Roma. Sette ragioni per non regolamentare la prostituzione (la riflessione della comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi)
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo redazionale pubblicato il 9/2/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (18/2/2015)
La Comunità Papa Giovanni XXIII condanna con fermezza la scelta dell’amministrazione comunale di Roma di istituire zone di tolleranza per la schiavitù della donna. Ribadisce l’urgenza di affrontare il fenomeno della prostituzione come accade in altri paesi europei: contrastando la domanda ed istituendo un sistema di multe progressive per i clienti.
Lo dichiara Giovanni Ramonda, Responsabile Generale della Comunità: «L’unico modo per aiutare davvero queste donne è quello di debellare il fenomeno inaccettabile della prostituzione: i clienti sono di fatto primi sfruttatori della donna, e in secondo luogo finanziatori del racket. Debellare la prostituzione è possibile, da mesi abbiamo presentato al governo una proposta di legge per adottare in Italia il “modello nordico” che sanziona i clienti. Il mondo cattolico deve fare fronte comune prima che la situazione degeneri».
Ecco quali sono secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII le sette ragioni per non regolamentare la prostituzione:
1/ Regolamentare la prostituzione aumenta la domanda di vittime di tratta. Infatti il 75-80 per cento delle donne presenti nei bordelli olandesi e tedeschi, paesi in cui la prostituzione è legalizzata, è stata trafficata contro la loro volontà.
2/ Rende molto più difficile identificare le vittime di tratta. Già oggi osserviamo come l’atteggiamento degli sfruttatori sia cambiato: se prima il tipo di sfruttamento e di violenza era maggiore, ora è diventato più subdolo. I magnaccia aumentano la quota parte destinata alle prostitute per estinguere il loro debito. Ciononostante il reato di tratta rimane.
3/ Non permette la repressione della tratta punendo gli sfruttatori, in quanto è un ottimo scudo dietro cui i trafficanti si possono mascherare.
4/ Non aumenta le entrate statali provenienti dalla tassazione della prostituzione, perché aumenta il mercato nero. In Germania la maggior parte dei bordelli, gestiti dalla criminalità organizzata, si è rifiutata di pagare le tasse. Inoltre le persone che si prostituiscono non vogliono essere associate alla prostituzione, per cui non dichiarano le tasse.
5/ Non riduce gli abusi nei confronti delle donne. Infatti, il 60 per cento delle prostitute che operano nei Paesi Bassi hanno subito violenza fisica, mentre il 40 per cento delle stesse ha dichiarato di aver subito violenza sessuale. Negli Stati Uniti, l’86 per cento delle prostitute ha dichiarato di aver subito violenza fisica dai clienti. Il 59 per cento delle prostitute tedesche ha dichiarato che la regolamentazione non le fa sentire più sicure dalla violenza fisica o sessuale.
6/ Non aumenta la sicurezza sanitaria delle donne che si prostituiscono. Nello Stato di Victoria, in Australia, un cliente su cinque dichiara di voler avere rapporti sessuali non protetti. In Canada, il tasso di mortalità delle prostitute è 40 volte superiore alla media nazionale. La prostituzione comporta effetti dannosi per la salute delle persone che la praticano, le quali sono più soggette a traumi sessuali, fisici e psichici, alla dipendenza da stupefacenti e alcool, alla perdita di autostima, così come a un tasso di mortalità superiore rispetto al resto della popolazione.
7/ Aumentano i costi sociali dati dall’aumento della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili nella popolazione. Molte donne, inconsapevoli mogli dei clienti, contraggono il papilloma virus (non solo l’HIV).