De Gasperis, in AA.VV., Ebrei e ebraismo nel Nuovo Testamento, EDB, Bologna 1989, pp. 56ss.
[9] J. Daniélou, Essai sur le mystère de l’histoire, Seuil, Parigi 1953, pp. 133ss.
[10] Si veda tra l’altro H. de Lubac, Exégèse médiévale, 4 voll. Aubier-Montaigne, Parigi 1991.
[11] Sulla tipologia della teologia, cf. E. Mazza, La mistagogia, una teologia della liturgia in epoca patristica, CLV, Roma 1988, pp. 18ss.
[12] S. Natoli, L’umile grandezza di Mosè, Roma 1992, p. 150.
[13] Cf. il documento della Pontificia Commissione Biblica (15 aprile 1993), L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, I, 4.
[14] Cf. S.P. Carbone–G. Rizzi, Le Scritture ai tempi di Gesù, EDB, Bologna 1992, p. 16.
[15] Cf. S. Cavalletti, Il potenziale religioso…, cit., figg. 8,23, pp. 85-86.
[16] S. Marsili, «Sacramenti», in Dizionario di liturgia, cit., p. 1277.
[17] Molti documenti del Concilio lo mettono in evidenza. Cf. inoltre C. Vagaggini, Il senso teologico della Liturgia, EP, Roma 19654, pp. 329, 464, 177-180 e passim.
[18] T. Federici, Bibbia e Liturgia, Pontificio Istituto Liturgico, Roma 1973-1975 (pro manuscripto).